Cap 47
«Sei sicura che va tutto bene?»
La mamma deglutisce.
«Sì, Ross, te l'ho detto, è tutto a posto»
«Ma non hai dormito granché, continuavi a girarti e rigirarti nel letto...»
Sbuffo.
«Mamma, è normale! Sono solo un po' agitata, ma fidati, è una cosa perfettamente normale prima di una gara»
«lo so benissimo», borbotta «come se fosse la prima gara a cui ti accompagno».
Sorrido.
Lo stadio del ghiaccio è ancora più gremito di ieri. E il cuore mi sta già battendo all'impazzata. E' vero, non ho riposato molto. Credo di aver dormito due ore. Il resto del tempo non ho fatto che pensare alla coreografia, ribaltarmi nel letto, guardare lo schermo del cellulare. Quando sono tornata in camera, ieri sera, ho subito chiamato Geo. Volevo dirgli che il suo nastro aveva funzionato. Non mi ha risposto. Gli ho mandato un messaggio su Whatsapp, ma non l'ha visualizzato. Sono rimasta un'ora col telefono in mano, ho messaggiato con chiunque pur di far passare il tempo. Chiunque, tranne che Paolo. Mi aspettavo una sua chiamata, almeno. Invece niente. L'ho immaginato nella casa sull'albero con Ester e ho sentito una fitta alla bocca dello stomaco.
Poi Geo mi ha chiamato.
«Ciao piccola, tutto bene a Bergamo?»
«Sì, ho finito poco fa», ho risposto.
«E come è andata?»
«Alla grande direi. Per ora sono seconda»
«Fantastico. Senti, non posso stare al telefono perché qui è un casino, c'è una festa privata. Ti scrivo quando ho finito, okay?»
«Okay, ma probabilmente dormirò già», l'ho avvertito.
«Non importa, piccola. Devo scappare, a dopo»
Ho aspettato il suo messaggio, tormentando le lenzuola, ma non è arrivato. Ha effettuato l'ultimo accesso alle due e mezza, ma non mi ha scritto nulla. Non voglio pensare che si sia dimenticato. Preferisco credere che non volesse disturbarmi. Invece Paolo non ha scuse. Forse gli sono fischiate le orecchie, questa notte. Ce l'ho a morte con lui, perché mi ha lasciata da sola. E non era mai capitato. Mi sento a pezzi. La coreografia di oggi è la nostra farfalla, ci abbiamo costruito sopra tutta una storia. Non può esserselo dimenticato. Non può avermi abbandonato così.
So già di essere nell'ultimo gruppo, quindi indugio un po' di più negli spogliatoi. Mi guardo allo specchio e cerco di nascondere le occhiaie con un po' di phard.
«Che fai, ci penso io», dice Prisca, strappandomelo di mano.
«Grazie», sussurro.
«Cos'è quella faccia spenta? E' venuto a trovarti Geo, per caso?», mi chiede.
Alzo le spalle.
«Magari l'avesse fatto. Non mi ha quasi neanche cercata»
Prisca sospira.
«Gli uomini vanno e vengono. Le amiche possono abbandonarti. Ma il ghiaccio no. Non dimenticartelo. Il ghiaccio sarà sempre lì, ad aspettarti»
«Davvero la pensi così?»
Prisca annuisce e vedo che un'ombra le passa sul volto.
«Quando ero piccola», mi dice, abbassando la voce «mia mamma mi portava a pattinare. Poi se ne andava. Diceva che aveva troppe cose da fare, per rimanere lì con me. Non avevo molte amiche. Non ne ho mai avute. Credo sia colpa di questi capelli biondi, che stanno in ordine anche quando non li pettino»
Ride, ma è una risata amara.
«Il ghiaccio è diventato il mio migliore amico. Non ho mai fatto affidamento su un'altra persona. Non commetterò più questo errore»
«E se dovessi innamorarti, un giorno?»
Prisca alza le spalle.
«Forse lo sono già. Però... amo di più il pattinaggio»
«Lo sei già? E di chi?»
Prisca fa una smorfia. Non l'ho mai vista così imbarazzata.
«Ne parliamo un'altra volta, promesso. In fondo non è così importante»
Vorrei essere come lei. Vorrei concentrarmi solo sulle cose che contano davvero.
