44.| Thieves in the night.
Dicono sia una di quelle nottate in cui ti perdi a fissare il fondo del bicchiere in un locale di periferia, dicono che sia una di quelle fatidiche serate in cui trovi qualcosa, qualsiasi cosa eccetto te stesso, una di quelle serate in cui le luci a neon si spengono e rimani per un po' solo con le stelle e a coprirti ritrovi un sottile velo di malinconia, una di quelle nottate in cui i chilometri sembrano shots di vodka alla pesca così per quanto aspri buttarli giù non è mai una fatica.
Una di quelle sere buie e fredde, tanto gelide dal domandarti perché non viene giù la pioggia o meglio cosa trattenga il cielo dal diluviare goccia dopo goccia la sua essenza impalpabile.
Accendo una sigaretta lasciando che l'ultima villa cada in penombra appena più in là dei miei pensieri.
Spingersi più in là, spingerci più in là ed aspettare di esplodere insieme.
Il mio sesto senso non mi ha tradito, come sempre.
M'ha gridato "valla a prendere, portala in quel bar di periferia e falle trovare un po' di serenità."
Ed io? Io l'ho fatto.
Abitudini queste che la gente guarda di traverso: lei con quegli occhi rossi divora passioni proibite eppure praticate.
Un pezzo rock di sottofondo misto al suo profumo e le gambe accavallate su sedile passeggero, nessuno m'ha mai detto quanto letale potesse essere una donna.
E quella sua sfacciataggine travestita da timidezza, avrei potuto non perderci la testa?
<<Cosa stiamo aspettando?>> il suo è un lamento flebile divorato dall'oscurità.
Vorrei poterle dire che sono pronto ma dannazione in realtà non lo sono mai, come è possibile mi chiedo?
Incrocio i suoi occhi respirando a fondo, dice di sentire i miei così tanto suoi che è quasi impossibile non riconoscerne i cambiamenti ed io, io le credo.
Ci addossiamo ancor di più spalle al muro, un sottile strato di calce bianca gioca fra ciuffi ribelli ed i tessuti dei nostri vestiti scialbi.
Neri come la notte eppure così estranei ad essa.
Le faccio cenno di metter giù le sigarette nel momento in cui avverto il signor Flint bofonchiare vilipendi facendo a botte con le portiere dell'auto e il selciato cosparso di pozzanghere.
<<Vai.>> ordino lasciando venir giù l'ultima valanga di cenere, la sigaretta scivola via dalle mie mani quasi meccanicamente.
Annuisce scrollando le spalle, è persa nel suo di paese delle meraviglie pur non volendolo: non dovrei farla bere, lo facciamo insieme e allora?
Si precipita all'ingresso barcollando tutta, sola la sua vita sarebbe un inferno.
Il quartiere intorno a noi è buio e silenzioso, se non fosse per i lampioni sfavillanti e qualche lucina accesa penserei questo come un pezzo di mondo alla deriva.
<<Dove siamo?>> domanda irritata, si regge appena sui tacchi alti e il verde dei suoi occhi è oramai triste e vuoto.
Le ho detto che quei capelli neri non mi piacciono, che li odio, che non è lei ma mi fanno impazzire: mi fa impazzire questa sua voglia di rivalutarsi, questa sua eterna lotta interiore tra luci ed ombre.
E vorrei stringerli tra le mie mani mentre la luna vi ricama riflessi argentei, tra i quali lo smeraldo delle sue iridi possa annegare cibandosi di pezzi di solitudine.
<<In un posto speciale.>> sussurro porgendogli il mio giubbotto.
Inspira il profumo di buono facendo perdere il morbido tessuto fra le sue fossette, non dovrebbe nascondere quel sorriso.
Le tendo una mano eppure noto la sua difficoltà nel camminare, brancola come una bimba nel buio vinta dalla paura di cadere.
Non cambierà mai ma ciò, ciò mi rassicura.
E' bellissima persino vista di sfuggita, quasi l'occhio si impigliasse fra le sue gote rosse e le dita bianco latte illuminate appena dalla luna.
