45.| Holy Shit.
Brancolo nel buio aiutata dalla luce dei lampioni e di quella della sigaretta accesa relegata all'angolo della bocca, stretta a malapena tra labbra gelide che non smettono un secondo di tremare.
Per quanto io possa tentare di nascondere il battere incessante dei miei denti il vento si diverte a tracciare incertezza sulla mia pelle scavando a fondo fra le scapole, il tessuto di velluto che ho indosso serve a poco più che sentirmi bene con me stessa.
Quest'aria fredda impregna la carne così bene dal farmi affogare nei miei stessi brividi, è da un po'che per lo stringermi nel mio blazer la catenina di Juss sta incidendo graffi sulla mia pelle.
L'insegna del cinema all'aperto diviene man mano più lontana e nel mentre il parcheggio si apre intorno a noi.
Penso sia una di quelle trovate così speciali, Chad con quelle sue guance rosse e l'innocenza in volto è un inguaribile romantico.
Portare qui Alicia per coronare un primo appuntamento, le giostre ed ancora le lattine di Coca e l'odore dei pop corn caldi...
Le caramelle rotolano nell'involucro producendo uno strano gorgoglio, le urla dei ragazzi che si precipitano fra le bancarelle è qualcosa di così distante dalla mia attuale condizione.
Direi crudele.
Lancio un'occhiata di traverso alle effusioni che una Alicia barcollante dedica ad un Chad inspiegabilmente timido, sono cosi belli insieme sembra quasi che la vita li abbia voluto tali.
No, non è una cosa scontata quando si è stati ad un passo dall'assaporare i lati più oscuri del dolore.
Il marciapiede sporco sembra essere infinito, i tasselli rotti fremono sotto me sbilanciandomi ad ogni passo, sbuffo una nuvoletta di fumo decidendo di camminare lungo l'asfalto.
Stasera vorrei che qualcuno mi tendesse il braccio.
80 chiamate senza risposta, il confronto evitato, l'ignorarsi al distributore e a mensa correre su per le scale: ripeto mentalmente la mia settimana priva di aspettative mentre rifiuto a manetta le chiamate di zia Margaret.
Una bambina scettica mi oltrepassa imbronciata, la madre ripete in maniera insistente che per quanto non lo si voglia è ora di andare a casa.
Ricordo perfettamente quando per strada di notte gli alberi sembravano un enorme intruglio di membra pericolosamente volte verso l'alto, pronte a separarmi dalla luce delle stelle eppure io a letto proprio non ci volevo andare.
Giocavo nel cortile di casa fino a notte fonda, mi è sempre piaciuta l'oscurità e l'essere oltremodo anonimi nell'arco di dieci ore.
Ad Alicia stasera è piaciuto lo zucchero filato, ha bevuto forse troppo ed ora brilla si è sdraiata sui sedili della sua Ford Mustang Cabriolet, con il cielo sopra e poca voglia di guardarlo.
Quegli occhi celesti così persi nel castano, supereranno questa nottata di bagordi?
Sì, vuole andare fino in fondo ed io glielo leggo dentro: gli occhi di Alicia sono libri sempre così ingenuamente aperti.
<< È stata una serata fantastica.>> strilla slacciandosi gli anfibi neri cadono con un tonfo sull'asfalto zittendo il parlottare dei ragazzi.
Sono tutti infangati ed è un peccato, l'euforia le si è disegnata in volto con un sorriso.
<<Dovrei guidare io.>> sussurra Chad al mio fianco quasi intimidito, è perennemente in ansia: soffre al pensiero del suo futuro prima ancora del presente, così impegnato ad essere sospeso fra i suoi "ma" ed i "però".
Le adagia la sua giacca sulla pelle scoperta, quelle calze coprenti per quanto possano sembrare calde non lo sono affatto.
Eppure lei non se ne frega, sa bene cosa pretendere adesso.
Ha voglia di essere accompagnata a casa , ha voglia del bacio sulla porta che di solito si dà per dirsi buonanotte.
L'auto d'epoca scricchiola allo scaldarsi dei motori, il volto di Chad è paonazzo e scommetto che i pensieri lo stanno bombardando.
Mi concedo dalla coppia senza pronunciare parola alcuna.
