51.| Can't escape from reality.

La campanella prende a suonare in maniera insistente, sciami di matricole si riversano nei corridoi a gruppetti serrati trascinandosi gli zaini colmi di libri inutili e appunti che tanto a partire dal terzo anno incominceranno ad ignorare.

Kristal accende come sempre la solita sigaretta, si trascina sulle scale nel complesso troppo fatta per distinguere gli scalini mentre prende ad elencarmi delle feste a cui dovrei di sicuro partecipare ma alle quali mi presento quasi mai.

Alicia ci ha abbandonate, con la scusa del dover prendere ripetizioni di matematica a casa di Chad.
La spagnola ha cominciato ad essere man mano sempre più assente soprattutto nei giorni in cui, non essendoci rientro, si ci può fermare fuori a mangiare.

<<Dannazione, daddy è venuto a prenderti.>> sbotta Kristal litigando con le calze a rete e la minigonna di pelle, ha un modo tutto suo di venire vestita a scuola.

Alzo lo sguardo sul nugolo di fidanzatini apprensivi, tra questi spicca il volto assorto di Juss: i suoi occhi puntano ai miei e li spogliano feroci, sono arrabbiati i suoi e talmente rossi e cupi dal perdermici per una frazione di secondo.

<<Che fai?>> ridacchia la mia amica osservandomi accendere una sigaretta tattica.
Le lancio uno sguardo languido come a voler intendere uno dei miei soliti "aspetta e vedrai."

Una settimana di assenze, Justin non sa proprio affrontare la sua ragazza incazzata. Proprio no.

Vuole la guerra? Che guerra sia.

Punto diritto alla sua persona spintonando un paio di cheerleader civettuole, le loro divise colorate e il mio abigliamento nero non vanno granchè daccordo.

<<Cazzo ci fai qua?>>

Oramai credo di star urlando, il mio zaino lo colpisce in pieno petto e cade ai suoi piedi totalmente inerte.

Lo fulmino con lo sguardo mentre prende a sogghignare, come sempre del resto ma stavolta non cedo, stavolta sono qui per spaccargli quel bel visino o meglio per prendermi il rispetto che mi spetta di diritto.

Mi attrae a sè portando le sue mani lungo i miei fianchi, è un contatto voluto e contrastato assieme.

<<Dovremmo parlare.>> mormora cercando in tutti i modi di incastrare i nostri corpi in qualcosa di molto simile ad un abbraccio.

Devo fare appello a tutte le mie forze per districarmi dalle sue premure, per quanto io provi a contrastarlo nel complesso la sua figura sembra prevaricare sulla mia ed annientare anche la più piccola probabilità di vincita.

<<Non c'ho da dirti niente io.>>

Colpisco il suo petto con i miei pugnetti, so quanto inutile sia ma davvero fargli del male ora come ora è l'unica cosa che riuscirebbe ad appagarmi, a farmi sentire meno stupida e raggirabile.

Mi lascia andare oramai arreso e forse stanco del mio atteggiamento, in quelle iridi brilla una luce diversa che io stento quasi a conoscere: perennemente irritato, ombroso e sempre sulle sue.

Da un po' di tempo sembra essere caduto in un baratro dal quale non vuole per sua inclinazione risalire.

<<Mezza scuola domattina parlerà di noi, contenta?>> sibila con quel tono odiosetto, si volta a salutare un'altra manciata di amici con il più falso dei sorrisi stampato in bocca.

Ha indosso la sua divisa da giocatore di basket, è sui toni del viola e del giallo e nel complesso gli dona se non fosse per quel cipiglio con il quale mi guarda, che sembra voler sottintendere la sua ragione e il mio torto.

<<Noi? Chi noi?>> sottolineo lasciando cadere della cenere calda sulla sua pelle, tuttavia non accena a scostarsi piuttosto prende a giocherellare con la fibbia del mio giubbotto di pelle quasi come se ritornare bambini possa essere l'unica soluzione per riavvicinarmi a lui.

Avrà partecipato a chissà quale torneo, chissà quale stronzata accompagnato da quella gallina della sua ex ragazza a cui ultimamente sembra aver dato una "seconda possibilità".

<<Belle, Belle, Belle vuoi proprio ritornare a piedi oggi?>>

Picchietta il quadrante del suo orologio da polso in maniera convulsiva, quelle lunghe dita sembrano poter muoversi a ritmo dei secondi.

