8.| You don't know me.

Il battelo scivola sulle acque calde di una Miami spenta, l'una di notte si spalanca nell'oscurità facendo tremolare appena qualche stella.

Sono così piccole e delicate viste da qui, da queste vetrate sporche sembrano quasi affogare nei nostri boccali di birra e fra il rosso del marmo per terra.

Una pioggia di brillantini ci bagna sovrastando le urla del dj, addosso sento mani che non mi appartengono e la voglia di respirare di nuovo fuori da questa calca di copri sudaticci e corpi che si sfiorano.

Ballo e rido sbronza, così fottutamente felice di nulla di importante e su di giri per qualche tiro di sigaretta aspettando l'alba.

Le labbra dello sconosciuto di fronte a me anelano alle mie, sono rosse e carnose ma soprattutto maledettamente vicine. 

Sembrano volermi attrarre nel loro raggio di azione così vermiglie a contrasto con la carnaggione bianca e il ciuffo moro che ricade morbido lungo la mandibola.

Si avvicina al mio collo, gioca con la bratella del vestito infilandoci una sigaretta, è così malizioso e tentatore il suo approccio.

Le nostre mani si separano, indietreggia fra la folla camminando all'incontrario solo per non perdere di vista il mio di sguardo.

Non so come, non so perchè mi ritrovo a rincorrerlo.

Man mano che la folla lo risucchia dentro avverto l'incessante necessità di rincorrerlo, di poter sorreggere ancora una volta quelle iridi color buio.

L'ho notato dall'inizio di questa serata alternativa, quando facevo a botte con il mal di mare e lui era seduto al bancone con una chitarra affianco e lo sguardo basso pronto ad evitare il mio; sarà stato che ero troppo nervosa ed infondo lui era troppo misterioso, siamo finiti con il cercarci nella folla e ballare insieme fin quando ce n'era.

Non so nemmeno il suo nome, so solo che c'ha delle ciglia lunghe e i polpastrelli così levigati che quando non sono intendi a giocare con il giubbotto di pelle ti sfiorano disegnandoti la pelle d'oca addosso.

Spalanco le vetrate venendo a contatto con la notte, rabbrividisco tutta nel momento in cui il vento mi colpisce appena sopra la bocca dello stomaco: il vestitino di seta color carne scopre le mie gambe adattandosi perfettamente ad ogni mia forma.

<<Sapevo che m'avresti cercato.>>

Lo sconosciuto mi rivolge le spalle, la giacca di pelle è consunta e screpolata sembra quasi avere più anni di colui che la porta.

Lo raggiungo poggiando i gomiti sulla ringhiera, sotto di noi si spalanca la scia dell'imbarcazione con le sue acque bianche.

Gli porgo la mia sigaretta, quella che aveva appoggiato sulle mie spalle e lui dal canto suo l'accende senza remore imboccandomela con una delicatezza fuori dal comune.

<<Joshua.>> si presenta accartocciando fra le sue mani l'orlo del mio vestito, segue con gli occhi ogni cicatrice della mia pelle per poi farsi ancora un po' più vicino.

Ha degli occhi profondi, oserei dire quasi calamitali.

<<Belle.>> sorrido mordendomi un labbro con violenza, vederlo così vicino accende un fuoco dentro me così difficile da domare eppure così debole per poter durare più di una notte di bravate.

Intinge l'indice nel suo bicchiere di birra, gioca con i fianchi dell'oggetto di vetro per poi portare la sua mano a contatto con le mie labbra.

Vi passa il liquido inumidendole, lasciando che la mia lingua raccolga quel poco di alcol che può guadagnarsi.

Con la testa che gira maledettamente da sola e le gambe che tremano, i piedi nudi sulle travi di legno mi solleva di peso portandomi sul bordo di quella balaustra in ferro battuto.

Stiamo facendo cose senza senso eppure va bene così.

Regge il mio sguardo così bene, così dannatamente bene che viene naturale intrecciare le mie gambe intorno alla sua vita e scordarmi delle vertiggini.

Dovremmo baciarci, sfiorarci ma a me va?

<<Non ho voglia di passare subito al dunque.>> cedo imbarazzata.

Lascia scivolare un palmo della mano su per il mio collo, giocando con qualche ciocca di capelli per infrangere a tutti i costi la mia bolla di sapone, questa barriera che da sempre mi separa dal resto.

Alle mie spalle i grattacieli, le piccole palme e le spiaggie si disegnano con il loro profilo fatto di ombre e spazi vuoti.

<<Perché dovrei rinunciare?>>

Lascia che la mano scivoli lungo il mio corpo e afferri le mie guance inerti, sembra conoscere la mia pelle senza aver mai avuto modo di sfiorarla.

Posa una fila di baci umidi in cui perdo per un'istante la facoltà di scegliere, lui mi bacia ed io divento sua senza volerlo.

No, non c'è un "poi" c'è solo un "adesso" ed io sto lottando contro il tempo che sia passato o presente, contro lui e contro me, nel mentre sto cercando di provare un'emozione che non sia un'incognita.

Il profilo di Joshua si disegna a pochi centimetri dal mio volto, ha lo sguardo fintamente perso su tutte le piccole macchioline ed i nei che cospargono la mia scollatura.

<<Ti ho detto di non averne voglia.>>

Lo respingo seppure al contempo stesso necessiti di lui per mantenere l'equilibrio essendo seduta spalle al mare.