Non ho mai amato etichettarli "migliori amici" penso sia una di quelle convenzioni per dirti che c'è gente a cui racconti tutto, persino quanti respiri al giorno butti giù.
Preferisco chiamarli amici intimi, di quelli che ti entrano dentro e fanno un po' come se fosse casa loro.
<<Va tutto bene?>> le iridi rosse di Kristal sanno già quanto io sia predisposta a mentire, è forse per questo che non lascia scivolare via il suo sguardo premendo con forza per catturare il mio.
Ha i capelli probabilmente cotonati fino al limite della decenza e delle ciocche nero corvino spuntano qui e lì stonando poichè accostanti ad un biondo platino frutto di ulteriori tinte fai da te.
Ma è bella lo stesso, è bella davvero.
Si concede l'ultimo tiro di sigaretta mentre Lucas le si è avventato al collo, per quanto brillo e fuori controllo possa essere quei baci umidi sanno di un sentimento vero.
Chi mai lo avrebbe detto? Lei stronza, lui audace?
Delle volte ordinano così bene la tua vita, questi amici.
Annuisco in ritardo quasi a barricarmi fra i miei pensieri, un'altra occhiataccia di Kristal potrebbe mandare questo fortino in rovina.
Dallo scambiarsi "roba" con K. sotto lo sguardo di viandanti asettici e il ritrovarsi sulla strada di casa è un attimo.
Non capirò mai quanto in fretta va questa vita, possibile mai che morte la talloni così instancabilmente?
Lo sguardo ammiccante di James all'orlo risalito del mio vestitino nero non riesce a passare in sordina, brucia contro le calze velate un po' come i riflessi argentei della luna.
Si ferma quei dieci minuti per parlare del più e del meno, seduti assieme sugli scalini del mio palazzo grigio e spento.
Né un'anima, né una mosca.
Parla dell'università, dei suoi problemi adolescenziali aiutato un po' dall'alcol un po' dalla sigaretta.
Parla e dice cose di cui a me frega poco e niente ma ascolto, ho sempre saputo ascoltare la gente.
Nell'andarsene ha le lacrime agli occhi, dice che s'è fatto tardi ed è meglio per tutti ed è strano: il mio piccolo mondo di certezze crolla effetto domino.
Kristal è bella davvero, Alicia infondo è desiderosa di essere accompagnata a casa, Lucas sa tenere testa e James, James è dannatamente profondo.
Così lo accompagno con lo sguardo mentre si allontana avvolto in quel giubbotto di pelle, lui che dice di soffrire per il sentirsi dannatamente insicuro e sbagliato.
Mi ha detto di non saper se sta facendo la cosa giusta: percorso di studi corretto o vita allo sbaraglio?
Accendo la mia sigaretta delle 3.00 sconvolta e felice di essere meno sola a questo universo.
E se oggi vedessi l'alba?
Sono state nottate chiusa in un bagno a mandar giù o fumare "roba" senza preccupazioni, nottate di insonnia e fame chimica.
Vorrei solo non avere le occhiaie così prominenti, vorrei solo non aver perso così tanti chili, vorrei solo non aver litigato con zia.
Un rombo minaccioso si affaccia giù nascosto dalla curva, da quello sporco fast food all'angolo della strada con le sue tapparelle abbassate e il sudiciume fino al bordo del marciapiede.
Una Maserati verde elettrico si precipita a tutta velocità facendo sollevare la pila di giornali vecchi accumulati da Mrs.Skyes al primo piano.
Un giornale colpisce a pieno il parabrezza per poi disperdersi con il conducente fra i grattacieli e le lucine insignificanti, qualche uomo finisce il suo barcollare sulle note rock che rimangono quel poco sospese in aria.
E' questa una delle poche sere passata da sobria, penso mentre spalanco il portone del palazzo constatando il mio impeccabile equilibrio.
Il solito odore fresco di menta mi invade, lancio uno sguardo malinconico alle piantine dell'omonima pianta apparteneni al portinaio.
Un veicolo probabilmente accostatosi illumina con la luce vagante dei suoi fari l'atrio che mi si prospetta davanti.
Dovrei muovermi a salire, di notte Los Angeles non è amica di nessuno.
