55.| Lighting more cigarettes pouring more drinks.

Epilogo

Versailles, due anni dopo.

Ci lasciammo tutto indietro, la cenere che aveva ripulito ogni peccato e la pioggia che cadeva lenta sulle braci ancora calde.

Juss pensieroso maneggiava tabacco e filtri, aveva le labbra carnose inumidite e gonfie come se il sangue vi stesse affluendo a fiotti.

Il salotto era cosparso di appunti e tazzine di caffè, più che una casetta in affitto sembrava essere diventata una biblioteca universitaria.
Essere tornata in Francia senza i miei, fu un colpo al cuore.

<<Che c'è?>> proferì sostenendo il mio sguardo insistente.
Addentò l'ultimo trancio di pizza per poi sfilare la t-shirt rivelando l'addome sporco di inchiostro ed ombre, c'avevo espresso l'anima su quel che rimaneva della sua pelle.

Con la mano sinistra reggeva la tempia, qualche ciocca ricadeva giu ribelle sfiorando di poco gli angoli del libro che aveva in mano.
Scelse la facoltà di economia, del resto era prevedibile. 
"Tutto suo padre" avrebbe aggiunto Pattie.

A proposito di Pattie, loro saranno già pronti.

Nell'accendere la sigaretta un guizzo di luce balenò nelle sue iridi rendendo quel castano dei suoi occhi, oro.
Era malinconico e bello come sempre, con le paranoie che gli pendevano dalle labbra ed il passato che si tramutava in nuvole di fumo ed incubi.
Gli JustFour erano ancora una band e si sarebbero preparati ad un primo grande tour nazionale.

<<Vestiti o faremo tardi.>> arrossii scuotendo il capo con voga, stringendomi nell'asciugamano bagnata.

L'umidità francese non mi dava tregua ed io avevo il terrore di aver già rovinato la piega fatta quella mattina, oggi era il grande giorno.

Ricordo ancora il suo petto che si sollevava a ritmo dei respiri, affannosi e costanti.
Sullo sfondo un buio pesto e profondo della metropoli notturna, il suo profilo illuminato dalla luce calda e aranciata del vecchio lampadario che proprio non ci piaceva.

Scomparii nel corridoio buio, lasciandomelo indietro.

<<Faremo tardi.>> sbottai esausta non sentendo i suoi passi venire verso me.

Parlavo spesso da sola, da quando a Los Angeles convivendo con Justin ero diventata la donna di casa.

La mattina ero stata agitatissima.
Avevo infatti portato il velo, percorso una navata infinita con lo sguardo di Justin fisso sul mio sedere davanti ad oltre tremila invitati.
Tiffany aveva portare le fedi.
S'era deciso unanimemente senza remore, lei di certo non avrebbe sbagliato.
Avrebbe percorso quella  navata con le sue ballerine nuove, un passo dopo l'altro senza mai inciampare.

Estrassi dall'armadio il vestitino che avevo scelto per il ricevimento, era aderente in raso color smeraldo.
Fasciava bene il busto, cadeva più morbido sui fianchi lasciando la scena al vertiginoso spacco laterale.
Avrei indossato un girocollo importante dalle pietre di un caldo color oro.

Se ne era occupata zia come del resto sempre, disse che a mia madre sarebbe piaciuto.

<<Belle, posso?>> Justin mugugnò.
Non mi girai, dopo mesi di convivenza ancora trovavo impensabile voltarmi verso lui mostrandogli la mia pelle nuda.

<<Che panorama questa camera.>> esclamò ridendosela di gusto. 

Avvampai tutta bisticciando con la cerniera laterale del vestito, già sentivo i suoi polpastrelli percorrere la mia schiena con la stessa delicatezza con la quale sfioravano le cartine.

<<Stasera ti farò impazzire.>> mugugnò ancora non appena mi piegai per sistemare il cinturino delle decoltè.

<<Muoviti idiota.>>
Urlai di rimando sbattendo la porta del bagno alle mie spalle.

Il posto in cui saremmo andati non ammetteva cadute di stile, ripensai tracciando la linea di eye-liner il più minuziosamente possibile.

Si lamentò, come del resto sempre per un minuto buono.

Lo sentii, qualche minuto giocherellare con l'orologio e i polsini, nel mentre canticchiare: mi convinsi che probabilmente si era dato una mossa.

***
Il ricevimento fu noioso contrariamente ad ogni mia aspettativa.

Mia zia si stava sposando con uno degli imprenditori più ricchi della città di Los Angeles, dando avvio ad una vita di eccessi e ciononostante la festa sembrava essere una noia mortale.

Quando finalmente Juss e Tiffany ebbero finito di giocare con il cibo torturando le coppie che si dedicavano un valzer potemmo farci un giro.

<<Questo è meraviglioso.>> esclamò Justin osservando il suo riflesso rimbalzare da uno specchio all'altro.

Lessi una nota di malizia nella sua voce o feste era solo il mio desiderio incessante di rimanere appartati anche solo cinque minuti.
Gli invitati infatti ci avevano preso di mira, ed eravamo così passati da una presentazione all'altra per tutta la durata dell'aperitivo.
Ad oggi ricordo ancora cognomi e conversazioni.