<<Ti prego, non ci riesco.>> confessa spalancando le braccia in mia direzione, ha lo sguardo basso di chi si sente di troppo e i piedi che bisticciano senza posa.
La accolgo tra le mie braccia così docile e paziente, così candida per quanto la vita abbia provato ad infangarla.
Prenderla in braccio è sentirla mia nell'immediato poiché nessuno potrà sorreggerla nel modo in cui lo faccio io, non è questo solo un qualcosa di figurativo ma anche una verità imprescindibile.
La osservo mentre chiude le leggere palpebre assorta, le luci fiacche giù in strada tracciano i suoi lineamenti fievolmente addensandosi fra le ferite di labbra carnose e rosee e zigomi ben definiti, taglienti come la notte che ci circonda.
A Belle la notte piace, dice di raccogliercisi dentro come farebbe un bruco nel proprio bozzolo per poi diventare farfalla.
Il ciuffo biondo le solletica la pelle nel momento in cui mi ritrovo a giocherellare con il mazzo di chiavi, la vedo arrossire e sorridere inebetita espirando a contatto con il mio collo desideroso dei suoi baci.
Riconosco la chiave come se fosse in primo giorno, come se quell'incisione che la caratterizza non possa essere un dato superfluo.
Le imposte dei vicini sbattono rumorosamente, sembra qualcuno stia litigando a qualche isolato da qui ed io non vorrei che ci scorgessero.
<<Dobbiamo arrampicarci? Ho la gonna...>> mugola Belle indispettita, ha il volto contorto e gli occhi appena schiusi.
Sono costretto a chiuderle la bocca di scatto, nessuno deve sapere della nostra venuta qui.
In realtà in questo quartiere non possono vedermi da circa qualche anno, saranno state le nottati passate a gridare giù in strada da ubriaco e le litigate, le risse e le sfrecciate in auto sempre fisse ai 100 km/h.
Sono finito più volte nei pasticci con quel brontolone del signor Flint, siccome possiede il distintivo si pavoneggia anche e soprattutto alle tre del mattino.
<<Mi piacerebbe ma decisamente no, piccola.>> ridacchio celandoci nell'ombra.
Con il suo corpo intrecciato al mio l'ansia scivola man mano nell'oblio, è come se il faccione del dirimpettaio venga rimpiazzato dal battito cardiaco di Belle che sembra melodia ed effettivamente lo è.
In pochi minuti la serratura si ritrova a scricchiolare convulsamente, quasi a volermi ringraziare per essere tornato a casa.
Fa strano tornare qui dopo mesi passati ad evitare uno scontro diretto con il passato, dopo anni preso dal mio logorante rimuginare e nascondere i pensieri più veri persino alla coscienza.
Il silenzio qui inghiotte tutto, sembra quasi vedere annientato ogni mio "sono a casa", ogni "Justin!" di mia madre, ogni fottuta risata e pianto di cui queste mura un tempo trasudavano.
Il puzzo di chiuso è vomitevole eppure Belle resiste, da lei me lo aspettavo.
<<Mamma adorava l'arredamento stile ottocento, questa casa con la sua struttura da palazzotto signorile tinteggiato di un bianco pallido è quanto rimane di pomeriggi passati su Jane Austen, sorelle Bronte, Tolstoj, Dostoevskij e chissà chi più.
Papà fu il suo Darcy e le promise la sua porzione di vita felice, di "vissero per sempre felici e contenti."
Poi i problemi economici, l'eredità ed il capitale diviso a tavolino.
Dal lusso all'anonimato...Il confine è così dannatamente delicato.>> butto giù un po' di ricordo quasi a volermene liberare per sempre.
La colgo a vagare con lo sguardo su per i mobili ricoperti da enormi teli bianchi, non li può vedere eppure io li spoglio con gli occhi.
Questo che si apre intorno a noi era il salotto, ricordo ancora il caminetto crepitante e la corsa ai regali di natale ed ancora il latte e biscotti lasciato lì ad aspettare un babbo natale perennemente a dieta.
Chissà se quel vecchio giradischi è ancora presente, le farei ascoltare le canzoni di mio nonno.
