55.| Your dark side is eating me alive.




ATTENZIONE, importante:

Il seguente racconto è stato estrapolato da "Shadows" romanzo autobriografico realizzato cinque anni dopo l'accaduto, i cui diritti vanno interamente agli autori Belle Blanc e Justin Bieber.


Lì Los Angeles,  gennaio del 2***.


Erano passate da poco le cinque e il caffè saliva borbottando in cucina, Juss lo affiancava a torso nudo annusando di tanto in tanto le note aromatiche.

Finii di impilare la spesa negli appositi scaffali scompigliandogli i capelli, borbottò qualche parola dolce venenodosi a nascondere nell'incavo del mio collo.

Preparare il caffè era divetata una delle sue attività preferite, da alcuni mesi lo avevo affiancato insegnandogli pazientemente ad usare la macchinetta all'italiana e lui di quei mille passaggi ne era rimasto affascinato.

Il bilocale da noi affittato era sommerso dagli scatoloni, c'eravamo trasferiti da circa tre settimane e le nostre famiglie c'avevano sommerso di articoli per la casa.

La convivenza a me non pesava per niente, mentre con Neville vivevamo in stato confusionale sempre sbronzi e impasticcati circondati da buste di droga e bottiglie vuote con Justin qualsiasi cosa aveva il suo preciso tempo e spazio ed il tutto era perfettamente diviso in due. 

Tiffany rotolò giù dal divano con uno sbadiglio, si mise la copertina sulle spalle e corse scalza da Juss.

<<Buongiorno, principessa!>>

Le posò un bacio delicato sulla fronte stringendola forte fra le braccia, erano diventati oramai inseparabili.

Justin portò velocemente la tazzina di caffè alla bocca ingurgitando il liquido, poi di fretta e furia si fiondò in camera da letto per prepararsi.

Come ogni venerdì avrebbe accompagnato Tiffany ai corsi di nuoto sincronizzato per poi raggiungere la propria palestra, lo vedevamo come un momento tutto nostro della settimana: loro due che si infilavano cappotti e guanti ridendo a crepapelle, io che sulla porta di casa davo un bacetto ad entrambi.

Il nostro equilibrio s'era ripristinato, almeno in parte.

Pattie molte volte veniva a trovarmi, facevamo lunghe passeggiate sottocasa o addirittura cucinavamo insieme: parlare con lei ininterrottamente dei miei era salutare, fu sicuramente la psicologa di cui negai sempre il bisogno.

Anche lei iniziò progressivamente a sentirsi meglio, ad assumere sempre più dosi ridotte degli antidepressivi di cui faceva giornalmene uso: il lavoro offerto da mia zia iniziava a fruttare e la fiducia riposta nel marito aumentò esponenzialmente.

<<Amore ci vediamo più tardi.>> strillò Justin precipitandosi all'ascensore, quel giorno erano in ritardo più del dovuto penso.

Juss se ne uscì lasciando ovunque il suo profumo, quel calmante che non sapevo dosare,a cui non sapevo rinunciare.

Quando la porta di casa si richiuse alle loro spalle tirai un sospiro di sollievo, incominciai a rollarne una con impazienza.

Da quella fatidica notte di capodanno molte cose cambiarono nella mia vita: se da un lato avevo in un qualche modo ritrovato una famiglia dall'altro l'ansia e la mia psicologia già molto instabile erano miseramente crollati a pezzi.

Kristal fu l'unica a capire esattamente il mio stato mentale, l'unica a poterlo fare avendo lei stessa un passato turbolento: finimmo così a fumare canne nello Stabilimento e a parlare, parlavamo ormai di tutto avvolte nella polvere, circondate da lattine sporche di birra e graffiti sbiaditi.

1,2,3 perdevamo il conto di quanti mozziconi spegnevamo al suolo, di quanti segreti ci raccontavamo spontanee.