Un fischio.
Ignoro prontamente, altre volte avrei avuto voglia di attaccar brighe eppure non stasera.
Un ulteriore fischio, per quanto non possa sembrare è di richiamo piuttosto che di apprezzamento.
Sentirsi nuda ed in fallo, che fai: non ti volti?
<<È finita questa merda.>> esordisce una voce ruvida e diretta.
Il conducente ha abbassato il finestrino facendosi solcare il volto da rivoli d'aria gelida, spazzano quel volto disegnando un rossore perenne.
E' Juss.
<<Niente di meglio da fare?>> commento nascondendo la delusione nell'affondare le mani fra i miei capelli ribelli.
Neri come la notte che ci ascolta.
Le porte dell'ascensore nell'atrio si aprono con un tintinnio secco nel silenzio generale, avverto il trascinarsi di pantofole sul marmo consumato ed ho un tuffo al cuore.
Zia mi aspetta sempre in macchina la sera, non importa cosa, si tiene sempre pronta nel caso dovessi chiamarla, nel caso dovesse intervenire.
La figura incespica nell'ombra per poi arrestarsi di botto.
<<Belle, sei tu?>> flebile e fiduciosa.
Mi si inumidiscono gli occhi ma che fare?
Lei sa, sa dei miei vizi peggiori ed ora ne vorrà sicuramente parlare eppure io non ho voglia di tornare a "casa".
L'occhiata che Juss mi rivolge è penetrante, sa leggermi bene dentro e ha già capito tutto.
Non dovrei eppure...
L'ultima cosa che odo è l'urlo straziante fra i singhiozzi di mia zia, la sua camicia da notte che fruscia nell'oscurità mentre mi allontano dalla sua persona.
Il silenzio di Juss sembra voler ammettere che io sì, ferisco tutti.
Ha lo sguardo fisso sul parabrezza, per quanto la strada scorra quegli occhi non la rincorrono sono semplicemente vaganti nel vuoto, impassibili.
Scorre tutto eppure non il suo orgoglio.
Si nasconde dietro interrogativi a cui non so dare risposta, interrogativi che mi interessano.
Non mi perdonerà mai ed io lo so, è possibile che il mio agire così subdolo abbia ferito chi più amo al mondo eppure non vedo cos'altro avrei potuto fare.
Delle volte la vita è un tunnel, una strada a senso unico che vale la pena o l'obbligo imboccare.
Affonda le mani in un sacchetto colorato al suo fianco portandone il contenuto alla bocca, ha il navigatore satellitare acceso con su scritte strane e pallini luminosi.
Esattamente perché sono saltata in macchina con lui? Raccolgo il mio capo fra le mani cercando un senso all'impossibile.
<<Mi meraviglia sempre più questo tuo essere così egoista.>>
Scuote il capo inumidendosi le labbra, il salato dei pop corn lo irrita in quanto sono miliardi le ferite aperte per il freddo di fine novembre.
È bello davvero, non l'ho dico di frequente eppure lo penso.
E non sono i lineamenti delicati a farmelo capire, ma quanto di provocante dietro di essi si cela.
Non lo rispondo e di conseguenza mi becco un'occhiata di sguincio, ha gli occhi di un castagno scuro.
Penetrano così dentro quasi a violentare i miei segreti. possibile.
<<Credi davvero che io non possa fare a meno di te?>> sbraita infilandosi una sigaretta in bocca.
Dal puzzo che emana credo sia la terza nel giro di una serata, quando è nervoso perlomeno fa così.
Che poi a lui non interessa, fuma indipendentemente dal male che si fa.
È strano vero?
Io che più di tutti tento di annientarmi m'intenerisco davanti ad un fiore di campo bagnato appena dalla pioggia.
Io fiore nato nel mezzo del fango.
Chiudo gli occhi lasciandomi cullare dal suo respiro accelerato, lo faccio sempre quando è arrabbiato.
Viene più facile tranquillizzarsi assieme.
<<Non vedo cosa ti possa interessare se io sia fatta o no.>>
Mi ritrovo a rispondere in maniera brusca, nel momento in cui allontana lo schermo dalla mia prospettiva.
Sta ancora cercando di capire chi mi fornisce la roba, è forse da secoli che tenta invano eppure nessuno è disposto a parlare.