«Come sta la tua farfalla?», mi chiede Monia.
«Bene», rispondo, ma lei e Prisca si scambiano un'occhiata che è tutta un programma.
Finalmente tocca a me. Quest'attesa mi stava solo logorando. Mi preparo sul ghiaccio e mi rendo conto che tutti hanno un'aspettativa alta su di me. Mi sono piazzata bene, ieri e adesso devo confermare le mie capacità.
Guardo istintivamente sugli spalti e quasi senza accorgermene cerco Paolo. Non c'è. Prendo un respiro. Ripenso ancora alla volta in cui abbiamo scelto insieme questa musica.
«La farfalla», mi aveva detto lui «è perfetta per te. Delicata. Combattiva. Fragile»
«Non voglio mostrarmi fragile davanti ai giudici», avevo protestato.
«Non vedranno solo quello. Vedranno anche la tua forza. Devi solo volerlo. Le cose delicate sono anche quelle che luccicano di più. Devi luccicare come una farfalla bagnata di rugiada».
La musica parte. All'inizio è lenta. La mia farfalla prende il volo. Sbanda un po', come abbiamo stabilito insieme a lui. Ma mi rendo conto che sono io stessa a sbandare. Mi danno fastidio le luci, come mai ieri non le avevo notate? Mi dà sui nervi lo sguardo dei giudici. Vorrei essere da sola. Io non posso vedere il colore rosso del mio vestito. Allora cosa l'ho indossato a fare? Non mi darà energia, come mi sono illusa. Il potere dei colori funziona solo con chi riesce a vederli. Quindi non con me. Eseguo la figura della luna e piego la testa all'indietro. Sento il collo scricchiolare. Sono rigidissima. Penso a Ester e Paolo nella casa sull'albero insieme. Alla sua risata. Penso che il mio migliore amico, la persona che mi è sempre stata accanto, non è qui a vedermi oggi e non si è neanche fatto sentire.
Un pattino incespica sull'altro, e inciampo. Non ci posso credere. La mia coreografia è appena iniziata e ho fatto un errore da dilettante. Dovuto alla concentrazione. Cerco di non pensare a niente e mi rialzo, mentre mi sembra di sentire Prisca che urla di non mollare. No, non posso mollare adesso. Anche se il sedere mi fa malissimo, cerco di riprendere dal punto in cui mi sono interrotta. Un giro in meno, e ho recuperato il tempo. Eseguo la mia sequenza di trottole e intanto la musica incalza.
«Perché ti piacciono così tanto le farfalle?», mi aveva chiesto Paolo, un giorno che eravamo in mezzo al prato e io continuavo a indicargliele.
«Perché sono libere», gli avevo detto.
«Solo per questo? Tutti gli insetti, in fondo lo sono»
«Ma loro durano poco. Hanno solo pochi giorni per divertirsi. Per amare. Per mangiare. Per fare tutto quello che noi umani possiamo fare per anni. E spesso non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati»
«Quella farfalla è gialla», mi aveva detto Paolo.
«Io amo le farfalle bianche. Sono le più pure. E riesco a vederle meglio. Quando sbattono le ali, io penso sempre che sono al mondo solo quel giorno, per poi doversene andare. Non è una tremenda ingiustizia?»
Paolo ci aveva pensato un po'su.
«Hanno vissuto nel loro bozzolo per un bel po' di tempo», mi aveva detto «ed erano sempre farfalle. Solo che non se ne rendevano conto. Un po' come te»
«Come me cosa?»
«Niente», aveva risposto lui.
«Forse la sofferenza serve a questo», gli avevo detto « a capire quanto è bello un giorno di sole. Un giorno da farfalla»
Nota dell'autrice
Questo capitolo è per tutti quelli che sono ancora nel bozzolo. Che vorrebbero vivere il loro giorno da farfalla, ma qualcuno o qualcosa glielo impedisce. Dedico il capitolo alle persone che mi stanno seguendo qui e a tutte quelle che sono entrate nella mia vita e l'hanno resa migliore. Con la sofferenza si ha qualcosa da scrivere, ma è grazie ai giorni in cui vivo da farfalla che trovo il coraggio di farlo.
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