17.| Kisses and Cappucino.
Il palazzo in cui entriamo è una favola: l'arredamento minimalista si confonde con i riflessi di mille vetrate tempestate da altrettante goccioline, qualcuna di questa scivola giù lentamente così come lo sguardo della receptionist su di noi.
Il trillare degli ascensori segna i miei passi lenti, vorrei sottrarmi da Bieber che mi accompagna a braccetto con sicurezza ma sto bene così, davvero.
<<Buongiorno, signor...?>> Esordisce la donna con una cartelletta in mano e una penna rossa pronta a rispedirci indietro se necessario.
<<Bieber, Justin Bieber.>>
La sua voce si fa più profonda, dalle sfumature più mature ed è questo un lato di Justin che mi piace, ispira protezione.
<<Ancora buongiorno Signor Bieber, siamo lieti di ospitarla qui alla SilverTower, spero non abbia trovato troppo traffico...Ha per caso prenotato?>>
I suoi occhietti piccoli come spilli si fissano sulla cartellina e la ripercorrono incuranti della risposta, tutta quella falsità che farcisce frasi di circostanza fa parte della società per bene d'America e non nascondo il fatto che mi sia sempre stata antipatica: a partire dalle cene con i grandi dell'industria a casa di zia ogni singola estate o in quartieri sempre diversi e sparpagliati lungo la costa.
<< Sì! Vengo a giorni alterni qui, solitamente per colazione ma non ho mai avuto il piacere di incontrarla.>>
Fa lui sporgendosi un po' sopra la cartella per indicare un nome sulla lista e picchiettare insistentemente con le lunghe dita.
<< Il viaggio è stato piacevole.>> conclude.
La donna le regala un sorriso caldo, le si legge in quelle pupille dilatate un'ammirazione totale.
<< Accomodatevi, vi devo introdurre?>>
Ci precede di qualche passo disinvolta in quella sua divisa succinta, con quei lineamenti per quanto aspri rilassati e lo sguardo sempre fisso sul biondino al mio fianco.
<< No, grazie!>>
Rabbrividisco nel sentire le mani di Justin aggrapparsi alla mia vita, la stringe a sè con fare protettivo.
La donna volge uno sguardo di cortesia in mia direzione per poi lasciarci completamente soli, davanti ad un ascensore che ha invertito la sua rotta solo per noi.
<<Quanto sei rigida, smettila di essere Janet.>>
Sorride lasciandomi un buffetto sulla guancia.
Una miriade di ricordi s'affolla nella mia mente al suono di quel nome, a partire dalle pagine del diario segreto al fatto che ciò che sta accadendo è qualcosa di impensabile e sbagliato allo stesso tempo.
Quando finalmente le porte si spalancano mi invita ad entrare e gentilmente cede il passo con quegli occhi espressivi e colmi di gioia che sorridono timidi.
Non l'ho mai visto così uomo e poco bimbo in questi giorni, riesce a mutare personalità così velocemente dandoti il tempo di apprezzare le sfumature prima che il suo temperamento forte renda tutto dannatamente complicato e insopportabile.
<<No!>> Esclamo quasi spontaneamente quando fa per riprendere il bomber, me ne vergogno terribilmente, che mi prende?
<<Pensavo avessi caldo, scusa.>>
M'attrae a sè afferrando le estremità del tessuto rosso, rimango lì immobile a fuggire al suo sguardo invadente.
<<Scostatiiii!>> Ridacchio dandogli un falso spintone lui di tutta risposta fa lo sciocco fingendosi ferito, si passa la mano sul cuore lamentandosi singhiozzando falsamenete.
<<Posso fare di peggio!>> lo ammonisco.
<<Anche io.>>
M'avvolge fra le sue braccia tenendomi stretta all'angolo, con quel respiro che si mescola al mio.
Gli occhi crollano sotto il suo sguardo ambra, lo sento deglutire e avvicinarsi quel po' che basta per sincronizzare i nostri gesti, le nostre necessità.
<<Questo ti meriti.>> le sue mani solleticano il mio collo facendomi scoppiare in una risata cristallina e pura.
<Pensavo fossi annoiata ma ora ridi come una pazza.>> osserva sarcastico.