Alla LA Art Accademy lo schifo che si annida dietro i volti più disparati è tanto e nessuno vuole che si venga a sapere.
Tutti ignoranti del prossimo, così si sopravvive.
<<Dimmi Belle, ti sei mai impegnata a cercare la felicità per noi?>> pone in maniera brusca il gioco in tavola, dal ghigno malefico che gli si è disegnato in volto stento a riconoscerlo.
Dovrei rispondergli?
Una parte di me vorrebbe urlargli contro, un'altra ancora si perde a guardare le luci della città fuori dal finestrino.
Per metà dunque sono impassibile, apatica.
<<Dimmi, vuoi giocare a perdermi?>> sbraita squadrandomi da capo a piedi, percepisco la sua distrazione e la collera nei lineamenti contorti.
Prende a voltarsi a tratti verso me, quasi indeciso fra il guidare bene e vedermi mentire.
Cosa diamine ci faceva sotto casa mia alle tre di notte?
Vorrei chiedere ma significherebbe dimostrare di tenerci, vorrei chiedere ma so già che non c'è niente sotto che abbia voglia di confidarmi.
Traffica con il cellulare imprecando a mezza voce per la cenere che macchia qui e lì il jeans di tessuto chiaro.
Anche in inverno adora indossarli, dice che questo paio di jeans è comodo ed è facile restarci imprigionato dentro mezza giornata.
<<Ma non lo capisci che ferendo te ferisci anche me?>> domanda sapendo già quanto sono disposta ad ignorarlo.
Provo a sporgermi sulla sua spalla per intravedere almeno una letterina di quelle che sta digitando sulla tastiera.
Impossibile resistere sono assai gelosa.
<<Cosa fai in giro a quest'ora?>> lo interrogo cercando di sembrare il più indifferente possibile.
È una sensazione strana quella che scivola man mano dentro me: è come se avessi paura della sua presenza, come se mi stessi rimpicciolendo tutta al suo cospetto.
Mesi passati a litigare e urlarci contro, che tanto basta un bacio per riunirsi ma i pensieri rimangono vivi sotto i polpastrelli mentre la sua mano solca la mia schiena.
<<Non evadere, fronteggia le tue scelte e le responsabilità.>> sbotta gettando il cellulare sul cruscotto.
Passano pochi secondi e lo schermo prende a sgretolarsi sotto il riflesso dei lampioni bianco latte giù in strada.
Una notifica solca la ragnatela di fratture come una barchetta sul mare in tempesta.
Lancio uno sguardo malinconico allo sfondo, c'è ancora la foto dei miei occhi.
Buffo da pensare, deve essere un tormento.
<<Non sai un cazzo di me, Bieber.>> sputo fuori acida, osservando il volto spaesate del guidatore della Mercedes che abbiamo appena superato.
Sfrecciare persi tra queste strade deserte, sfrecciare allenta il nervosismo eppure carica di ansie.
<<Non credere di saperne più di me. Cosa ne sai tu della mia fottuta infanzia? Sempre che io ne abbia avuta una.>>
Sento il suo sguardo bruciare la mia pelle, pronto ad esorcizzarmi.
Quell'umorismo preso come antidoto lo rende così vulnerabile, così facilmente attaccabile.
<<Perchè tu non mi permetti di saperne di più di te? Di cosa ti frulla in quella testa quando salti scuola e rimani a casa? Quando sottolinei frasi sui libri e poi li riponi in scatoloni? Perché scrivi sui muri di camera tua? Perché non parli con tua zia? Perché dobbiamo essere clandestini del tipo "ti ho pensato a lungo vieni a dormire da me appena zia Margaret va a dormire?".
Non ha senso, Belle. >>
Ho un sussulto nell'istante in cui le sue dita afferrano il mio mento.
Sono gelide, le ha sempre avute ghiacciate e vellutate cosicché ogni qual volta ha modo di sfiorarmi fra le sue braccia rabbrividisco.
Mi trapassa mentre lascia scivolare le dita sulla sua camicia bianca.
Uno, due, tre bottoni vengono via rivelando il petto sudato.