Era un periodo particolare anche per lei, la morte della nonna pressochè povera e la convivenza con Lucas la stavano sfiancando.

Lei totalmente l'opposto di lui.

Lui così buono e fragile, lei così incazzata e diversamente debole non si capivano quasi più.

Lucas avrebbe voluto che lei smettesse con le droghe ma del resto la stessa Kristal era cresciuta a tentoni con quelle.

Guardavamo il sole calare gradualmente poi con la mente che incespicava fra le nuvole ci mettevamo in macchina e chissà come riuscivamo a tornare a casa,delle volte ci ospitavamo a vicenda, delle volte ci fermavamo al primo Mc squallido di turno.

Così anche quel pomeriggio da sola in cucina accesi ai fornelli e cominciai a fumare, con le Molly era un continuo tira e molla: seguivo un corso di terapia, tentavo eppure in una città come Los Angeles era ed è difficile scappare da determinate tentazioni.

Il fumo aumentava in ogni caso la paranoia e gli attacchi di panico, era l'altro lato della medaglia e purtroppo non fui la sola a combatterci.

Justin.

Justin ed io ci sballavamo insieme, era un secondo modo per fare l'amore: il televisolre acceso, netflix sullo sfondo, la pizza per curare i risvolti della fame chimica, i nostri cuori malandati ed un paio di coperte per riscaldare un freddo piuttosto interiore.

Lui aveva incominciato dalla nostra rottura, il resto aveva consolidato il vizio ed ora ci tenevamo su per miracolo assieme.

<<Con l'erba puoi smettere quando ti pare.>> ci ricordavamo stesi sul letto, ed era in parte vero senonchè noi non volevamo smettere.

Non potevamo rimproverarci, non potevamo neanche vagamente desiderare di smetterla perchè quella sostanza era d'aiuto dal momento che entrambi eravamo incapaci di creare e mantenere la stabilità.

Lei lo faceva per noi.

Ma divago.

Quel pomeriggio la pioggia incominciò a battere con insistenza contro i vetri, poi le gocce scivolavano giù quasi a voler fuggire dai lampi che si stagliavano sul cielo tetro.

Stavo osservando alcuni miei scatti per un'importante rivista di moda, la voce di Scooter si alzava seria e assonnata in vivavoce illustrandomi altri importanti progetti a cui avrei dovuto lavorare, annuivo pur essendo distante.

Mentre in quel lavoro di cui non mi fregava un cazzo tagliavo importanti traguardi, la mia vita personale ristagnava monotona e tossica.

Drin. Drin.

Il campanello suonò con insistenza, rapidamente riattacai lasciando le fotografie sparse sul tavolo, la tazzina di caffè oramai imbevibile e il mozzicone ancora fumante nel posacenere.

Nel momento in cui aprii la porta uno spiffero gelido mi percosse, le ante dell'ascensore si richiusero con un bip metallico lasciandomi sola davanti al nulla.

Nessuno.

Il vuoto su quel pianerottolo scialbo, le luci a neon che vibravano illumando il marmo impolverato del pavimento.

Potevo essermi confusa, probabilmente ero troppo intossicata quindi feci per rientrare.

E invece no.

Nel richiudere la porta qualcosa mi colpì: uno scatolone giaceva ai miei piedi, era tenuto chiuso da una quantità industriale di scotch e spago, sul marroncino del cartone poche lettere illegibili.

"Non un bigliettino, non un qualcosa da firmare" osservai.

Lo raccolsì da terra con un'espressione disturbata e contrariata dall'accaduto, un sesto senso ,ovvero il predominante, mi tormentava.

Feci scivolare il pacchetto sul tavolino in salotto, lo guardai da lontano mentre prendevo dalla dispensa del liquore.

Mi accomodai sul divano rimanendo lì, tu per tu a fissarlo asettica: aspettavo una consegna? Ovviamente no.

Il bicchierino con il liquido ambra, il telecomando, la copia delle chiavi di casa di Juss e il pacco.