Sembra essere impossibile intimorire le persone, vorrei poter restare sola con i miei pensieri e riordinare un po' le cose.

Restare da sola con questa testa che gira oramai da sola senza sosta.

Non deve essere intenzionato a lasciar correre, deve essere preso da chissà quale obbiettivo e lo lascia intendere allungando una mano in mia direzione.

Ha vinto, nuovamente lo sento respirare sul mio collo troppo vicino per non sentire il suo profumo su di me.

Le lacrime incominciano a scendere giù veloci, non capisco dove ho sbagliato.

Ho sbagliato con me: io che voglio tutto e niente, io che cerco di piacere a tutti e a nessuno, io che evito la gente, che cerco e poi smetto di capirla, io che mi chiudo in me perdendo coordinate e finendo con il non credere più neanche me stessa.

Asciugo le perle salate che cascano giù dagli occhi, oramai non ho più trucco, non ho più un filo di niente.

<<Non si approccia così ad una ragazza.>>

La voce profonda di Justin si afferma alle spalle di Joshua, lo sovrasta.

frugo nel miele di Juss senza ritegno e lui lascia fare: non trovo nulla di cattivo, nessun segno di rimprovero.
Se ne sta lì con le spalle illuminate dai raggi fiochi della luna, la camicetta bianca sbottonata e i mille tatuaggi sui quali scorrono goccioline di sudore e qualche succhiotto violaceo mal nascosto alla vista. 

Il viso lucido, gli occhi ancor di più per il cipiglio e l'espressione acida che ha assunto sono incoronati dal lungo ciuffo biondo cenere che ricade sul lato sinistro del viso.
L'ho sempre odiato ma ora? È la mia unica ancora di salvezza.

Joshua indietreggia, non so come possa intendere tutto questo casino che si è creato per così poco, dovrei saper gestire le cose da me senza dover coinvolgere terze persone ma non ci riesco.

Non ultimamente.

Chiudo gli occhi dimenticandomi di entrambi, lasciando che il rumore dell'oceano sotto me mi culli il poco che basta per evadere da qui.

<Che fai, piangi?>>

Avverto il corpo di Juss scivolare lentamente fra le mie gambe, sfiora appena il mio ginocchio per poi irrigidirsi tutto.

Non è bravo a consolare, non è bravo a consolare: sebbene mi abbia stretta tra le sue braccia io avverto come un distacco, come se non abbia voglia di andare a fondo.

Vorrei aprirmi con lui e parlare, come persona matura e magari rimediare al male fattoci.

Le lacrime continuano a colare veloci e bagnano la sua pelle che sa di sale: sale su sale, delusioni su delusioni.

<<Lei non è roba di tutti, è un tipino che non sa cosa possa essere la resilienza.>>

I polpastrelli di Juss sfiorano le mie labbra, mi ostino a rimare impassibile eppure il cuore comincia a correre da solo.

Sorrido.

<<Se è roba tua levo mani.>>

Il moro d'altro canto non se ne è andato, rimane spalle alle vetrate a guardarci come si guarderebbe una cavia in laboratorio; a giudicare dal suo sguardo torvo non è rimasto contento dell'evolversi della serata, dei miei capricci infiniti e dei baci non dati.

Avrebbe potuto essere da tutt'altra parte ora, con tutt'altra ragazza, avrebbe potuto divertirsi e sentirsi pieno e appagato per qualche istante.

<<No, non lo potrebbe essere.>>

Justin ci fredda entrambi con una sola risposta.

Con una sola risposta ha saputo etichettare Joshua come privo di dignità e me come il nulla, qualcosa indegno di essere guardato.

Non rispondo, cosa dovrei dirgli? Dovrei forse ammettere che è fonte di ragione? Che sono un totale disastro? Che sono odiosa ed inadatta? So, io so che non sono così io sono solo umana.

<<Grazie.>> sussurro a vuoto con acidità, non dovrei e me ne pentirò ma oramai nulla è più certo.

Tra di noi le cose non sembrano poter funzionare ed io non ho voglia di retrocedere, lascio pure che l'orgoglio finisca con il distruggerci entrambi.

<<Ti sto antipatica?>> domando a bruciapelo, vorrei che mi guardasse negli occhi e la smettesse di evitare il confronto.

Possiamo farcela, possiamo diventare amici una parte di me ne è convinta lo vedo da come continua a stringermi a se pur di non vedermi cadere di sotto.

Lo so perchè lui stasera è qui con me.

Non risponde, lascia che la domanda gli scivoli addosso come anche il mio corpo ed il nostro contatto fanno: per quanto io sia stretta fra le sue braccia, per quanto io lo ritenga indispensaile, lui è sempre più lontano.

So, so quanto per lui io conti poco più di nulla.

Fruga nel mio verde, chissà cosa mai noterà in questi occhi cristallini.

Cosa hanno di diverso da quelli di Janet?

<<Mi sei indifferente.>> sussurra appena lasciando andare i miei fianchi, irrompe nell'atmosfera spezzandola.

Mi lascia poggiare nuovamente piede a terra, mi aiuta nello scendere da tale balaustra con il trucco sfatto e gli occhi gonfi senza più percezione di nulla.

Joshua rientra sbattendo la porta.

Ed io?

Nessuno mi vuole con sè.

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