7.|Lil Stubborn.
Le feste e i bagordi non sono mai stati qualcosa di propriamente mio.
Lancio un'occhiata perplessa al disordine generale in cui vessa il soggiorno, sono bastate poche serate per trasformare questo luogo nel mio habitat naturale.
Scanso un paio di tacchi, crogiolandomi nel mio maxi pigiamone.
Sa di lavanda ed è di una morbidezza tale dal finire con l'abbracciarmi.
Ho gli occhi contornati da strati senza fine di mascara, il correttore sbavato, lo chignon spettinato e tanta voglia di cioccolata calda.
Quattro giorni di feste.
Dopo quella sera, ho preso a frequentarmi sempre più con il gruppo e ciò ha comportato notevole stress e trasferte da un lato all'altro della città.
È una serata di quelle nuvolose, di sopra ho preparato il mio libro e le lenzuola sono già tutte stropicciate.
Le nottate più lunghe della mia vita, gli hang over mal digeriti, i giochi demenziali e l'insonnia saranno un ricordo indelebile di questa Miami sempre triste e piovigginosa.
Trascino a stento il sacco della spazzatura su per il vialetto di casa, se zia fosse in casa questo genere di cose non sarebbero un problema.
Ma non lo è, ed io come sempre ho la dannata abitudine di rimandare cose che andrebbero fatte subito.
Fa freddissimo stasera, è come se il cielo avesse deciso di comprimerci e schiacciarci sotto il peso di un'umidità assillante.
Rabbrividisco, cercando di non inciampare fra ciabatte e mattonelle sbeccate.
Il vicinato è fin troppo tranquillo, restare qui da soli la notte è qualcosa di pauroso e lugubre allo stesso tempo: ti ritrovi a spiare ombre traballanti alla finestra cercando di accontentarti di qualche rumore secondario, passato magari in sordina eppure utile per comprendere come ancora ci sia vita qualche uscio più in là.
Delle volte chiamo mia madre, viene comodo parlare con mia sorella Tiffany e nel mentre cercare di ignorare piccoli rumori, altre invece preferisco restarmene da sola, anche a costo di accendere tutte le luci della casa e fare un giro di controllo per poi spegnerle mano mano.
Le serate qui nelle zone residenziali sono tuttavia sempre calme, monotone mai diverse.
Qualcuno mormora giu in strada, sento appena delle voci tenuo parlottare.
Qualche metro più in là, il cortile dei Clark è fiocamente illuminato e nel porticato bazzicano più figure.
Lascio andare il sacco rovinosamente, urta la casella delle lettere facendone cadere una pila.
Zia ha il maledetto vizio di infischiarsene della posta.
<<Fanculo.>>
L'uscio della villetta al di la della strada si richiude di scatto, risuonando tetra.
Il lanternino alla destra della vetrata si spegne, e consequenzialmente vengono meno anche i faretti che tempestano di luce il prato inglese ben curato.
I Clark hanno ufficialmente posto un vetro fra loro ed il mondo.
Sono sempre stati dei tipi strani e sulle loro, zia li ha sempre creduti loschi e particolarmente avvezzi alla malavita.
Una figura barcolla rovinosamente in strada, è incappucciata e a malapena i lineamenti si distinguono nella notte.
Cade rovinosamente sull'asfalto, sembra essere un gesto di liberazione.
Si raccoglie tutta nella sua figura portando le ginocchia al petto, vagando malinconicamente con lo sguardo.
Mi affretto ad entrare in casa, la situazione non sembra essere delle migliori.
Le mie insicurezze sembrano prendere forma così realistiche, così vere.
<<Bel pigiama, Belle.>>
Mi si ghiaccia il sangue nelle vene, non può essere.
Non deve essere, quella voce odiosetta si fa strada in me quasi sapesse a memoria gli angoli più nascosti della mia psiche.
<<Ti hanno messo in punizione?>> grido di rimando.
Il vento è gelido e mi schiaffeggia in pieno volto, sono costretta a guardarlo da lontano avvolta nelle mie braccia.
<<Scappi da me?>>
Ironizza lasciando cadere il cappuccio, rivela i suoi occhi nocciola.
Quegli occhi che mi hanno ignorata da quando sono entrata a far parte della sua vita.
Decido di raggiungerlo, probabilmente è un'idea assurda eppure mi ritrovo a camminare spedita sull'asfalto trascinando appena le mie ciabattine nuove: perché mi attrai nella tua orbita?
Cazzo.
Ci concediamo una tregua, il tempo di guardarci negli occhi e capire quanto nessuno dei due sia disposto realmente ad aprirsi sembra bastare.
Si addossa ad una motocicletta nera accarezzandone la fiancata lucida, stretto in quel giubbotto di pelle sembra essere sicuro di se stesso quanto basta per ignorarmi.
Alcune ciocche di capelli crollano sfinite dallo chignon e adombrano la mia vista, anche da disastro ho trovato la forza di soccorrerlo.
Ancora.
Ricordo bene del nostro primo incontro, di come lui si lamentasse del non saperci fare con le ragazze.
In parte è vero, è un totale disastro a stento riuscirei ad esserci amica eppure mi sto impegnando per prestargli aiuto: è ilare, doveva proprio trovarla una testarda come me.
