4.|Pride.
"Luxury Ocean Resort, suit 189. Sabato sera. "
Lena tenta nuovamente bussando con più insistenza, la musica dall'altro capo è a dir poco assordante e le probabilità che i nostri tentativi non risultino vaghi sono assai inferiori.
La mora scuote i suoi folti capelli neri, trucidandomi con un'occhiata: non faccio che storcermi le mani pensando al peggio, rovinando per l'apprensione il trucco che ha diligentemente eseguito sul mio bel faccino.
La porta in mogano si spalanca quel poco che basta a mostrare un volto perplesso, contornato da capelli rossicci.
Il ragazzo magrolino cambia radicalmente espressione, tende una mano imbarazzato mentre prende ad arrossire sino alla punta dei capelli.
<<Piacere, Chad Scott.>>
Spiegare la situazione diventa ancora più difficile, eppure egli sembra ricordarsi di me.
"E' con me che ha parlato al telefono, ed è a me che deve ringraziare", sostiene scortandoci con molta calma nel salottino già colmo di gente.
A mano a mano che si avanza la folla diviene insostenibile, eppure mi ritrovo a gettare sguardi curiosi ovunque: io quel volto me lo ricordo bene, eppure dubito che Justin possa anche vagamente ricordarsi di me.
A Lena l'ambiente piace, sembra essere già su di giri mentre sorseggia una prima birra offertaci dal rosso.
Finiamo con il ritrovarci a pochi passi dal bancone di quello che doveva essere un cucinino funzionale, il pavimento intorno a noi è cosparso di bicchieri colmi di sostanze colorate.
Chad si dimostra essere un ragazzo simpatico e socievole, ha degli occhi molto espressivi e l'abitudine di strofinarsi il naso importante non appena nota d'aver fatto una gaffe.
E' genuino, penso.
<<Buonasera, bellezze.>>
L'ennesima battuta di Chad rimane a mezz'aria e nel mentre un paio di occhi blu notte prendono a fissarci da sotto il balcone, mi sporgo stupita cercando di trattenere un sorriso.
Il moro finisce con lo sbatterci davanti un paio di bicchieri colmi di ghiaccio, dice di chiamarsi James Smith.
È stupendo il modo in cui prendiamo a conversare, sembra quasi che i ragazzi riescano ad integrarci nel gruppo senza volerlo.
Passiamo così le prime ore della serata tra un cocktail, qualche ballo distratto, a fare le sentinelle nel corridoio per evitare i richiami dalla Hall, quattro chiacchiere sul fatto che io sia italofrancese e Lena messicana, e tante o forse troppe risate.
In realtà qui si balla un po' dove ti pare, non c'è una pista né tantomeno spazio bisogna semplicemente sciogliersi e nel farlo non vergognarsi degli sconosciuti che in massa fanno altrettante cose insensate.
Al quinto shot non riesco più a coordinare i movimenti, le luci soffuse si addizionano al fascino dei faretti blu che adombrano la stanza e per un po' la testa prende a girarmi vorticosamente.
<< Io sono...sto bene...>> il mio tono di voce è estremamente flebile, cerca di lasciarsi indietro gli sguardi insistenti come se assottigliandosi si assottigliasse anche la mia fisicità, fino a scomparire.
Un paio di ragazzi circondano me e Lena facendoci perdere di vista per qualche istante, raggelo nell'avvertire mani sconosciute su di me.
Probabilmente va di mezzo il fatto che io non sia lucida, che percepisca tutto a rallentatore anche e soprattutto le mie stesse decisioni.
Indietreggio rovinosamente, passando di braccia in braccia, da corpo a corpo.
Il fattore "tacchi alti" non aiuta, e la gente è troppo impegnata a baciarci per riflettere sul mio stato confusionale.
Finalmente arresto la mia corsa, lascio che i muscoli contratti possano riprendere la loro naturale forma.
Aderisco a delle spalle larghe, vi appoggio il capo senza pudore tentando di placare i respiri violenti e le mani che hanno preso a tremare convulsamente.
La presenza alle mie spalle sembra farsi da parte annullando il contatto, basta poco ed il mio sguardo entra in collisione con quello dello sconosciuto.
