25. ERRORE.
Il giorno seguente, Sir Kita era nel suo ufficio alla scuola d'arte, dove la mattina luminosa e sgargiante illuminava la stanza con luce solare distorta, filtrando dalle grandi finestre.
Il preside canticchiava allegramente, perso nei suoi pensieri.
Davanti a lui, su un grande cavalletto, c'era una tela bianca.
Con movimenti sicuri e precisi, Sir Kita iniziò a tracciare le linee di un volto familiare: quello di Joka. Ogni pennellata era un'emozione, le linee si aprivano e chiudevano con grazia, come se Kita stesse cercando di catturare non solo i suoi tratti fisici, ma anche la sua essenza, il calore del suo ghigno, la profondità dei suoi occhi, e la leggerezza del suo spirito.
Le mani di Sir Kita si muovevano con destrezza, mescolando i colori e applicandoli sulla tela con attenzione e passione. Intanto i suoi occhi brillavano di gioia e il suo canticchiare riempì l'ufficio.
Era tanto era assorto nel suo lavoro che non si accorse della presenza di Maya, una sua alunna di terza, che era appena entrata in silenzio con alcuni documenti da firmare in mano.
Ella rimase immobile per un attimo, osservando con ammirazione il preside mentre lavorava. Non era raro vederlo impegnato in qualche progetto artistico, ma c'era qualcosa di diverso quel giorno, una luce speciale nei suoi occhi.
Alla fine, Maya schiarì delicatamente la gola per attirare la sua attenzione di Sir Kita, «Signor Preside, mi scusi se la disturbo, ma ci sono alcuni documenti che necessitano della sua firma».
Sir Kita si girò lentamente, come se emergesse da un sogno, poi sorrise ampiamente vedendo Maya e posò il pennello, «Oh, Maya! Non ti avevo sentita entrare!».
«La porta era aperta...», mormorò Maya.
Sir Kita sospirò, «Dimenticanza. Perdonami, ma ero completamente immerso a dipingere...».
Maya sorrise, avvicinandosi alla scrivania e poggiando entrambi le mani su di essa dopo aver posato i documenti, approcciando di poco il volto del preside, «Non si preoccupi, è bello vederla così ispirato. E vedo che la sua opera sembra davvero promettente».
Disse in seguito, osservando la tela sul lato destro della scrivania.
Sir Kita arrossì leggermente, dando anch'egli un'occhiata alla tela.
«Grazie, e dammi del tu. Sto cercando di catturare qualcosa di speciale. Joka... quell'Ombra è una fonte inesauribile di ispirazione», disse con un leggero mormorio, quasi silenzioso.
Maya annuì, «Comunque, questi sono i documenti da firmare per la prossima mostra d'arte. Niente di urgente, puoi occupartene quando hai un momento libero dalla creatività...».
La ragazza Ombra obbedì al comando del preside, dandogli più confidenza.
Sir Kita prese i documenti, sfogliandoli rapidamente, «Hm, va benissimo. Grazie, Maya. Li firmo subito, così posso tornare al mio dipinto», disse, poi li firmò con una penna nera dalla punta a sfera e il tratto preciso che solo la sua mano gli poté dare.
Intanto, Maya lo osservava con un sorriso affettuoso, ma anche un pizzico di gelosia.
«Preside Kita, sembri davvero felice, vero? E il dipinto la fonte della tua felicità, o forse è il soggetto? Dimmi, sei forse... innamorato di quell'Ombra?».
Sir Kita rise, un suono caldo e sincero, ma c'era un leggero imbarazzo nella sua voce.
«Innamorato? No, Maya. Sono solo ispirato. Joka è un amico speciale, nulla di più», disse.
Maya alzò un sopracciglio, «Capisco... è solo che tu non sei mai stato così coinvolto da qualcuno prima d'ora, nemmeno dal prof di teatro, il vicepreside. Sai, sembri diverso, ancora più... felice».
Sir Kita la guardò per un momento, poi le sfiorò il mento con la mano destra, accarezzandone la pelle, «Maya, è solo una fase creativa. Non c'è nulla di cui preoccuparsi».
Maya sorrise, ma il suo sguardo era intriso di una gelosia silenziosa.
«Capisco, preside. È solo che... mi sembra di notare una differenza sostanziale, perché comunque non dimentico ciò che abbiamo fatto in passato...».
«Non potrei mai dimenticare cosa il tuo corpo mi ha dato quella o dovrei dire quelle notti...», sibilò Kita, appesantendo il suo respiro a una voce mista tra sussurri e gemiti, «Il mio non è l'unico liceo del Metaverso e sai il professore Kamoshida cosa fa in quell'altra scuola. Non sono peggio, non sono meglio di lui, ma tutto ha un limite».
Il preside spostò la mano, scivolando le dita lungo il collo della giovane alunna Ombra fino a giocare i primi tre bottoni della sua camicetta color rosa pastello e i merletti alle maniche.
«Sì, sono cambiato, e anche tanto, direi. Mi sono reso conto del danno che facevo e faccio ancora a tutte voi, o anche, a volte, tutti voi, miei carissimi studenti che venite qui a ispirarvi, piuttosto che passare tra le mie gambe... mi segui, Maya?», sussurrò debolmente.
Maya annuì lentamente, con gli occhi lucidi di emozione e confusione, «Sì, Kita. Ti seguo».
Sir Kita ritirò la mano, avvicinando le labbra sul lato sinistro del suo collo, «Bene, Maya. Allora, a questo punto, voglio tu capisca che, nonostante abbia un forte desiderio di privarti di ogni indumento, ora non posso e voglio allo stesso tempo».
Maya avvertì un brivido correre lungo la schiena, «Ma... perché? Io, non...».
«Non dire una parola di più. Purtroppo ora devo riconoscere i miei errori...», la interruppe Sir Kita, che riprese a spogliarla della camicetta fino ad aprirla e mostrare un reggiseno bianco in pizzo che copriva un piccolo seno aggraziato.
«Questa meraviglia...», disse ancora, abbassando la voce, «Non spetterebbe a me di baciarla».
Maya rabbrividì mentre Sir Kita le sussurrava all'orecchio, guidando la sua mano dietro la schiena, e questo costrinse il preside a slacciarle l'indumento intimo, ma subito dopo ritrasse la mano con un movimento brusco.
«No, scusami, Maya», disse infine, «Non dovrei mai metterti in questa posizione, e tu non dovresti tantomeno portarmi a fare quel che stavo facendo. È sbagliato, e lo so, dovresti saperlo anche tu. Dobbiamo porre fine a questi nostri comportamenti».
Maya lo guardò, sorpresa e confusa mentre reggeva il capo sul seno scoperto per metà.
«Ma Kita... io... è difficile. C'è qualcosa tra noi che non posso negare».
La ragazza Ombra azzardò a baciare il preside e lui si fece prendere dal bacio violento e passionale, approfondendo di poco, finché non si ritrasse velocemente e si alzò in piedi dalla poltrona, gridando, «Maya! Non funziona così!».
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