Appannò gli imponenti battenti alle sue spalle con un tonfo che dopo poco venne nuovamente risucchiato nel silenzio.

Era mezzanotte e mezza, la luna piena uno spicchio di universo che si faceva strada fra le fitte nubi bluastre.

La reggia di Versailles come location per il matrimonio di mia zia...

<<Impensabile.>> esordii.

sorrisi persa nei ricordi, lasciando cadere la stola dalle spalle.
La adagiai su di una sedia sollevando della polvere.

La Sala degli Specchi era invasa da una forte luce ambrate, pendeva dalle gocce di cristallo dei bei lampadari come pioggia di sole ed irradiava le pareti già cariche di ori.

Il buio si stagliava all'orizzonte dei finestrini inghiottendo la radura francese ed i giardini, con le siepi fitte dai profili perfetti.

<<Come siamo arrivati qui?>> borbottò Justin sfregandosi con foga la mascella.

I candelabri proiettarono luce sul suo viso rilassato, non aveva più gli occhi rossi per il fumo ed ora le sue iridi limpide erano oro fuso.

<<Non lo so.>>
Ammisi schiudendo le labbra già anelando alle sue.
Il silenzio finalmente dopo tanto.

Nell'aria risuonava il valzer che i convitati stavano danzando qualche stanza più in là, arrivava indistinta.

Avvertii i suoi palmi richiudersi con violenza attorno ai lembi del mio vestitino, come a voler constatare la realtà e a tenerla stretta.
Negli attimi di tenerezza era così tra noi.
Afferravamo tutto da egoisti, da avari con la paura che persino il più effimero dei piaceri deludesse, svanisse.
Quei piaceri che tra noi erano tutt'altro che scontati piuttosto assenti, bastardi.

<<Pensi ne sia valsa la pena?>> sussurrò spazzando dal mio volto ogni incertezza.

<<Tutto il dolore intendo.>> rincarò cercando di colmare il mio silenzio.

<<Non me lo chiedo più sai, da un po' di tempo.
Ero solita chiedermelo ogni singolo giorno, quando aprivo gli occhi.>> risposi accoccolandomi per terra.
Non c'erano ulteriori sedie perche quella era una galleria, quindi ci sedemmo l'uno accanto all'altra quasi quel discorso fosse troppo pesante dall'affrontarlo in piedi.

<<Ed ora?>> chiese curioso schivando il mio sguardo ma raccogliendolo indirettamente nel riflesso dello specchio di fronte a noi.
Aveva gli occhi colmi di noi, lo ricordo bene.

<< Quando affondo tra le tue braccia sai di nicotina, non d'erba.
Quando posso incrocio Kristal sul lavoro, ed è un portargli il cornetto in ufficio piuttosto che nel ghetto.
Capisco che è incominciato il weekend quando scappo da Chad lasciandoti casa libera ed il giorno dopo non devo combattere con l'hangover e le tue scenate di gelosia.>>
Sorrisi mestamente lasciando intendere che avrei potuto continuare ancora a lungo eppure entrambi già sapevamo, poteva immaginare.

<< Abbiamo sofferto per poter essere pienamente noi stessi.
Era parte dell'adolescenza, lo rifarei ancora ed ancora.>>
Aggiunsi notando dei cipigli adombrargli il viso.
S'illuminò come appunto mi aspettai.
Avevamo oramai vent'anni e tutta la vita davanti, volevo andare avanti fino in fondo.
Non potevamo prometterci di rimanere l'uno affianco all'altra  per sempre, però potevano crescere assieme ed andava bene così.

<< Guarda!>> come un bimbo stupito che indica la luna su in cielo, lui tese la mano verso le volte del soffitto.
erano colme di dipinti ed affreschi.
Dei più svariati.
Il sorriso gli morì sulle labbra lasciando spazio ad un'espressione angelica.
Rilassata.
Si stese di lungo affianco a me.

Cambiò argomento, lo faceva sempre.
Era difficile per lui guardare indietro lucidamente, paradossalmente non imparò mai  ad assorbire dolore e a rilasciarlo nel tempo poco alla volta per obliare la memoria.

Cambiava argomento per non cambiare umore, in quel periodo fu difficile fargli piacere scelte e decisioni: il coming out di Chad ad esempio, fu sicuramente una di quelle cose con cui avrebbe bisticciato a lungo.

Io nel mentre avrei asciugati le lacrime di Alicia.

<<È bellissimo.>> si lasciò sfuggire per l'ennesima volta e a me parve che parlasse di lui.

Il petto gli si sollevava lentamente, dalla scollatura oramai aperta della camicia sbottonata le ombre dei tatuaggi premevano per uscire fuori.

Sfiorai le sue labbra ed egli ebbe un sussulto, erano morbide e schiuse come ad aspettare le mie.

Deglutì nello spostarmi da quelle, lui di contro digrignò i denti in un'espressione a metà fra l'estasi ed il dolore.