Sanno di tabacco quelle mani e a me di solito piace baciarle, succede quando ho tanta voglia di nicotina e poca volontà per comprare un pacchetto nuovo di sigarette.

La mia corrispondenza partirà fra cinque minuti e purtroppo per me è l'ultima della fascia oraria.

<<Fottiti, vado in macchina con il primo che trovo.>>

Potrebbe sembrare una provocazione eppure per me è coerenza, di salire in macchina con lui ed il peso delle sue bugie proprio non ne ho voglia.

Fingere che non ci siano problemi, che in realtà non siamo cambiati è inutile: siamo diversi da quelli che eravamo e sostanzialmente questa è la radice di ogni male, anche il più infimo.

Io non sono più la ragazza che aveva necessità di ascoltare l'altro perché momentaneamente sono troppo assorta nel reprimere una parte nascosta di me che urla per uscire,  lui invece oramai è talmente perso dal non trovare neppure più se stesso.

Non ha mai smesso di essere perso, non sa che ruolo ricoprire e sente le responsabilità fin troppo sue.

<<Tu cosa?>>

Ringhia, avverto la presa sulla mia vita diventare dolorosa.

Le vene violacee lungo le sue braccia spiccano al sole mentre tenta in vano di immobilizzarmi, prende ad inumidirsi le labbra con insistenza rendendole rosse e gonfie.

Da baciare, probabilmente.

<<Faccio il cazzo che mi pare, Bieber.>>

Oramai siamo fronte contro fonte, per quanto lui tenti di influenzarmi con quel suo sguardo arcigno io riesco a reggerlo: ci siamo sorretti e scelti per ben sei mesi, non saranno le occhiaie e il suo alito caldo lungo il mio collo a fermarmi ora.

Può sbuffare, agitarsi e pregare in ginocchio eppure io ho bisogno di risposte e certezze.

Non ha scusanti, ora.

<<Tu sei roba mia, non vai in macchina con nessuno.>>

Conclude secco, scostando qualche ciocca ribelle dal mio volto.

Gioca con i miei capelli delicatamente, in mente avrà una rivoluzione.

<<Ammesso e non concesso, neanche quello più.>>

Sorride come imbambolato, sottolieando con le rughette espressive all'algolo degli occhi nocciola le sue iridi arrossate.

Sono di un rosso intenso, il sangue sembra affluire a fiotti.

Profuma di menta, il che è assai strano.

<<Si può sapere che ti prende?>> sussurra baciucchiandomi il collo, così lentamente dal far salire su una scia di brividi piccoli ed appena pizzicati.

Sorride contro la mia pelle barcollando un po' fra le mie braccia, come se potessero reggerlo.

Sfrega la guancia con quel cruccio da bimbo che mi ha sempre affascinato, è in grado di sottomettersi con poco: bisogna saperlo prendere per bene.

<<Giochi con chi ti pare ma con me no, okay? Che ti sei fumato?>>

Abbasso lo sguardo sulla mia sigaretta, la calpesto per bene cercando di scaricare così il nervosismo tuttavia non mi giunge risposta alcuna.

Non pensavo potesse spingersi così lontano, naufragare sotto i miei occhi ed io lasciarlo andare quasi assente, inesistente.

Ho fallito come fidanzata o forse è stato un incidente inevitabile? Sono stata del resto la prima a lasciarsi andare, ad affogare.

Tira su la zip del mio giubotto di pelle sino a coprire la scollatura, fino a comprimermi fra la stoffa nera del mio maglioncino nero.

<<Sono seria Justin, hai fumato?>>

Gioca con la cerniera, le dita che rincorrono i particolari argentei e graffiano i polpastrelli per poi sorridere.

Sembra voler desistere dal prarlarmi, del tipo "tanto non capirà" e non è vero perchè c'è un motivo se adesso io sono qua, c'è sempre stato un motivo in tutto ciò che abbiamo fatto.

Rifarei tutto, infondo.

Stiamo davvero gettando la spugna e mi fa rabbia, non c'è orgoglio che regga: si distrugge lui? finirò con il distruggermi anche io.

<<Dillo pure che ti sei stufato di stare con me ma non nascondermi le cose, cazzo.>> mormoro con le lacrime che oramai vengono giù copiose, fanno del mascara un fiume e a me va bene così poichè tirando le somme è routine anche questa.

<<Eh?!>>

Il suo sguardo regge finalmente il mio, non per un secondo, non per un minuto ma quanto basta per chiarire ogni mio dubbio.