<<Non è semplice, non capiresti.>>
Abbasso lo sguardo oramai rossa dalla vergogna, per quanto io me lo imponga non posso negare di non provare attrazione fisica.
Fa pressione fino a farmi male, fa pressione mentre le iridi scavano a fondo le mie provando ad arginare il fiume di vuoto e tristezza.
Mi lascia andare irritato alzando un sopracciglio, mi lascia andare pur avendo voglia di baciarmi.
È nel preciso istante in cui mi coglie a fissare inebetita la sua targhetta che accelera.
È come se il miele dei suoi occhi scontratosi con l'argento della targhetta si sia inasprito, le vedo bene quelle rughette espressive che rendono il suo volto così serio.
Effettuiamo un doppio sorpasso sull'asfalto caldo di fine giornata, alcune pietruzze rigano le fiancate producendo suoni strozzati mentre il parabrezza viene invaso da una pioggia di meteoriti, mine di asfalto vacanti.
Alzo il volume della radio per placare l'effetto di imbarazzo che mi si è aperto dentro, le voci ignote mi riempiono sempre in occasioni come queste.
Come può uno sconosciuto attraverso la musica ricucirti addosso l'abito delle feste?
Le lancette toccano i 140 km/h ed io ho un tuffo al cuore, osservo l'orologio al suo polso bisticciare con le marce e la concentrazione aumentare poco a poco.
Non mi piace questo gioco.
<<Rallenta, merda.>> strillo cercando di coprire lo strombettare dei clacson dietro la scia del nostro motore.
È stato l'ennesimo sorpasso azzardato, di quelli in cui non avverti neanche il suolo tanto vai veloce.
Correre per arrivare dove?
<<Non volevi farla finita?>> grugnisce abbassando in ritardo le luci, il conducente che ci viene incontro ci indirizza un dito medio gratuito.
<<Io...>> balbetto osservando gli incroci e le svolte che si susseguono confondendomi, il rumore delle sgommate sull'asfalto fa venire su i brividi.
<<Cosa tu, Belle?>> incalza, ha il sudore che gli disegna piccole scie sulla pelle candida e sebbene lo nasconda non è per nulla tranquillo.
Sarà il modo in cui le buche ci fanno sussultare, il suo essere l'ombra costante di automobili in confronto a noi lumache e le distanze perfettamente calcolate in una frazione di secondo.
<<Ti prego, rallenta.>> frigno osservando i pedoni correre su per i marciapiedi sfollando le strisce pedonali.
Ho la netta sensazione che tutto ciò finirà male.
Molto male.
<<C'è una bambina, Justin!>>
Afferrò la sua mano intrappolandola sul cambio marcia, è come fuoco questo contatto: sta tremando sotto la mia stretta come farebbe una foglia al vento.
<<Se tu ti porti al capolinea allora ci andremo insieme.>> afferma prendendo la curva allargandosi il più possibile.
Sbatto il capo violentemente, non accenno ad un rimprovero di dolore e lui neanche si preoccupa.
Avverto il bruciore farsi man mano più insistente, eppure non oso controllare.
Passerà.
La Porsche ritorna in carreggiata, sembra quasi vertete tutta verso le strisce bianche perfettamente disegnate a terra.
Come mossa dal vento che non le calca bensì rincorre senza posa.
Le lancette sono fisse sui 150 km/h e non promettono di scendere.
<<Lo stai facendo davvero?.>>
Le lacrime si affacciano torbide sul mio volto, scendono piano piano senza vergogna.
In questi fremiti, in questi singhiozzi c'è tutta la mia paura.
Cosa sta combinando?
<<Non ho una cazzo di famiglia, ho solo sensi di colpa e di certo non fermezza mentale.>> grida imboccando un viale pressappoco avvolto nel buio, siamo circondati dalla periferia più degradante e tra un murales cadente e tizi malconci le parole sembrano venire meno.
<<È tutto vero: ho usato ragazze, ho fatto corse, ho portato la droga in casa dei miei, ho passato nottati in cella mentre mamma a casa piangeva, mi sono beccato le botte degli sbirri, ho fatto a chi gridava più forte con i miei zii, mi sono accompagnato con la gente più disparata mischiando all'alcol traumi infantili.