Oh sì, quel vecchio mattacchione era figlio di un tedesco vecchio stampo eppure il colosso e la fortuna che aveva messo su suo padre poco gli importavano: voleva cantare.
<< Questa casa era tutto per me, per noi.
Mia madre proveniva da una famiglia tutt'altro che agiata, era una ragazza casa e chiesa fin quando mio padre non la tentò: quinto anno di liceo e di lì per sempre.
Gliela comprò per vederla felice, non di certo per lasciarla ad un suo fratello come invece è accaduto.
M'hanno elemosinato una copia delle chiavi per tenermi buono, per illudere d poter ancora provare la sensazione di appartenenza e asciugare qualche lacrimuccia...>> sputo avvelenato mentre ci trascino lungo le ombre, è tutto così fioco qui dentro ed io la luce non l'accendo sennò i ricordi scorrono vivi e le lacrime rischiano di farmi traboccare anche l'anima.
Odio farle vedere quanto fragile posso essere eppure ogni qual volta sono costretto a farlo è come se lei lenisse ogni mia ferita.
Salgo le scale di corsa, arrancando nel buio con i suoi gemiti di sottofondo, sembra poter collassare da un'istante all'altro e ciò, ciò mi preoccupa davvero.
<<Siamo ubriachi persi, bella merda eh?>> ironizza schiaffeggiandomi affettuosamente il volto, quel suo sorriso inebetito le sta bene nonostante tutto.
<<Portarti qui non è stato facile.>> Ammetto stringendola ancora di più in questo abbraccio che spero possa bastarle per sempre.
<<Io con te vengo dappertutto.>> afferma litigando con gli strascichi delle parole, con le vocali, con il tono.
Litiga un po' con tutto.
Non capisco perché questo farci del male, delle volte la mente è così tanto stronza da farti cadere su cose così banali e ovvie.
Nel corridoio le foto di famiglia non ci sono più e i ritratti di mia madre neanche, penso che se lei non m'avesse contagiato con i suoi pennarelli e tubetti di colori ora non m'interesserebbe giocare a fare il Writer.
Che poi dicono sia da stronzi scrivere sui muri, ma io c'ho voglia di vomitare in faccia a sta società i miei dubbi adolescenziali.
Il panorama che si ci spalanca davanti è il cameo della mia esistenza, è un po' il mio di locus amoenus in cui perdermi quando fuori e caos e i pensieri si richiudono in me come mille cerniere.
Avverto il suo corpo gracile rabbrividire al contatto con l'inverno, percepisce tutto sempre così a fondo questa ragazza è l'emblema della fragilità.
<<Ci sono le stelle?>> domanda trafiggendo il cielo con quelle iridi arrosate e perse.
Quando usciamo mi mantengo sempre un po' più sobrio di lei, per vegliare su di lei e vederla splendida, ricordare ogni secondo passato insieme.
<<Qui in collina c'è ancora un po' di natura.>> sorrido facendo cenno alla radura che si spalanca intorno a noi, a quelle lucine lontane che gridano città e a questo quartiere di ricchi e solitari che tanto noi riempiamo uguale.
Fa di tutto per scapparmi dalle braccia, il solo contatto con l'aria le ha reso il colorito che da un po' aveva perso.
E' da settimane che la vedo strana, che starà mai combinando?
Quando finalmente è libera corre via quasi sicura di sé, delle volte sbanda ma in compenso ride così pura e...
Non trovo parole, merda.
La vedo accantonare i tacchi accanto alle balaustrate di pietra bianco, le piccole colonne così delicate e armoniose dalle quali pendono i gerani in fiore.
La osservo mentre cala giù i vestiti buttandoli alla rinfusa sulla sdraio vacante, un oggetto d'arredo così estraneo al contesto e di sicuro opera di mio zio.
La pelle bianca riluce al disopra delle sue scapole insinuandosi fra le ombre delle sue vertebre tempestate da una miriade di brividi color dei lividi.
<<A cosa devo l'onore?>> domanda portandosi le gambe tremanti al petto.
Di cose strane ed insensate gliene ho viste fare, questa poi non la capisco proprio ma ci sta: vederla così bella è impagabile.