<<Fermati.... Subito...Juss!>>
Mi intrappola spalle a muro nella morsa delle sue mani grandi, la mia pelle è arrossata per la stretta e vi passa i polpastrelli a mo' di grattini mangiando avidamente ogni centimetro di pelle.
<<Hai finito?>> faccio con voce tagliente, rimbocca le maniche della mia camicetta con cura impensabile per poi avvicinare quel suo visino birbante al mio.
<<Guarda come ti sei conciato per agitarti tutto.>>
Faccio passandogli le mani su per il ciuffo, chiude gli occhi e lascia un bacio sul mio polso.
Sto mentendo.
In realtà sono perfetti ma il contatto, solo quello riesce ad avvinarci.
<<Fatto, sei perf...>>
Con vigore lascia aderire le mie spalle alla parete dell'ascensore e con occhi che sembrano sbranare e la bocca che trema ancora stanca di indugiare, posa le sue labbra sulle mie.
Le sue braccia ripercorrono la mia vita e mi stringono con forza, mentre io lascio che la sua lingua si faccia strada in me, più scioccata che pronta.
Mi solleva di peso facendo sì che le mie gambe possano avvolgersi meccanicamente intorno a lui in un abbraccio un po' imposto, come tutto ciò che fa e un po' tenero, come il lato di lui che non mostra mai.
Le sue labbra sono voraci, la sua lingua ripercorre furiosa ogni angolo di me: è come se avesse atteso questo momento da tanto, troppo tempo.
<<Lil Stubborn.>> sibila sulle mie labbra, su per il mio collo per poi ritornare all'angolo della bocca e alla rosa della passione stessa.
Accarezzo il suo volto delicato cercando di fuggire dai rimorsi.
160 piano.
Il quadrante rimanda i numeretti in rosso come a segnare la fine della corsa.
Afferra la mia mano trascinandomi fuori, alla luce del sole che irrompe dalle mille vetrate.
Miami si disegna attorno a noi incupita e infreddolita, con i nuvoloni grigi e pezzi di prisma intrappolati in poche gocce d'acqua.
<<Hai ancora fame?>> si lecca le labbra cercando di coprire il fiatone seppure il rosso sulle sue guance riesce a tradirlo.
<< Non lo so, Bieber.>>
L'oceano si disegna oltre le sue spalle e il respiro mi si mozza in gola come il primo giorno , forse più di prima.
<< Dai, prendiamo qualcosa.>>
Fa accompagnandomi attraverso un fitto via vai di camerieri impegnati con ordinazioni.
Ci accomodiamo ad un tavolino appartato dove sembra di essere sospesi fra oceano e Cielo, tra blu intenso e blu freddo, ad un passo dal caos e dalla pace.
<< Come mai vieni qui?>>
Chiedo sedendomi di fronte a lui, i suoi occhi sembrano sgombri da qualsiasi pensiero riuscendo a tranquillizare anche i miei, fin troppo irrequieti.
<< Immaginalo di notte conla musica del piano e un bicchiere di buon vino.>>
Mi indica un pianoforte a coda dall'altro lato della stanza, per poi rimanere a giocare distrattamente con gli angoli di stoffa della tovaglia di lino.
Mi si prospetta davanti un altro Justin e una manciata di sensibilità.
<< Sa di te.>> esordisce facendosi piccolo nel suo stesso bomber, è costretto a metterselo sulle spalle per via della pelle d'oca.
Sposto lo sguardo fuori, vorrei poter volare e solcare il celeste assieme a quelle nuvole, come sei bella Miami da qui.
<<Abbiamo qualcosa in comune dopotutto, non solo un paio di baci.>>
Conclude portando una tazza di cappuccino fumante alle carnose labbra.
È buffo come le cose possano cambiare da un momento all'altro con una facilità assurda e in tempi ristretti ed è ancora più strano come adesso io trovi facile ridere alle sue battute e farmi stringere le mani da qualcuno di cui mai mi sarei fidata.
Distolgo lo sguardo dalle tazze fumanti rannicchiandomi ancora un po' al fianco di un Justin sfuggente.
I nostri corpi non sono mai stati tanto vicini senza ferirsi: posso sentire ogni centimetro della sua pelle adattarsi perfettamente al mio in un contatto veloce, posso vedere i suoi tatuaggi giocare con luci ed ombre e sentire assieme al suo respiro anche il battito cardiaco di quel polso così delicato.