Ho pensato di andarmene, ho pensato di lasciarli tutti qui. Tu non capisci Belle, sono un padre prima ancora di un figlio.>>
Mi strappa dal collo la collana da lui regalatemi, l'unico pezzo sopravvissuto di "Bizzle".
Nel fare ciò si distrae notevolmente, noto come più volte il manubrio sembri scivolare via al suo controllo ed ancora il nostro avvicinarci sempre più ai cigli della strada.
<<Pensi che sia stato facile per me scegliere te? Tu che mi ricordavi sempre della mia ingenuità prima dello schianto e ancora poi della merda nella mia vita?>>
Prendiamo a pieno un sacco dell'immondizia, l'auto traballa quel poco che basta per stabilizzarsi.
Ha le lacrime agli occhi anche lui, sono così lucidi che tuffandomici dentro ne uscirei depurata.
<<Perchè mi hai scelto, allora?>>
<<Ne ho bisogno.>> Ammette, poi continua torturandosi le mani <<Ho bisogno di sapere come stai, cazzo.>>
Prende a saettare con lo sguardo lo specchietto retrovisore, più volte impreca a mezza voce frasi che non comprendo.
Tira indietro i capelli cospargendosi le mani di sudore, ha un'espressione schifata in volto ma la nasconde grattandosi qualche accenno di barba non fatta da alcuni giorni, è ansioso ma sa celarlo.
<<Sto fottutamente bene, Bieber.>>
Trovare il coraggio per mentire è sempre stata una mia buona qualità, una qualità inutile.
<<Puoi mentire a quel coglione di Chad, a quella rincoglionita di Alicia ma a me...
Io ti ho vista nuda in tutti i sensi, ti ho percepita ad un passo dall'estasi.
Capiscimi, sei come le mie tasche per me.>>
Sbatte violentemente le mani sul manubrio facendo così emettere uno strombettare al vuoto.
Riprende il controllo della macchina con fatica, mentre annaspa nel ristabilizzarsi.
Cattura le mie lacrime ma le ignora.
Chi dei due sta giocando a far la vittima?
<<E allora perché hai bisogno di risposte?>>
<<Perchè?!>> rotea gli occhi al cielo fissando lo sguardo fuori dal finestrino per dei secondi che sembrano essere interminabili.
<<Perchè?>> lo incalzo <<rispondimi.>>
Dovrebbe guardare quella cazzo di strada davanti a noi.
Trasalisco vedendo una persona strisciare nell'oscurità prima ancora che i nostri fanali possano proiettarla sotto il loro sguardo.
<<Pensi che davvero lì fuori qualcun'altra possa condividere la mia pazzia come lo fai te? Lo capisci vero che con te non c'è bisogno di un filtro, di una maschera per essere accettato? Lo capisci vero che ti sto vomitando tutto lo schifo che ho dentro in faccia e tu, tu te ne cibi per rimanere in vita? Se mi svuoti per riempirti e viceversa allora da chi altri dovrei andare? Mi basti. Sei fottutamente curativa.>>
Lascia scivolare la sua mano sulle mie gambe, si distende piano piano facendomi le carezze.
Deve sciogliere il nervosismo che si è accumulato su quelle belle ali d'angelo tatuate sul collo altrimenti come fanno a volare?
<<Allora rispetta le mie scelte, è un periodo di merda. Ho perso tutto, sono un casino. Ho perso tutto.>>
Sono pronta ad impormi, basterà baciare queste nocche stanche e...
<<non ti asseconderò.>>
Gioca con un buchino delle mie calze, ci gioca fino ad allargarlo del tutto.
Ha sempre cercato il contatto, pelle contro pelle.
<<E perché mai? Che ti interessa a te, non ti basto così? Sono pur sempre, Belle.>>
Lancio occhiate furtive al suo cellulare, si di esso compaiono sempre più una sfilza di messaggi seguiti da date e località.
Non capisco perché di continuo qualcuno gli stia scrivendo tutte queste stronzate.
<<Non ho bisogno di presenze, devi essere vera con me.>>
Accenna a sbirciare lo schermo del cellulare, vedo la sua espressione cambiare radicalmente quando la pelle d'oca prende affiorare su per l'incavo del suo collo bianco latte.
