Cap 6

«Sete?»

«Come?»

Il ragazzo del pub mi sorride.

«No, dico, hai tanta sete?»

In effetti sto morendo di sete.

«Un po'»

«Non è ancora l'ora dell'aperitivo, peccato... Cosa ti andrebbe di bere?»

E' solo allora che lo guardo meglio. E rimango come colpita da un sasso in testa.

E' il ragazzo che ho incontrato quel giorno al lago, con Paolo. Ha il colore del vento, un profumo salato, la pelle dorata. Lo so. I suoi occhi sono come le stelle, che io non ho mai visto. Non è molto alto, ma è muscoloso e splende. Di colpo questo piccolo pub di Varenna si è illuminato e tutta la luce è su di lui. E non mi dà fastidio. Mi inebria. Mi sembra di non riuscire nemmeno a star ferma sulla sedia. Ho il cuore che va a mille.

«Allora?», chiede di nuovo, divertito. Si sposta un ciuffo di capelli dalla fronte. Li porta lunghi, vedo che ha un elastico al polso. Chissà com'è, quando si fa la coda.

«Un the freddo»

Lui sorride.

«Speravo lo dicessi»

«Al limone», aggiungo.

Prende dal frigo una lattina di the al limone, la mette sul bancone insieme al bicchiere. Faccio per aprirla, ma lui mi blocca.

«No, aspetta. Facciamo un esperimento»

Traffica con altri bicchieri, e io lo osservo, mente tenta goffamente di farsi passare una bottiglia da una mano all'altra e farla scivolare sul braccio.

«Non sono ancora molto bravo», si giustifica, ridendo. Rido con lui. Sono contenta che non ci sia nessuno, dentro a quel pub.

«Sognavo di fare questo cocktail a una bella ragazza da tutta la mattina», scherza.

Bella ragazza? Intende me? Sento che le guance mi si infiammano. Quando ha finito, mi mette il cocktail sotto il naso. Fingo di annusare il contenuto del bicchiere, mentre in realtà sto cercando di indovinare il profumo sul suo collo. I capelli gli vanno un'altra volta davanti agli occhi. Avrei voglia di sistemarglieli io. Di accarezzarli. Non mi sono mai sentita così.

«Long Island. Assaggia, dai»

«Il fatto è che io non credo di poter...»

«Solo un sorso. Poi lo berrò io»

Annuisco. Sarebbe impossibile dirgli di no.

Ha messo di tutto in quel bicchiere. Ne bevo un sorso.

«Sembra the», esclamo.

Si illumina.

«Davvero?»

Mi brucia la gola. Il the di solito non fa quest'effetto. Ma adesso che gliel'ho detto, non posso più tornare indietro.

«Ora però meglio beva il mio the»

Lui alza le spalle.

«Peccato»

Mi sento più calma, ma ho uno strano formicolio alla bocca dello stomaco. Starei qui a guardare questo barista per ore.

«Non ti ho mai vista qui», dice lui, bevendo un sorso del suo cocktail.

«In effetti è la prima volta che ci vengo»

«Sei di Varenna?»

«Sì, e tu?»

«Perledo»

«Praticamente vicini di casa», ribatto sorridendo.

Vorrei sapere tutto di lui. Quanti anni ha, che scuola ha fatto, da quanto tempo lavora lì, perché porta i capelli lunghi, se ha la ragazza e soprattutto di che colore sono i suoi occhi. Devono essere scuri, ma non riesco a indovinare se tendono al caramello o alla nocciola. Potrebbero anche essere nerissimi.

Sto per chiedergli come si chiama, ma intravedo la mamma che a passo spedito sta per entrare nel locale. Non è possibile. Come ha fatto a scovarmi? Mi rimetto gli occhiali e mi preparo ad affrontarla.

«Devo andare», dico.

«Non finisci neanche il tuo the?»

«Non ho più tempo, ma grazie»

«Aspetta! Hai...»

Devo assolutamente evitare che entri. Faccio un cenno di saluto con la mano e mi precipito fuori. Prendo la mamma per un braccio e la trascino dietro l'angolo.

«Ehi!», sento che grida il barista.

Possibile che io abbia fatto colpo?

Non ho tempo di riflettere. La mamma si divincola dalla stretta e mi costringe a fermarmi.

«Sei completamente impazzita, Laura?»

«Era solo un the freddo», rispondo e non riesco a togliermi un sorrisetto imbecille dalla faccia.

«Non intendo per questo. Hai piantato Enrico lì come un fesso. Mi hai fatto fare la figura dell'idiota!»

«Faceva troppe domande»

«Secondo te perché ti danno tanto fastidio queste domande?»

«Ricominci anche tu adesso?»

«Andiamo a casa», dice la mamma, in tono più pacato.

«Ci vado a piedi»

«Dobbiamo parlare di cosa pensa Enrico»

«Pensi quello che vuole. Non mi interessa»

«Laura!»

Ci sfidiamo. Una turista cinese si volta verso di noi e ci scatta una foto. Dobbiamo essere proprio buffe: mamma e figlia in riva al lago a urlarsi addosso. Eh sì, si litiga anche a Varenna. Ci sono gli adolescenti anche qui.

«Parliamo dopo, mamma. Adesso ho bisogno di stare da sola»

Non insiste. Ha capito. Miracolo. Non sento suonare le campane della vittoria, ma direi che per oggi, uno a zero per me.

Mi incammino verso casa passando per il lago. E finalmente posso ripensare al barista. Chissà cosa voleva dire, con quel "hai..." Forse intendeva... "hai dei bellissimi capelli? Hai un sorriso fantastico? Hai... il numero di telefono? Hai... Mi immobilizzo. Un cigno mi guarda da lontano, sprezzante. Sono proprio un'imbecille. Ho dimenticato di pagare il mio the!

E' troppo tardi per tornare indietro. E ho i capelli fuori posto. E sono vestita come una tredicenne. Tornerò domani, col mio vestito più bello, quello turchese. E lui mi sorriderà ancora. Spero.

Quando arrivo vicino a casa, vedo che Paolo è nel nostro rifugio. Me ne accorgo perché la porticina è socchiusa, come un invito a entrare. Ma per la prima volta in dieci anni, ho voglia di rinchiudermi in camera mia e pensare a quel bellissimo ragazzo, di cui non so niente, nemmeno di che colore abbia gli occhi.

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