29.| Pipe and Art
Marsiglia, 27 Agosto ore 16.00
I miei m'hanno sempre insegnato il gusto del bello, il bello visto come tante cose, in tante forme, talvolta ripetitivo eppure mai scontato.
Me lo ripeto da un po' sull'uscio di un portone di quercia, nascosta da quattro cenci neri e con lo sguardo perso nella mia insicurezza.
Chi l'avrebbe mai detto che anche l'oscurità si sarebbe tramutata in bellezza?
Me lo chiedo da un po', da quando mi aggiro fra la folla in questi abiti dal colore più tetro che possa esisterci, da quando sono affascinata da sfumature sempre più profonde e lugubri.
Mi chiedo cosa avrebbe detto mamma, la mamma che si divertiva a vestire una piccola Belle con degli abiti principeschi e sempre all'ultimo grido, eppure non ha senso questa domanda e non ha senso un'eventuale risposta.
Mamma non pensa, mamma non c'è e cosi anche papà.
Forzo me stessa e finalmente varco l'ingresso, una folla di turisti mi investe ed ancor di più lo fanno le loro risate gioiose di cui io disconosco l'esistenza da un po'.
Sai che c'è? Se rido dentro me qualcosa trema, qualcosa mi dice di dovermi sentire in colpa e "bastarda", al pari di come i cristiani volevano si sentisse Elisabetta I.
Non c'è cura per l'infelicità, non c'è cura per la solitudine che mi porto dentro e tantomeno qualcuno la saprà colmare.
Diciamocela tutta, che mi importa di uscire il sabato sera con Ophelia se poi la mattina alle sei, dopo una nottata passata a ballare, di rientro a casa non posso esclamare: "pà, tranquillo sono tornata!"
Che senso ha svegliare mia sorella la mattina, quando il visino le si perde nei boccoli dorati, se mamma non è lì pronta con una tazza fumante di latte?
Niente è più lo stesso, dovremmo abituarci o forse già lo abbiamo fatto.
Si piange insieme quasi ogni sera, deve essere questo ciò che c'ha riservato il destino ed io odio tutto ciò.
Si proiettano attorno a me mille quadri, son tutti di un autore pressappoco conosciuto, piaceva tanto a mamma e papà e così ho deciso di vedere, di provare ad entrare nelle loro anime per un po'.
Il salone è enorme, mi ci sento così piccola all'interno ed ancora, avverto come se tutti i colori sgargianti dei quadri mi assalissero.
Quindi sfuggo, addossata alle pareti facendo dei passettini quasi inesistenti, inutili.
Le sfumature dei dipinti sono lievi, così ben studiate da non far capire dove ilpittore abbia incominciato a tracciare il pennello e dove la realtà: in parole povere non si comprende bene se sia un disegno o semplicemente qualcosa di umano, vero.
I soggetti dei dipinti sono generalmente coppie, grandi amori dei più disparati: storie impossibili su sfondo vittoriano, trionfi di umanità su campi di guerra, innocenza adolescenziale.
Mamma si innamorò di quest'artista dopo l'estate del 2007, me lo ricordo bene perché disse d'aver visto un quadro che rassomigliava molto ad una foto scattata il giorno del suo matrimonio, una foto sua e di papà.
L'estate del 2007 è un'estate che mi porto dentro, ero piccola e particolarmente felice avevo tutto ciò di cui un essere umano vive e sembravo goderne al meglio.
Avevo tutto men che meno la serenità familiare, quella mancava dal natale del 2006 quando i miei si separarono per un po'.
I miei ne avevano abbastanza di cose per me incomprensibili, i miei erano divisi ed io non li potevo unire, nemmeno io loro unica figlia.
Eppure un giro di stagioni, il vento che cambia, il gelo che scava fin dentro le ossa e una foto, quella foto.
Mamma e papà erano nuovamente insieme, uniti più che mai e sul caminetto di casa nostra quella foto, sul retro una dedica incisa nel freddo natale del 2007.
Dovunque, nel sempre uniti io e te.
Due firme, una sorta di contratto e tanto amore di cui ancora non so parlare: la famiglia era di nuovo insieme e l'emozione che ci univa era viva al pari di quella provata durante il matrimonio dei miei.