"Justin."
La serietà del suo volto mi turba avverto come se volesse capirmi, scompormi, entrare dentro e sezionarmi tutta eppure io sono chiusa.
Lo sono come lui e non ci riuscirà, due introversi non riescono ad interagire fin quando uno non si lascia andare.
Non ricorda di me, credo sia impossibile.
Sembri essere così diverso, come?
Non ricordo il resto, ora che sono costretta su questo divanetto sembro solo voler trovare una spiegazione logica.
Dal guardare una persona con intensità negli occhi al conoscere un certo "Lucas Jones" è stato un attimo.
Il ricciolino al mio fianco smuove i folti capelli castani indicandomi un paio di persone, facendomi nomi, raccontandomi fatti di cui non mi interessa granchè.
Il biondo lancia uno sguardo indecifrabile in nostra direzione, è uno di quegli sguardi lunghi che servono a smontare facendoti perdere la percezione dei sensi per una manciata di secondi.
Dall'altro capo del divano Chad sembra voler rassicurarmi con uno dei suoi soliti sorrisi timidi eppure io ancora non comprendo.
La musica è stata abbassata notevolmente, la mezzanotte è scoccata e come d'obbligo si può fare di tutto ergo schiamazzi.
Una miriade di ragazzi siede ai nostri piedi, gambe incrociate e risatelle inebetite dall'alcol, ci scrutano aspettandosi da noi "privilegiati" un segno di vita.
Non pensavo Justin fosse fidanzato ed invece oggi ritrovo sulle sue gambe una bionda dalle iridi color del ghiaccio, di un celeste talmente sbiadito dal renderlo più aspro.
Credo si chiami Janet Clark, e per mia sfortuna non mi è nuova nella lista delle persone che conosco.
La sua famiglia abita a pochissimi isolati dalla casa di mia zia e da sempre i suoi capricci da bimba viziata sono stati il sottofondo delle mie giornate estive.
Eppure non credo si ricordi di me, avevamo orari e principi differenti così quand'io ero impegnata a studiare lei scendeva giù in giardino a piagnucolare contro il padre, la madre o la babysitter di turno.
I Clark sono strana gente, lo sa tutto il quartiere.
Lo sguardo cupo del biondo si posa su di me, prendo un momento per guardarlo: il sorrisetto sarcastico onnipresente, la mandibola affilata, quel biondo che confonde e crea contrasto con i suoi occhi color caramello.
Non lo ricordavo così cupo, sembrava essere molto più aperto meno...
Meno scorbutico.
<<Giochiamo a obbligo o verità.>> sentenzia Justin portandosi la bottiglia alle labbra carnose, i suoi occhi sono fissi nei miei e non riesco a rompere il contatto.
Osservo ancora le sue lunghe dita picchiettare lungo il collo della bottiglia di un bel verde smeraldo, lecca quelle labbra cercando di darsi un tono.
Sarà ubriaco anche stasera?
Si lascia cadere all'indietro e l'ansia mi assale visibilmente, lui padrone di sé stesso io totalmente assente.
Osservo la bottiglia girare sul tavolo, un vortice marrone che sembra risucchiare , ogni secondo di più, la mia sicurezza: ad ogni obbligo perdo un battito, sento il rosso avanzare veloce sulle mie guance e bruciare sotto pelle tanto da perdere conto e percezione, odio questo gioco, odio avere gli sguardi addosso e l'ansia a fior di pelle.
Justin è essenzialmente occhi bassi celati dalle folte ciglia e pensieri intrecciati, delle volte si interessa al gioco per bisbigliare qualcosa all'orecchio della bionda sulle sue gambe.
Sembra costantemente prendere in giro tutti, quasi stesse assistendo ad uno spettacolo di circo pieno zeppo di cavie umane.
Se solo potessi capire come entrare in lui, come smuovere quel macigno potremmo lavorare.
Non ha chiesto esplicitamente il mio nome, ma ogni qual volta vengo interpellata collega velocemente il mio volto alla persona che mi chiama.
Ci guarda entrambi con occhio attento per qualche secondo, poi, mostrando finto disinteresse e noia reclina il capo ancora assorto nei suoi problemi.