Vorrei poter muovere anche un solo inutile passo verso la sua persona eppure non ci riesco, è così perfetta la sua persona e completa senza che io la disturbi con i miei baci.
<<Cosa stai facendo, amore?>> domando gustandomi ancora un po' la scena.
Ha un modo singolare di giocare con gli anelli e poi perderli lungo pavimenti che puntualmente li ingoiano fra i solchi che dividono le mattonelle.
<<Tintarella di luna e ho dannatamente sete.>> ridacchia raggomitolandosi tutta sulla sdraio, è in posizione fetale e ciuffi ebano spuntano qui e lì.
<<Sai che stasera c'è l'eclissi?>> domando.
Mi avvicino lentamente con le mani in tasca seguendo la scia della sua sigaretta spenta.
Siamo appena entrati in casa di qualcun altro come clandestini per vedere la luna e un po' dei miei ricordi.
Si volta a guardarmi seria, mi attrae a sé come sempre abbracciandomi forte e nel mentre brucia meravigliosa come la città alle sue spalle.
<<E se scoprono che siamo stati qui?>> domanda spaurita, arrossisce tutta nascondendosi nel mio maglione nero.
Non c'ho pensato, stasera sono un ragazzo completamente diverso.
Lei lo ha capito, è sempre stata brava nell'ascoltare ed io la vedo sempre più persa e riflessiva e giuro delle volte fa paura altre altre invece condividi quei profondi silenzi quasi a volerne setacciare gli angoli più intimi.
<<Dobbiamo festeggiare.>> scrollo le spalle noncurante continuando a stringerla a me, adora questo mio lato protettivo ed io non ho intenzione di negarglielo.
<<Mmh, che cosa?>> chiede giocherellando con le mie dita inerti sul suo petto.
<< Il lavoro che tua zia ha offerto ai miei.>> sentenzio passandole un medaglione al collo.
Avverto una luce nuova nei suoi occhi, è sorpresa io invece non lo sono.
Cosa darei a questa ragazza? Essenzialmente tutto: lo stesso tanto, troppo, incalcolabile che ha concesso a me.
Prima ancora che le mie labbra si schiudano lei avverte la mia fame, non è forse questo amore?
La targhetta scintilla a pochi passi dal suo sguardo asettico, la percorre con dita incerte accarezzando la scritta argentea.
"Bizzle" ricalca più volte rimuginando su di un ipotetico nesso logico.
La porta istintivamente al collo senza proferir parola, il suo più grande dono è la fiducia che nei miei confronti ha sempre nutrito.
<<Chi..Che..?>> balbetta osservandola ancora un po' dall'alto delle sue lunghe ciglia, sono sicuro che l'indomani quando si sveglierà l'alcol le avrà risparmiato questo ricordo.
<<Me prima di te.>> sospiro perso in una valanga di ricordi pronta a trascinarmi a fondo, sempre più giù dove nessuno prima d'ora è mai entrato.
Solleva lo sguardo per un po' su di me, lo sostiene curiosa per un bel po' come solo lei sa fare.
<<E ora dov'è Bizzle?>> domanda incerta spiaccicando quel suo viso tentatore a pochi centimetri dal mio.
<<Pensavo se ne fosse andato invece è ancora qua: ha fatto irruzione in una casa di non so chi, s'è fatto portare via dalla sicurezza per averti voluta dichiarare sua in pubblico...>> divago calcando la visiera del mio cappellino ben in fronte, quasi a volermi sotterrare da quel suo scrutarmi attento.
Chissà come sarebbe stato l'incontrarci allora, chissà come era questa ragazza ora tutta ombre e voglia di saltar scuola la mattina.
Io stronzo, lei santarella? Ora due casi umani alla ricerca di una mera speranza.
<<Eri un tempistello?>>
Ha le labbra secche e screpolate e a me va lo stesso di baciarle, sarà che non fa altro che torturarle e ciò ha un non so che di ipnotico.
<<Impulsivo.>> chiarisco subito mordendo il mio di labbro.
Non so perché ma la vista del suo corpo mi è letale, è come se il solo sfiorarsi delle nostre pelli portasse le mie pupille a mangiarsi quel poco di buon senso che c'è in me.