Quella foto è ora a mia portata di mano eppure ha una particolarità: Tiffany la strappò in due durante un litigio, durante dei capricci e da allora su un lato vi è scritto "Dovunque, nel sempre" mentre sull'altro pezzo di carta "Uniti io e te."
Ed ora in una mano quel reperto così mio mentre davanti a me quel dipinto che fece innamorare mia madre.
Riconosco di avere le lacrime agli occhi, per la prima volta dopo tanto tempo.
Le metto a confronto spingendo sotto gli occhi la foto, reggendola a questa altezza con le mani che ancora tremono.
Accarezzo ogni sfumatura dei due candidi vestiti bianchi da cerimonia, mi soffermo sul braccetto teso di entrambi i cavalieri, la testa delle due donne appoggiate alla spalla di quegli uomini così persi a guardar il bianco del loro collo e noto, noto quello sguardo.
Quello sguardo così puro, profondo di entrambe le coppie...Sì può immortalare l'amore?
Ne sono sempre più convinta.
<<Permette?>> Una voce calda mi sorprende, è un inglese impeccabile ed io mi ritrovo ad arrossire facendomi un pochino da parte.
Un uomo sulla quarantina mi lancia un'occhiata distratta, i capelli radi di un castano anonimo ed un sorriso rassicurante sembra rimettermi al mio agio.
<<Mi scusi.>> concludo spostando dietro l'orecchio un paio di ciocche ribelli, il tizio ha dei lineamenti molto caldi ed esotici.
Contempla l'opera con sguardo attento,scivolando sui particolari come se fosse qualcosa d'abitudine.
<<Sa', ho sempre amato questo dipinto! Raffigura l'amore ai tempi della semplicità, dell'irresistibilità dietro ogni carezza pura.>> sussurra, protende la mano verso il viso di lei come a volerne afferrare i tratti del volto eppure si ritrae dopo poco come ustionato.
<<Ricorda l'attimo intimo di due amanti più che di due sposi.>> accenno timorosa lasciando cadere lo sguardo sull'occhio birbante del soggetto maschile, occhio che scivola sulla scollatura della compagna.
<< Volersi come se fosse il primo giorno è da amanti ma non per questo impuro, e cosa ti dice che due amanti ,ovvero due persone che amano, siano loro stessi poco puri? Amore è un'arte così dannatamente complicata da gestire.>> fa sorridendomi, un sorriso che riflette una mente persa fra mille labirinti.
Non sono mai stata impura, neanche quando di Justin facevo la mia metà nonostante egli fosse legato ad un'altra.
Quante cose meravigliose porta dentro quest'uomo?
Dalla ventiquattro ore e dalla giacca panna sbottonata si direbbe un uomo qualunque eppure il qualunquismo non sembra essere la sua dimora.
<<Io pensavo fosse sbagliato, pensavo che i soggetti fossero giovani ed inesperti.>> rispondo, mischiando il personale ad una lettura tutta mia del quadro che se ne sta di fronte a me.
<<Inesperto lui? Così fiero di portar la propria donna sotto braccio, alla luce della società?>> indica il passo sicuro di quell'omino così ben dipinto.
Ecco il perché della dedizione di mia madre per questo dipinto, è così profondo tanto dal ricucirsi su qualsiasi persona lo guardi.
<<Lei sembra così felice ma dal suo sguardo si vede essere pensierosa.>> aggiungo veloce, quasi avessi paura che lui se ne andasse lasciandomi sola con i miei dubbi.
<<Ella scoprirà ben presto che ha il braccio di lui su cui poggiarsi, che se ad egli farà affidamento mai cadrà.>> esordisce posandomi una mano sulla spalla, come se avesse compreso tutto sin dal primo intervento, come se anche lui avesse catturato il mio parlar velato.
Ora capisco il "Dovunque, nel sempre uniti io e te." Ed anche lui ne sembra attratto, sembra attratto da quel ricordo che ho portato istintivamente in grembo.
<<Sono molto simili!>> esclama stupito guardando le due metà della fotografia dei miei.
Gliela metto nelle mani pezzo per pezzo, lo guardo rapita mentre discorre del superfluo, mentre ricama pezzi di perfezione su un ricordo così caro.