<<Hai avuto problemi con Janet?>> azzardo.
Dovrei farmi un pacco di affari miei ma vederlo qui crucciato e deluso muove un senso di pietà in me, tento in vano di afferrare il suo sguardo: è impossibile, vaga su per le finestre chiuse di quell'enorme villa aspettandosi forse che la sua bionda si affacci.
Non risponde, chiude gli occhi reprimendo la rabbia e si nota dal modo in cui ispira, da quelle labbra serrate che non ha voglia di parlare con me ma fa bene parlare, è vitale e lui non lo sa.
<<Hai freddo?>>
Le labbra sono violacee, come sempre e per quanto si impegni ad evitare i miei occhi attenti non mi è scappato quel filo di pelle d'oca proprio su per collo.
Preme con forza una mano sulla mascella, al contatto con le sue stesse mani rabbrividisce tutto.
Un po' di sangue cola dal suo labbro inferiore, è di un rosso scarlatto ma lui ignora senza neanche voler prendersi l'appretto di controllare piuttosto si lascia rigare e sporcare.
<<Fai sempre tutte queste domande?>>
Chiede, i suoi occhi si degnano finalmente di reggere un mio sguardo ed io non abbasso i miei.
C'è così tanto disprezzo nella sua voce, non comprendo sinceramente.
<<Potremmo essere amici, provarci.>> sbotto, i brividi percorrono la mia schiena senza posa ed io, io vorrei solamente essere da tutt'altra parte.
Mi guarda impassibile, non gli interessa nulla della mia presenza perché non l'ha desiderata. Semplice.
<<Dovresti andare a casa, non hai proprio nulla da fare la notte?.>>
Suggerisce indicandomi l'abitazione con la sigaretta spenta, ha il vizio di portarle dietro l'orecchio come si farebbe con una matita.
L'accende incurante della mia presenza, m'alita in faccia quel fumo grigio con il solito sorrisetto sarcastico dipinto in volto.
Per la prima volta dopo quattro giorni ha accennato al nostro primo incontro, fa strano pensare che egli sia sempre stato a conoscenza di me eppure non abbia nemmeno minimamente provato a capire chi realmente sono, a ringraziarmi.
<<A me non va.>> sussurro testarda.
Sospiro, affiancandolo.
Il contatto dei nostri corpi lo irrita, scala lasciando posto a sufficienza tra di noi per una terza persona...
Lasciando semplicemente un vuoto.
E va bene così se lui ritiene che sia questo il modo di trattare la gente, guardarmi dall'alto in basso con quel sopracciglio inarcato e l'espressione di chi ha il mondo nelle proprie tasche mischiato ad un po' di tabacco.
<<Buonanotte, Bieber.>>
Non ha senso rimanere qui a guardarlo, a tentare di creare una conversazione che tanto lui si rifiuta di instaurare.
Imbocco la strada di casa di nuovo, scossa dal vento e dal fatto che in generale tutto sembra essere troppo freddo per me che metto il cuore in ogni piccola cosa.
Anche la più stupida.
Voltarmi a guardarlo l'ho fatto un paio di volte, mi ha seguita con lo sguardo fino a casa e ha sorriso di me ma credo c'abbia perso lui: sono qui per ascoltarlo eppure a lui sostanzialmente non va.
Chiudo la porta alle mie spalle stremata, con la voglia matta di riprendere la mia lettura e staccare almeno in parte da questa sorta di limbo: dove io cerco irrefrenabilmente di piacere agli altri e loro mi voltano le spalle.
In cucina i piatti da lavare sono troppi, non ho neanche voglia di mettere le mani nell'acqua ma devo farlo.
Le piantine da cucina si affacciano alla finestra oramai secche, hanno un bisogno disperato d'acqua ed io come sempre le ho ignorate, messe ad un angolo ed escluse.
Avvio la cucina, ancora soprappensiero riempio la lavastoviglie e preparo l'annaffiatoio.
Con quale sfacciataggine pensa di poter trattarmi male? Come una pezza? L'ultima del carro?
Ho trascorso questi pochi giorni con la sua comitiva per trovare qualcosa da fare, probabilmente perché pensavo fosse la cosa giusta ma non ci sono secondi fini, non è lui il secondo fine.
Deve essere talmente abituato ad essere posto al centro dell'attenzione da averlo pensato, almeno in parte.
Non potevo immaginarmi che fosse davvero composto di ombre e non di luce.
Spalanco la finestra che dà sulla strada beccandomi un'altra folata di aria gelida, stavolta i fari accesi di una motocicletta mi abbagliano senza alcun motivo.
Porto istintivamente le mani agli occhi, maledicendo Justin e quanto di più caro possa avere: è un bimbo.
Solamente un bimbo immaturo.
<<Buonanotte, Lil Stubborn.>>
Quella voce roca è finta da un accenno di risata.
Il rombo della moto diventa man mano più forte, poi sempre più lontano su per le strade dorate di Miami.
Ed io ancora una volta rido con lui, poi lo odio.
Ancora non ho capito, chi sei?
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SPAZIO AUTRICE:
Ho deciso di pubblicare una sorta di diario segreto di Justin in cui troverete tanti retroscena raccontanti dal punto di vista di Justin, la storia si chiama Bieber's Diary.
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