<<Aspettami.>> bisbiglio presa da questo suo enigmatico cambiamento.
<<Ti stai consumando.>>
Deglutisce.
No, non per me.
Lo vedo trafficare con le marce e nel mentre fare pressione sull'acceleratore.
Lo incita ad andare più forte, le vedo le sue preghiere scivolargli poco a poco dalla bocca.
<<Non vedi che sono morta già da tempo? E neanche mi vergogno a dirlo oramai.>> concludo divagando con lo sguardo nel buio più totale, tra arbusti e aiuole.
Silenzio.
Di sottofondo solo lo speaker dal forte accento britannico ed il rumore della strada che graffia appena gli pneumatici sempre più leggeri.
La suoneria del suo cellulare prende a squillare insistente, è diversa credo l'abbia cambiata.
Sbarra gli occhi affondando le sue dita nella mia carne, per quanto il suo braccio sinistro si sforzi di tenersi ancorato al manubrio questo prende a fremergli violentemente fra le mani volteggiando senza sosta.
<<Hai la cintura, piccola?>> tuona rinunciando al contatto fisico creatosi tra di noi, scappa per riportare ordine in una situazione che lentamente gli sta sfuggendo di mano.
Un forte bagliore si affaccia dietro la nostra vettura, posso catturarlo nello specchietto retrovisore.
Persino gli occhi di Justin sembrano rincorrerlo, eppure non ci bada troppo preso come è dal premere su quel dannato acceleratore.
180km/h.
Urlo.
Emetto un fottuto urlo.
La Maserati verde elettrico ci sorpassa a tutta velocità sballottando la massa della nostra auto è come l'essere colpito da un'onda anomala proprio sulla fiancata della propria nave.
Spazza tutto via per un secondo.
<<Justin cosa sta succedendo?>> oramai sono addossata alla portiera e per quanto i capelli possano nascondere le lacrime che sgorgano copiose dai miei occhi rossi non ho minimamente intenzione di nascondere la mia paura.
<<Non eri tu a volere un tuffo nel mio passato?>> esordisce facendo di quei diabolici occhi due fessure.
È come chiedere al diavolo se vuol salire in paradiso: divisa perennemente tra ciò che è giusto e ciò che sarebbe da vietare.
<<Lo stai facendo davvero?>> esclamo ripulendomi il sangue che sgorga copioso dal mio labbro inferiore.
Fa un male cane eppure il sapore non dispiace.
Sa di dolore, no?
<<Ogni mia promessa è un dovere. Ti sto mostrando tutto di me ma tu?>>
Quel ghigno ironico, è tutto ciò che più odio della sua persona.
Man mano che ci immettiamo in città l'illuminazione riprende a farsi più frequente e le strade meno popolate da gente strampalata.
Ha qualcosa di dannatamente familiare questa strada, credo d'esserci già stata in precedenza perché deve esserci qualcosa in queste villette dimenticate dal mondo, in questa quiete residenziale.
Che i motori della Porsche stiano per esplodere potrebbe essere dato di certo, ruggiscono così violentemente da costringerti a tremare tutta.
Vorrei che Justin parlasse e invece? Invece si limita a premere su quell'acceleratore.
Dannazione, oramai non faccio che guardare il suo profilo sperando che tutto questo finisca presto.
<<Merda, tieniti forte piccola.>>
Le luci blu e rosse di un'ipotetica volante della polizia sembrano affacciarsi alle nostre spalle.
Sussulto mentre controllo che le tasche interne del mio giubbotto siano vuote.
Nel farlo Justin mi fulmina con lo sguardo, comprende a pieno il mio secondo fine ma del resto come controbattere?
Con lo sguardo mi invita a tenerli d'occhio, abbasso il finestrino accendendo una sigaretta per poi sperare che nel prendere una buca non me la faccia ingoiare tutta.
Sorpassate un altro paio di villette anonime, lo vedo incominciare a ridacchiare, è un bimbo immaturo e so già per certo che qualcosa gli frulla nella mente.
Un bagliore prende a sfolgorare fra le sue mani, sono pochi secondi perché un attimo dopo è già un rumore violento a pochi passi da noi.
<<Fanculo signor Flint!>> grida sporgendosi dal finestrino, capelli al vento e camicia oramai completamente sbottonata.