Le regole dopo il primo turno vengono meno: incominciano ad alternare obblighi a verità imponendoli, a far bere senza un motivo certo, a dare pegni senza un apparente senso
Incominciamo con il fare schifo.
Nel preciso istante in cui Janet sotto obbligo comincia a fare un succhiotto sul collo di Lucas mi alzo disgustata con la scusa del bagno e mi allontano.
Tutto questo, non fa per me.
Finisco con il chiudermi nel bagno, sopravvivendo al puzzo insopportabile cercando di riaggiustare il trucco sbavato.
Applico uno strato sottile di rossetto, cercando di non lasciarmi condurre dal tremore della mano.
Bussano, insistentemente.
Passo una mano fra i capelli, tiro qualche altro sospiro di sollievo.
<<Ho finito. >> rispondo cercando di ricompormi.
Timidezza, uno stile di vita o una prigione dalle invisibili mura?
Apro la porta di scatto, quasi a voler scappare il più velocemente possibile da qui.
<<Dove vai?>> una voce cupa sbotta all'altezza del mio volto, vorrei non riconoscerla ma è impossibile.
Non dovrei guardarlo con gli occhi di chi muore dalla voglia di sentirlo parlare eppure è più forte di me, mi ritrovo a fissarlo senza pudore e non lo nascondo, non posso farlo.
Amo parlare, amo cercare di capire quale ponte possa unire due persone, quanti interessi si possano condividere nell'attimo che precede la parola, l'attimo che si incarna nello sguardo.
Ho sempre pensato che ragazzi come lui non potessero essere alla mia portata, è strano trovarsene uno davanti d'improvviso.
<< Dovrei tornare di là dagli altri, non trovi?>> La mia ironia taglia in due la tensione.
Non mi fiderò mai della gente, è qualcosa di innato e per quanto io lo voglia combattere è un mostro dalle molteplici facce, dalle sette vite.
<<Non ci andrai e non ci andrò.>> Sbotta portandosi la mano ai capelli, sono color del grano e sembrano essere dannatamente morbidi.
<<Cosa è successo?>> La curiosità ha la meglio, non ho voglia di fare qualche strano obbligo.
Non commento e non aggiungo molto, sono imparziale e di carattere passivo ma le occhiate velenose del biondo, quelle non mi sono sfuggite.
<<Dobbiamo baciarci, io ho già avuto...>>
<<Paura, Bieber?>> Lo interrompo.
È un secondo di smarrimento: non so perché l'ho detto, non so perché questo impulso partito da dentro.
<<Non sembri valerne la pena.>> risponde con un mezzo sorriso in volto, incrocio le braccia e alzo le sopracciglia.
<<Non mi conosci.>> sputo fuori con arroganza ma è vero: crede di potermi dominare, di essere un passo in avanti quando invece è lontano anni luce dalla parte più profonda di me, lì dove potrei non riuscire ad entrare persino io delle volte per quanto è barricata.
Annulla le distanze e porta il suo viso a pochi centimetri dal mio tanto che potrei dire quante screziature possiedono quegli occhi fiammanti che nulla sembrano temere e quindi neanche il mio confronto.
Il suo respiro sul mio collo, la mandibola che si adatta alla mia, il suo profumo che sa di tabacco misto a fragranza maschile mi dominano mentre continuo a sudare freddo fra lui e la porta in legno del bagno.
Deglutisco trattenendo il respiro, questo è matto non si discute.
<<Chi ha paura ora, Belle?>> Afferra il polso tirandosi all'indietro, ascolta i miei battiti accelerati senza dire più una parola.
Tutto ciò mi confonde...
<<Io ritorno dagli altri non so tu.>>
Lo oltrepasso senza voltarmi a guardarlo, senza volersentire cosa ha da dire, siamo uguali senza neanche rendercene conto: quantatestardaggine, quanta sfacciataggine, quanto orgoglio.
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SPAZIO AUTRICE,
Non ho intenzione di rubare altro tempo a voibe scena ai personaggi ma volevo solo ringraziarvi per le 500 letture in totale.❤️
Abbiamo un Justin ventiquattrenne, anche se in ritardo qui su Wattpad auguri tesoro mio.
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