Lo seguo persa sino a che l'ultima parola esce dalle sue belle labbra carnose, riportandoci alla fredda e monotona realtà: << Mi dispiace averti annoiata , perché sei qui?>>
Ci spostiamo in un'altra sala, per poco la folla non ci investe rischiando di separarci eppure seguo l'eco di quella voce come il sentiero che porta a casa.
<<Ricordi.>>concludo velocemente.
Si rabbuia, sembra afferrare ed io sono lieta che non si disperda in domande superflue, limitandosi solo ad un : <<Ed ora?>>
Ennesimo dipinto, scena nuova, colori caldi e amore ancor più puro del primo: generale inglese ed indiana, il resto è storia.
Mi prendo del tempo per rispondere, facendo finta di trovare interessante persino il particolare inafferrabile.
<<Verrò affidata a qualcuno, chi lo sa a chi ma i servizi sociali non invaderanno molto la mia vita... La mia famiglia farà di tutto per non far accadere il peggio ed io ci credo, credo in loro.>>
Riaggiusta la giacca passando oltre, perso in un flusso di coscienza infinito tuttavia decido di non lasciare la sua compagnia, lo seguo oramai sempre più attratta da quella cultura, quella sensibilità.
Giriamo così tante stanze da perderne il conto così come poco ricordo della sua fisionomia in generale, ricordo però quelle labbra che trasudano sapienza.
Ogni dipinto, ogni nostra disquizione mi spogliava di ogni dubbio interiore senza saperlo e tanto più parlava tanto più io mi immedesimavo nei personaggi perdendo contatto con la mia situazione reale che per me è solo veleno.
Nel mentre ci affrettiamo all'uscita rimaniamo in silenzio avvertendo la spiacevole sensazione di imbarazzo che si crea tra due estranei che si sono detti troppo con altrettanto trasporto.
Mi lancia un' ultimo, lungo sguardo prima di uscire al sole con quei suoi occhi color cacao.
Il traffico qui in strada ovatta l'atmosfera, taxi che sfrecciano qui e lì e questo verde spento mi ricordano da che pianeta provengo, è come se fossi stata assente per un bel po'.
<<Vesti sempre di nero?>> domanda, accendendo una pipa.
Degli anelli di fumo si innalzano alti verso il cielo, sospiro porgendogli la ventiquattro ore che mi sono offerta di scarrozzargli di qui e di lì.
<<Sì, ha il suo fascino.>> arrossisco tutta, chi è costui? Mi sto aprendo così tanto a quest'uomo da averne ora paura.
<<Non confondere mai le ombre che ti dominano con la tua essenza.>> sentenzia, l'ultima perla di saggezza da un totale sconosciuto.
La pipa che scivola all'angolo della bocca, il viso corrucciato nascosto da alcune fronde dell'alberello sotto il quale sostiamo e la mano che scorre veloce su un pezzetto di carta, solcandolo con una penna danno alla sua figura il sapore di un arrivederci.
Mi ritrovo un fogliettino in mano, o meglio un biglietto di ricevimento.
La sua figura scivola via in anonimo, senza che me ne accorga mentre i miei occhi leggono voracemente.
" In te ho visto qualcosa, la scintilla dell'estro artistico ed il tuo corpo concorre. Chiamami, ti porto a conoscere le stelle se vuoi."
Lo rigiro e apprendo il nome e la professione del "più che sconosciuto": Scooter Braun, manager con cittadinanza e studio in quel di Los Angeles.
Chiamami, leggo ed ora?
Che ne sarà della mia vita domani?
"Non confondere mai le ombre che ti dominano con la tua essenza."
Devo vivere, devo decidere da domani il mio destino, se lui ha già deciso lo combatterò e se il suo è un gioco sadico sceglierò al di fuori delle righe da lui poste.
Chiamo o no?
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Spazio Autrice:
Eccomi tornata dopo svariati giorni di silenzio, questo capitolo l'ho scritto e riscritto per un po' mai contenta di come si presentava il nuovo personaggio.
La storia infatti prende pieghe inaspettate e chi compare? Scooter! Cosa pensate del personaggio? Di questo strano incontro? Della eco di Justin che non se ne va?
Hey tesori, oggi abbiamo varcato le 6mila letture ed io vi amo 6mila volte di più, in 6mila modi diversi!
Comunque sia...
Dedico questo capitolo a PriscaLimoncello
che fedelmente segue la mia storia riempendo il mio cuore di gioia.❤️❤️
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