Cap 42

Tanto segreto non è, visto che lo sanno tutti. Chissà perché lui non se n'è mai accorto.

Lui mi prende una mano.

«Ti sarai accorto che ho qualche problema con la vista...»

Geo annuisce. Sembra confuso. Forse non si aspettava che gli parlassi di questo.

«E che spesso ho degli occhiali dalla montatura spessa, che diventano scuri appena c'è tanta luce...»

«Sì...», mormora Geo «pensavo fosse un problema dovuto alla miopia...»

«Sono molto miope», confermo «ma il fatto è un altro»

Perché è tanto difficile dirgli che non vedo i colori? Forse perché è la prima volta che devo spiegarlo a qualcuno senza che ci siano Paolo o mia madre lì accanto, che sciorinano termini tecnici. Una volta, alle elementari, c'era un ragazzino che voleva a tutti costi farmi scegliere il colore della squadra di basket. Mi porgeva due magliette, per me identiche, e diceva: «scegli, Laura, rosso o blu?»

Ancora non avevo studiato colori e simboli, quindi per me erano identici, e non sapevo cosa mi stesse chiedendo. Alla fine era intervenuto Paolo e aveva detto: «Idiota, non lo sai cos'è l'acromatopsia? Informati prima di parlare con Laura. Lei sceglie il rosso. Punto»

L'avevo adorato. Mi aveva tolto da una brutta situazione e ha continuato a farlo in tutti questi anni. Ma adesso devo cavarmela da sola.

«Hai un problema più grave?»

«Così dicono», scherzo e mi sforzo di sorridere. «In realtà è più un problema di mondi diversi. Io vivo in un mondo diverso dal tuo, perché lo vedo estremamente diverso. Percepisco cose che le persone comuni non notano e non posso vedere quello che è naturale e scontato per tutti»

Geo scuote la testa.

«Ci sto capendo poco», ammette e mi stringe la mano. Sembra tranquillo.

«Io non vedo i colori, Geo», bisbiglio, finalmente. Mentre lo dico, sento un nodo alla gola. Qualcosa che non avevo mai provato. Per la prima volta, mi sembra di essere vulnerabile perché non vedo ciò che vedono gli altri. E' come se mi rendo conto solo adesso di quanto faccia schifo il mio mondo in bianco e nero.

«E' una malattia», continuo, mentre mi salgono le lacrime agli occhi «e si chiama acromatopsia. E' molto rara, ma ha beccato me. C'entra con la genetica, o qualcosa del genere. In ogni caso, sono nata così. Ci convivo da sempre»

Geo mi fissa. Ha un'espressione indefinita sul volto.

«Quindi tu... Non hai idea di che colore sia la mia maglietta stasera?»

Faccio segno di no con la testa. Adesso mi è proprio impossibile parlare.

«E non hai idea nemmeno del colore della mia moto? Dei cocktail? Dell'erba? Del... tramonto?»

Sta peggiorando la situazione. Mi mordo un labbro e cerco qualcosa di sensato da dire.

«No, non ne ho idea. Te l'ho detto, il mio mondo è in bianco e nero. Vedo se gli oggetti o le cose sono più scure o più chiare. Tutto qui. Quando la gente parla di colore, io non so proprio come comportarmi, perché è come parlare di spiriti. So che esistono, ma io non li vedo»

«Accidenti», mormora Geo. Non riesco capire il senso di quell'esclamazione.

«Però io ho studiato tutto sui colori», lo rassicuro «ho letto ogni libro che c'era da leggere e puoi mettermi alla prova. Io i colori li so»

Geo fa un sorrisetto.

«Di che colore sono i cartelli stradali di pericolo?»

«Rossi. Troppo facile»

«Il cielo?»

«Azzurro»

«Le lucertole?»

«Verdi, con un po' di sfumature grigie»

«L'alba?»

«Rosa»

«E qui si sbaglia, signorina», mi ferma Geo.

«L'alba non è solo rosa. L'alba inizia con un blu intenso. Il mattino che cerca uno spazio nel nero della notte. Poi assume un tono violetto e inizia a farsi più calda. Come una donna che sta per eccitarsi. Alla fine quel tono scuro si fa sempre più chiaro e l'alba si veste di rosa, un rosa pallido, tenue, e più il sole appare più lei prende il colore arancio, fino quasi a sfiorare il rosso. Quando si pensa che abbia scelto il suo vestito, l'alba stupisce tutti e diventa gialla. E allora è già mattino»

«Wow», mormoro «nessuno mi aveva fatto vedere tanto chiaramente l'alba».

«Posso farti vedere i colori, piccolina», mi dice Geo. Mi accarezza i capelli e io appoggio la testa sulla sua spalla.

«Ognuno vede il mondo come vuole», mi sussurra lui «non è solo questione di colori. Ci sentiamo tutti un po' in un pianeta diverso.

«Quindi per te non è un problema se io...»

Mi prende il viso tra le mani.

«Stai scherzando, vero? Dopo quello che ti ho raccontato. Perché dovrebbe essere un problema? Sono onorato che tu me l'abbia detto. Davvero. Solo vorrei che tu sapessi che la mia moto è rossa. E i miei capelli castani, come le nocciole. I miei occhi neri, nerissimi. Quindi non ti mentono. E tu hai degli occhi stupendi, sembrano del colore delle spighe di grano. Anche i tuoi capelli mi ricordano un campo di grano. Non smetterò mai di raccontarti i colori, Laura. Te lo prometto»

«E io ti vorrei ascoltare tutta la notte»

«Però adesso è tardi. Non vorrei che i tuoi si arrabbiassero»

Mi stringo a lui.

«Sto così bene con te», bisbiglio.

Sento il suo profumo.

«Non credo ci vedremo prima della gara», gli dico «ma indosserò il nostro nastro. Spero di farcela. Ho un po' di paura»

Geo mi abbraccia più forte.

«La paura fa bene, in questi casi. Ti aiuta a stare lucida. E concentrata»

«Questa sera, quel falco, mi ha fatto capire quanto deve essere bello volare»

«Anche tu voli, a modo tuo», mi dice Geo «tu voli sul ghiaccio»

Annuisco. E a un tratto mi sembra chiaro. Arriva un momento, nella vita, in cui impari che per continuare il tuo volo devi avere il coraggio di affrontare la verità. Smettere di dirti bugie e spiegare le ali una volta di più, senza chiederti ancora: dove dovrei essere? Ma puntando dritto a dove vuoi andare.

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