Ancora il bicchierino con il liquido ambra, il telecomando, la copia delle chiavi di casa di Juss e il pacco.

Non riuscivo a farmi coraggio, come sempre non riuscivo a fronteggiare il problema da persona matura ma credo, anzi ne sono quasi consapevole che la maturità c'entrasse ben poco.

Il dolore che mi terrorizzava, quella scarica di adrenalina che ha poco di piacevole e tanto di devastante.

<<Fanculo.>> sbottai allungando le mani verso quel regalo indesiderato.

Strappai l'involucro con violenza, lo sbriciolai al suolo rivelando una scatola colma di oggetti vari: un registratore, un vecchio quadernino, dei fogli ammucchiati in ordine sparso.

Il quadernino fu ciò che scelsi di analizzare per primo, nonostante la poca concentrazione e lucidità.

Non vi trovai nome alcuno, tantomeno riuscii a decifrare quella grafia così disordinata.

Le pagine erano un continuo elenco di nomi femminili afiancati da cifre modiche di denaro, poi sparsi qui elì degli asterischi che rimandavano note a fondo pagina.


Anna Flores, + 20.00 $

Lydia Torres, - 15,00 $

Ava Adams, +30.00 $

Skylar Gomez, *50.00$

*quattro mesi, piuttosto che uno.

Ciò che cercai in primo luogo fu il nome di mia madre, in seguito il mio scorrendo con avidità quegli elenchi infiniti.

Non trovai alcun nome conosciuto, qualcuno contrariamente suonava familiare ma credetti vivamente fosse solo un'impressione data la quantità di cognomi molto diffusi.

Mandai giù un lungo sorso di liquore e trattenni le lacrime che altrimenti sarebbero sgorgate velocemente dai miei occhi arrossati a causa del fumo, il liquido bruciava a contatto con la gola eppure sembrava depurare.

A tratti recuperata un po' di lucidità pensavo che quella situazione così scomoda fosse un fottuto trip: un' allucinazione che la mia mente sedata riproduceva attingendo dal mio inconscio.

Tutto ciò infatti non poteva avere a che fare con me, nessun mio conoscente portava quei nomi.

Instintivamente tesi la mano verso il registratore, tergiversai sui pulsanti di quell'oggetto nero con il cuore che sfiorava la gabbia toracica.

<<Non c'ho il coraggio.>> sbottai lasciandomi cadere all'indietro.

Che voce avrei ascoltato? E se non fosse stata roba mia? Poteva trattarsi di un errore, quel pacco poteva essere destinato a qualcun'altro eppure mi convinsi che solo scavando più a fondo avrei potuto scoprirlo.

Dovetti rigirarmelo non poco tempo fra le mani, prima di aver il coraggio di avviare quella che doveva essere la prima delle due tracce presenti sul dispositivo.

Un suono stridulo occupò i primi secondi, era come un suono strascicato e infamiliare e a me venne su la pelle d'oca.

Registrazione:

" Ti do tutto quello che vuoi ma devi starti zitta, cazzo. "

Silenzio.

Saliva, lingue che si cercano, mugolii indistinti.

Silenzio ancora, respiri affannati, risolini.

Fine registrazione.

La data di tale registrazione risaliva all'ottobre dello stesso anno e quella voce era tutto fuorchè sconosciuta.

Deglutii ancora stesa di lungo sul divano, ricordo benissimo come tutto intorno a me prese a sbiadire velocemente ovattato dalle lacrime.

Fui scossa da singhiozzi violenti, ad un tratto non sentivo più nulla.

Non volevo sentire.

Allentai la presa sul bicchierino che si infranse al suolo, strozzai un ultimo respiro arresa all'ennesimo attacco di panico a cui avrei saputo dare un nome.

"Justin, perchè?" sussurrai, spalancando gli occhi su quel soffitto bianco.