E lei mi respinge ed io la vorrei solamente mia.
<<Ed ora che farebbe Bizzle?>>
Quel bagliore birichino l'ho letto nei suoi occhi, è durato pochi secondi ma a buon intenditore poche parole.
<<Tu che dici?>>
Porto le mie mani lungo i suoi fianchi, rabbrividisce visibilmente senza però tirarsi indietro.
Mi vuole, eccome se mi vuole e allora perché fuggirmi?
<<A me piace come idea.>>
L'alcool le dà coraggio da vendere, a me piace vederla parte integrante del gioco e non agnello impaurito.
<<Allora che ne dici di una corsa in giro per Los Angeles?>> le bisbiglio all'orecchio.
<<Una di quelle corse in cui se non afferri saldamente il manubrio rischi di volare via anima e corpo?>> aggiungo affondando le mie dita nella sua carne bianca, provocando rossori e accelerazione di battito cardiaco.
Deglutisce, l'avverto lentamente buttare giù l'ultima carta.
Non è difficile, le tipe come lei sono sempre state prevedibili sicuramente lei un po' meno eppure so quanto stia morendo dalla voglia di essere il mio "airbag", la mia ancora di salvezza.
Dillo, dì che mi vuoi salvare.
<<No, ti prego.>> butta fuori d'un fiato calcando i miei lineamenti con carezze delicate e tremanti.
Lo percepisco il nervosismo e la situazione che lentamente le scivola dalle dita.
Ci tiene maledettamente a me.
<<Fin quando sarò tuo non succederà.>>
Ed è la fottuta verità: che periodi brutti ce ne sono stati, che persone al mio fianco un po' meno, che alla fine mi sono perso dietro ragazze e bionde Heineken nel complesso troppo fredde per darmi ciò che realmente volevo.
Nuovamente viene scossa dai brividi, ha le labbra livide e novembre le si disegna a dosso come se fosse la sua tela.
<<Vestiti, ti porto a vedere la mia vecchia camera.>> impartisco.
Ed io vorrei che tutto fosse rimasto come prima ma sono sicuro che non lo è, che non ci sono più le pareti bianche piene di mappe e le scatole dei giochi sotto al letto.
Sono sicuro che l'armadio dall'anta instabile è diventato altro, che le videocassette di Spiderman sono chissà dove su in soffitta eppure sento di dovercela portare.
E' come volerle confermare che c'è stato qualcosa prima di ora, prima di Bizzle, prima ancora di tutto sto casino di vita.
Le passo i vestiti, una matassa di giubbini e strati neri.
Le passo sto inferno che le ragazze chiamano stile, moda o chissà che altra idiozia e nel farlo qualcosa cade ai mei piedi.
Il vento bastardo lo trascina lontano, deve essere qualcosa di leggero per andarsene in giro così anche se questi rivoli d'aria gelida non sono poi così poco distruttivi.
Mi ritrovo a seguire lo struscio della plastica sulle mattonelle sporche a stento lavate dalle piogge di qualche domenica fa.
<<Belle?>> chiamo senza risposta, vorrei solo che si voltasse il più velocemente possibile.
Starà dormendo, ascolto ancora un po' il suo respiro pesante. Dannazione, stupido alcool avrei dovuto prevederlo.
Ho bisogno di risposte, perché giuro il fiato mi si è mozzato in gola.
Avverto il suo abbraccio lentamente districarsi da me, è sveglia eppure Morfeo la vuole trascinare a fondo eppure non può lasciarmi sono con...
<<Belle cosa cazzo sono queste?!>>
Le agito in faccia le pasticche bianche, le sbatto in faccia i suoi segreti e le sue diavolerie così quelle pupille non possono che seguire il lento, straziante movimento.
Quegli occhi vitrei e persi che chiamo e non rispondono, non indietreggiano né avanzano conclusioni: assenti, fuori dall'orbita semplicemente sopravvivono.
Sono Molly, lo giurerei.
Belle chi sei?
Non so più chi cazzo sei.
"How could you pull the plug and let me flatline?"
-Flatline
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