<<Tu sei bellissima.>>
Mi vidi persa.

Non ci volle molto perché egli mi fu addosso, il suo profumo mi inebriò.
Si fece strada su per il collo con dei baci violenti, fra le mie gambe la sua presenza si fece più intensa.

Zzz.
La cerniera del mio vestito che vedeva sotto il tocco ingombrante di lui.
Mi aspettavo di rabbrividire a contatto con l'aria umida della stanza ma la stoffa restò ancora su di me.
Coprì ancora le mie curve.

<<Piccola.>> mormorò tra gli affanni, bastava un mio bacio per risvegliarlo, per far sì che fra mille pensieri solo uno divenisse il predominante, la ragione per cui ansimare e ardere ancora un po'.
Bastava che i miei polpastrelli si insediassero su per il suo pomo d'adamo e stringessero il freddo metallo della sua cinghia.
Come del resto feci.

Farlo lì, in quella stanza sarebbe stato un misto di piacere ed adrenalina.
Un ricordo di quelli difficili da cancellare, un segno indelebile sulle porte del cuore.

La luce aranciata cadde sui nostri corpi, riscaldò l'atmosfera.

<<Voglio sentirti mia centomila volte.>>
Ansimava a pochi centimetri da me, lo guardai dritto negli occhi e mi sentii cedere.
Cominciò a torturarmi le labbra.
Erano morsi.
Erano baci.

Poi scese giù troppo lento toccando ogni millimetro di raso come una reliquia, lo obbligai con i palmi a raggiungere il punto di non ritorno.

<<Guardaci.>>
Mormorò mentre affondava il viso fra le mie gambe.

Ci vidi riflessi nei mille specchi della sala.
Noi. Vestiti.
Noi. Nudi.
Sempre e ancora noi.

I suoi capelli fra le mie mani, il suo corpo perfettamente scolpito che ricco di ombre era bagnato da luce.
Non eravamo più ombre eravamo luce.

<<Assaggiati.>> sussurrò baciandomi subito dopo avermi regalato l'orgasmo.

Mi fece sua in ogni angolo di quella stanza magica, guardando a fasi alterne il mio corpo ed i riflessi negli specchi rettangolari che si stagliavano fino al soffitto.
La bellezza disarmante di un quadro: noi due nudi sotto una tempesta di affreschi e candelabri dalle fiammelle danzanti.

<<Guardati cosa sei.>>
Esclamò prendendomi da dietro, faccia allo specchio.
Con la mano destra accarezzava i seni, con la sinistra tirava i capelli.
Entrava dentro e sussurrava parole dolci ed io ne chiedevo ancora e di più. 

Alzai lo sguardo sul suo corpo che si univa al mio, per un momento credetti di aver visto tutto quello che di bello ci potesse essere al mondo.

<<Justin.>> mugugnai.
Poi me lo fece gridare.
Bagnai le sue dita di saliva.

Non saprei dire quanto tempo appunto passammo chiusi lì dentro quella notte.
Nessuno ci vennero a cercare.

Mi trovai su di lui mille volte ancora, sotto le mie spinte mentre boccheggiava.
Fissava il girocollo giallo al mio collo pesante fra i miei seni e sfiorava ora uno ora gli altri.
Non volle che lo togliessi.

E ripeteva:

<<Belle.>> quasi fosse un mantra, mentre veniva.

Fumammo poi su quei balconi, con le braccia tenevo su la stoffa verde smeraldo quanto bastava per coprire le intimità, lui affianco a me avvicinava di tanto in tanto la sigaretta alla bocca succhiando con forza per aspirare e la luce aranciata delle candele che sopraggiungeva alle nostre spalle.

Mi immaginavo essere il filtro di quella sigaretta.

Il petto si sollevava scosso da un respiro ansimante, i pantaloni slacciati cadevano morbidi sui fianchi.
Fu la sigaretta after-sex più piacevole della mia intera vita.

Passò la mano fra i miei capelli arruffati e mi strinse a sè.
Il blu della notte si fece più intenso, non ci sarebbe mai stata un'alba.
D'un tratto non esisteva più il resto.
Era quello il mio posto nel mondo.
Rannicchiata contro le sue clavicole dal profumo di buono.

<<Sei tu la mia casa, Belle.>>


" Omnia vincit amor et nos cedamus amori.

Fine.


Spazio autrice:
" L'amore vince tutto e noi cediamo all'amore."
Ora posso porre la parola fine, lo faccio lasciando i protagonisti sullo sfondo di un ambiente luminoso.
Justin e Belle non sono più Ombre (Shadows) ma luce.
Quindi Shadows non avrebbe più ragione di continuare ad essere scritta.
Ero incerta nel mettere o meno scene di questo tipo, come sapete le ho evitate nel fors della stesura eppure l'amore è anche e soprattutto questo.
Prenderò dei giorni per scrivere i ringraziamenti perché voglio curare anche e soprattutto quello mei minimi dettagli.
Con tutto l'amore che sapete Cam.🌸

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