Appena posso ci faccio scivolare dentro una mano, con una fumo via le mie preoccupazioni con l'altra gli faccio i grattini tanto lo so che non abbiamo fatto pace.
Gli sbirri accostano davanti casa del vecchietto aspettandosi chissà quale grave danno, deve essere l'errore che Justin voleva facessero perché prende a scuotere il capo e sorridere.
Il suo sguardo si fissa asettico su di me mentre prende ad aggiustarsi quei fili di grano spettinati.
Non importa quanto siano sudati trova sempre il modo di farli stare su.
La targhetta con su scritto "Bizzle" se ne sta immobile fra le sue gambe, delle volte si illumina quasi a voler aver qualcosa da ridire su quanto sta accadendo.
<<Non cantare vittoria troppo presto: nel caso dovesse vincere Trevis scenderai dalla macchina ed andrai con lui.>>
Rifiuta le mie mani, le mie attenzioni facendo fremere il ventre sotto il peso delle sue risate.
Quei tatuaggi perfetti gioco fra luci e ombre.
Fantasmi del passato e del presente.
<<Lo stai facendo davvero? Fanculo.>> strepito raccogliendomi nella mia persona.
Fa un po' freddo perché dal finestrino abbassato l'aria sgorga a fiotti, mi sento un po' persa perché dentro me ho l'ansia che tutto ciò si trasformi in tragedia.
Come deve essere stato per i miei?
<<Sei nel mio passato, Lil Stubborn.>> bisbiglia assottigliando gli occhi sulla strada.
Il lontananza si disegna la sagoma della vecchia casa di Juss e non potrei non riconoscerla.
I gerani che cascano rigogliosi dalle balaustre bianco perla, ed ancora i rampicanti che tendono ad asfissiare la pietra.
<<E con questo?>> sono sicura di non riuscire a spiaccicare altro.
Cosa significa tutto ciò?
<<Farò di tutto per non perderti.>>
Abbozza un sorriso avvicinandosi il più velocemente possibile ad un veicolo verde, deve aver qualche problema perché avanza quasi affannando oramai.
Verde speranza.
È così lucido, quasi vi specchio dentro i miei occhi verdi? Reggerà il confronto questo mio verde?
Afferrò la sua mano, lo faccio perché forse insieme viene meglio.
Lo avverto anche io l'attimo prima dell'estasi.
Va tutto a rallentatore, quasi mi gira la testa.
<<Cosa dovrei essere bizzle?!>>
I nostri occhi si incrociano, fanno l'amore nella disperazione.
<<Davvero me lo chiedi?!>>
Oramai abbiamo affiancato il nostro sfidante.
Siamo in corrispondenza con l'uscio di casa Bieber, quell'uscio che si è chiuso e aperto alle mie spalle in modo così strano.
È casa mia?
Sostiene il mio sguardo ancora per un po', quasi a voler dirmi ce l'abbiamo fatta.
Presto detto.
Lascia roteare a sorte il manubrio, mentre slaccia la mia cintura.
Se solo potesse percepire il mio sguardo lo vedrebbe perso e invece noi si sbanda, si sbanda violentemente quasi a voler mettere un punto ed andare a capo.
Si sbanda insieme e nel farlo mi arrampico fra le sue braccia.
I suoi occhi miele gridano "vecchio trucco" mentre i rumori dei motori lasciano il posto a quello della musica di sottofondo.
Silenzio.
Quiete.
Respiro.
È tutto finito?
<<Vuoi essere la mia ragazza?>>
Una frenata brusca dietro noi fa sbiadire il battito accelerato del mio cuore.
"So give me a chance, 'cause you're all I need girl, spend a week with your boy I'll be calling you my girlfriend. If I was your man, I'd never leave you girl I just want to love you, and treat you right."
- Boyfriend.
Spazio Autrice:
E dopo un mese di assenza me ne vengo con un capitolo di tipo 5000 parole, non uccidetemi vi prego.
C'è ancora qualcuno che legge questa storia?
Mi siete mancate troppissimo, spero vi possa piacere.
Sto avendo tremila problemi tra rete Wi-Fi e telefono.
Vi penso sempre, Cam.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top