Deve essere dalla realizazione di una paura che l'attacco di panico ha inizio.
Così succede a me, almeno.

Incominci a sentire un vuoto ela necessità matta di respirare e piangere allo stesso tempo, tuttavia per quanto le lacrime escano l'ossigeno sembra proprio non voler entrare.

<<Ti calmi?>>
Cerca di sorreggermi quando è il primo a non potersi reggere.

Come posso pretendere da un drogato aiuto?

La verità è che non vorrei che fosse arrivato a "farsi come una pezza" per me, eppure realizzo solo ora di non bastargli ed addirittura di mancargli a tal punto dal devastarlo.

<< Vattene a fanculo.>>

Lo graffio, affondo le mie unghie nella sua carne come sempre.

Lo faccio quando facciamo l'amore, lo faccio quando ho necessità di ferirlo.

<<No, io resto qui affianco a te.>>

Bacia la mia fronte fredda, sarà più bianca del solito ed i miei occhi verdi saranno tanto stanchi dal sembrare vitrei.

Devi allontanarti da me lo capisci?

<<Non ti manca Janet?>>

Troppe volte le mie lacrime sono piovute lente sul suo impermeabile, sarò io ora a preservarlo dalla pioggia se vorrà.

Se potrò almeno in parte restituirgli quella serenità che Janet era in grado di riservargli, ed io queste cose gliele vorrei dire eppure non ce la faccio.

Non ci riesco.

Asciugo con le mie stesse mani tremanti le mie lacrime, le spazzo via dipingendomi il volto con il nero del mascara.

La chioma rossa fluente di Nevil ci passa accanto, il mio pusher ci passa accanto: è lui che mi ha in pugno, che mi vorrebbe sotto le coperte e mi fornisce questo schifo di roba che ogni giorno mi ritrovo a consumare.

Prendo a parlare con Nevil come farebbero due amici di vecchia data, gli chiedo indirettamente un passaggio.

Stavolta è Justin a sbiancare, ad incazzarsi nero.
Scalcia la ruota della macchina prendendosela di brutto con il paraurti, i suoi occhi color caramello mi seguono sprezzanti: per mesi ha cercati di scoprire chi mi fornisse la roba, ora finalmente lo sa.

<<Non toccare la mia ragazza.>>

La voce di Juss stilla veleno, socchiude gli occhi portandosi una mano alla tempia.

La mano di Nevil si ritrae di scatto dal mio busto, avrebbe voluto probabilmente esortarmi a raggiungere la macchina ma il mio ragazzo ha sempre avuto fiuto per certe situazioni.

Juss riesce a mantenere il controllo per poco.

Con uno slancio si porta avanti, mi ritrovo con le mani sul suo petto per cercare di placare il suo respiro pesante mentre continua ad aggitarsi e riempire Nev di improperi, agita convulsamente le nocche bianche cercando di colpire l'avversario anche di striscio.

<<Se gli dovessi mettere le mani addoso tra noi è finita.>> bisbiglio, osservando goccioline di sudore rigargli il volto.

Non tenta di aggirarmi, semplicemente mi stringe a sè.

Rifiuto di tenerlo ancora per molto addosso, di tenerci pelle contro pelle.

Lo lascio andare, lui del resto preferisce voltarmi le spalle e riprendere facoltà mentali chiuso in macchina.

Sbatte la portiera e si richiude nel suo mondo.

Faccio cenno a Nev di avviarci, non sembra essersi scomposto più di tanto ed il pallore solito del suo volto lo evidenzia.

Al nostro allontanarci Justin perde completamente la testa, con i pugni sul volante fa partire più volte il clacson.

Nevil vorrebbe parlare, io vorrei scomparire...

<<Belle?>>

Mi offre una sigaretta, scusa vecchia che però con me non regge.

<<Portami a casa e sta zitto.>>

Avrei potuto dirlo in altri termini, avrei potuto mentire ma per oggi, almeno per oggi credo sia meglio lasciar stare con le bugie.

Il mio giubotto di pelle è troppo stretto, il semipermanente è sbeccato, nulla è al suo posto e Los Angeles sarà vuota stasera come i bicchieri di shots che butterò giù in compagnia delle mie amiche.

A Chad:

Questo è il vecchio indirizzo di Elisabeth, pensaci tu ad un eventuale sopralluogo.
Sunset Boulevard ***

Stasera finirò con il pensarti Juss e l'andare da nessuna parte.
Merda.

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