Dicono che per uscire fuori da un attacco di panico sia sufficiente appigliarsi alla realtà, riprendere facoltà dei cinque sensieafferrare qualcosa accanto a te.

Così lo feci.

Ricordo ancora il volo infinito che quella scatola di cartone fece, la spinsi con tutte le mie forze ma ancora più nitidamente ricordo ancora il liquore cadere a terra e scorrere lungo il pavimento immacolato.

Alcuni di quei foglietti ripiegati che avevo notato aprendo la scatola si rivelarono essere delle stampe di articoli del giornalino della scuola, stampe a colori e precise quanto il dolore che mi aveva in pugno così vivido.



"Janet Clark tradita ancora, il nuovo membro delle cheerleaders nuova fiamma di Justin Bieber."

"Justin Bieber e le pause di riflessione in cui è.... attivissimo."

"Justin Bieber, James Smith e Lucas Jones e lo scandalo delle scommesse."


Impallidì sgrando gli occhi, raccolsi quei fogli da terra tremante dando un'occhiata alle date di pubblicazione di ognuno e rimasi esterefatta.

Finalmente capii, con gli occhi ancora lucidi e la rabbia che pian piano si placava.

Tutto ciò effettivamente non faceva parte del mio passato bensì del passato di altri, si andava a ritroso di anni due o forse tre anni arrivando al cuore delle crisi interiori non del Justin che conosco io piuttosto di Bizzle.

Ed il mio di cuore si aprì a metà ricordando le parole e le lacrime di lui mentre confessava tutto a me, io che al tempo ero inginocchiata sul baratro della depressione ed egoisticamente pensavo solo ed esclusivamente ai miei problemi e che quindi finii ben presto per dimenticare le sue parole.

Pietà, rabbia, dolore: quante emozioni ancora avrei provato?

flashback , capitolo 45 Holy Shit.

<<Non ho una cazzo di famiglia, ho solo sensi di colpa e di certo non fermezza mentale.>> grida imboccando un viale pressappoco avvolto nel buio, siamo circondati dalla periferia più degradante e tra un murales cadente e tizi malconci le parole sembrano venire meno.

<<È tutto vero: ho usato ragazze, ho fatto corse, ho portato la droga in casa dei miei, ho passato nottati in cella mentre mamma a casa piangeva, mi sono beccato le botte degli sbirri, ho fatto a chi gridava più forte con i miei zii, mi sono accompagnato con la gente più disparata mischiando all'alcol traumi infantili.

Ho pensato di andarmene, ho pensato di lasciarli tutti qui. Tu non capisci Belle, sono un padre prima ancora di un figlio.>>

Mi strappa dal collo la collana da lui regalatemi, l'unico pezzo sopravvissuto di "Bizzle".

Nel fare ciò si distrae notevolmente, noto come più volte il manubrio sembri scivolare via al suo controllo ed ancora il nostro avvicinarci sempre più ai cigli della strada.

<<Pensi che sia stato facile per me scegliere te? Tu che mi ricordavi sempre della mia ingenuità prima dello schianto e ancora poi della merda nella mia vita?>>

Prendiamo a pieno un sacco dell'immondizia, l'auto traballa quel poco che basta per stabilizzarsi.

Ha le lacrime agli occhi anche lui, sono così lucidi che tuffandomici dentro ne uscirei depurata.

<<Perchè mi hai scelto, allora?>>

<<Ne ho bisogno.>>

fine flashback.

Duglutii e lo perdonai per quelle scommesse, per essere stato Bizzle prima di me.

Non potevo non perdonarlo per quegli sbagli passati, per quei fantasmi che lo tormentavano, che lui stesso aveva esternato sull'orlo di una crisi di nervi.

Lo perdonai perchè lui era stato per me i colori rosati del tramonto: quei colori vividi che rendono bella persino la rovina.

Lui era presente non passato, ed in questo presente l'avevo visto farsi temporale, l'avevo visto solidale, l'avevo visto padre, l'avevo visto unico.

L'unico ad esserci come una costante, una costante d'inchiostro indelebile.

Lui difficile da allontanare dal mio capezzale nonostante le mie lamentele, nonostante i buoni motivi per voltarmi le spalle.

Che infondo eravamo entrambi tenebre, oscurità che s'innestava nell'oscurità germogliando vita.

Un controsenso che riesciusciva ad esistere ed essere reale, vero, indiscutibile.

Mentre squadravo il soffitto, stesa ancora su quel divano con il soggiorno oramai in disordine lo perdonai anche d'altro.

Lo perdonai di quel bacio, di quel "basta che tieni la bocca chiusa" o quel che era e che avevo sentito in registrazione.
Lo perdonai perchè nei suoi occhi ogni giorno si leggeva chiara la paura dell'abbandono.

Quale ragazza ,oltre me, conosceva Juss come le sue tasche?
Chi doveva tacere qualcosa?

Una ed una sola persona oltre me lo avrebbe potuto ferire, una ed una sola era stata sua preda e sua compagna.

Nessun'altra come Janet conosceva le ferite ancora aperte di Juss, nessun'altra come Janet avrebbe potuto ricattarlo.

"O con me o senza di lei."
Credeva di poterlo far innamorare ancora, semplicemente obbligandolo ad amare.
E nel caso in cui l'avesse rifiutata a causa mia?
Il benservito sarebbe arrivato subito, nessun'altra come Janet avrebbe potuto riempire quello scatolo di vendetta.

Justin stette al gioco non per piacere ma per scelta.

Lo fece per amore, lo fece per tenermi, lo fece per vergogna e paura che io saputo tutto su quelle scommesse l'avrei odiato.

Lei nel frattempo collezionava prove su prove per colpirci ancora, consapevole che di ferite io e Juss ne avevamo molte anche in comune.

Questo scatolo porta per certo la firma di Janet.

Così per la prima volta stesa su quel divano risi, era una risata nervosa ma carica di sollievo: noi così incasinati da incasinarci la vita, a spiegarlo sembra un gioco complesso di psicologia eppure non m'importa: io Juss lo scelsi per questa sua tendenza al problematico che è poi la stessa mia.

Uguali e matti.

Matti e uguali.

Rebus senza soluzione, paradossi su due gambe.

Prima di ascoltare l'ultima registrazione mi presi del tempo per rollarne un'altra, s'erano fatte le sei e mezza e i riscaldamenti davano dei problemi.

Justin di ritorno avrebbe trovato un casino, l'appartamento freddo e un forte puzzo d'erba ma non mi interessava volevo procedere con calma e del resto con calma sarebbe ritornato a casa lui stesso che fra le tante cose doveva accompagnare mia sorella a casa di zia, a fine allenamento.

Avviai quella benedettissima registrazione consapevole che non avrei permesso al passato di intromettersi tra me e Bieber, l'avviai mentre me ne stavo rannicchiata fra le coperte saettando lo sguardo inespressivo fuori dalla finestra.

Mandai alcuni messaggi a Chad come se niente fosse, del resto il suo nome era l'unico che non compariva su quelle scartoffie e del resto lui aveva assorbito già tanto e troppo di quel mio dolore ristagnante: ricordo quando a capodanno vedendomi svenire pianse, a ricordarlo quasi piango anche io.

Lui dal giorno zero la cosa più pura che mi sia capitato di tenere fra le mani, dopo mia sorella.

Pioveva ancora ma una pioggia di quelle sottili ed impalpabili inoltre il salotto era caduto in uno stato perpetuo di penombra, non più illuminato da lampi fugaci.

La registrazione partì preceduta ancora una volta da quello strano rumore metallico.

M'aspettavo un marcato accento americano, femminile e così del resto fu, m'aspettavo anche una voce tagliente e grondante di improperi ed invece......











Questa registrazione è contenuta nel prossimo capitolo ossia l'ultimo.

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