<<Scusa, okay? Per tutto.>>
Fissa quei suoi occhi miele nei miei ed io mi ci lascio naufragrare cercando certezze.
<< Vieni qui, facciamo pace?>> rincara la dose allargando quelle sue braccia spontaneamente.
E' giusto scomparire in quest'abbraccio?
Mi lascio avvolgere dal suo corpo, ci siamo spogliati finalmente di ogni pensiero, di ogni parola o frase non detta.
Sono qui fra le sue mani, le uniche in grado di cercarmi e trovarmi, nonostante il male, nonostante tutto: ci vado dentro quasi arresa, dimenticandomi del poi.
<<Finalmente!>> sorride quasi vergognandosene, so che questa è l'occasione che stava spettando per sentirsi finalmente in pace con se stesso.
Nei suoi occhi colgo una scintilla di insicurezza,mai avrei creduto potessere essere così impacciato, così timido nei confronti di una ragazza.
<<Cose come queste non succederanno più.>> fa passando velocemente l'inice sul succhiotto della sera prima.
<<Va tutto bene, davvero.>> la voce si incrina su quel dannato bene, in realtà vorrei sprofondare e trascinarlo giù con me: è solo che non so dove ci porterà tutto questo,che scelte farà.
Non so se fidarmi, diamine.
E come un dovere ritrovo con le mie labbra sulle sue, unite ancora e incessantemente intente a esplorare le insicurezze dove ancora le parole non sono potute arrivare.
Ci ritroviamo spalle contro un vetro al centro di una Miami spenta o forse accesa, con quella lingua che percorre centimetri di pelle un po' più rossa per un sentimento ancora indefinito.
<< Benventa a Miami, italiana.>>
<<Dovresti smetterla di cogliermi così alla sprovvista!>> sorrido contro le sue labbra sapor cappuccino.
Tuttavia non si scosta ,anzi, lascia scivolare i suoi pollici delicati giù per il viso facendo venire su la pelle d'oca, è meraviglioso come non senta più neanche il freddo del vetro contro le mie spalle ma solo il calore del suo corpo poggiato al mio.
<< Mi piace vederti combattuta sul se ricambiare con altrettanta energia o lasciarti andare completamente a me.>>
La sua voce roca mi mozza il respiro in gola come se avessi inalato l'ultimo respiro prima di immergermi completamente in lui.
<<Sei maledettamente bella.>>
Sento le ossa frantumarsi nel suo abbraccio, è come se avesse paura di perdermi ed io lascio fare con quella mia tipica passività: mi sorprende sempre di più, è sempre la stessa sensazione di smarrimento come se rimanessi nuda in una gigantesca stanza vuota.
Come se carpisse il mio turbamento si distacca improvvisamente, i suoi occhi cominciano a correre frenetici verso la tavola imbandita, su per le sedie soffermandosi oltre come pensieroso.
<<andiamo.>> fa calcandosi il bomber sulle spalle, il suo passo svelto smuove una strana ansia in me: sento man mano sgretolarsi certezze e qualcosa di indefinito più infondo.
<<Justin?>> il mio sussurro è fioco, sovrasta a malapena il tintinnare del cristallo e delle posate in sala ma lui l'ha percepito e lo vedo dalla sua muscolatura tesa.
Si arresta, in quei suoi jeans strappati e il portamento fiero ed io esplodo, perché lui è questo: è fuoco sotto pelle, sempre.
<< sei così complicato e delicato insieme.>>
Bisticcio con le suole delle converse per l'imbarazzo, è come se tutto intorno a noi si fosse arrestato
<< È un male?>>
La sua voce trema in quelle note da uomo vissuto eppure la sua figura non accenna a voltarsi, ciò mi da confidenza.
<< Dovrebbe ma è irresistibile per me: cado nella tua orbita per quanto mi sforzi di fuggire, tu mi attrai sempre e questa mia malata voglia di conoscerti, di capire il bello che c'è in te, sotto quelle rovine di un carattere distrutto è innata.
Il fatto che io veda tramonti sulla tua anima nonostante il tuo ostinarti a rivelare sempre ombre mi manda in cortocircuito, mi fa sentire male e bene insieme ed è un effetto simile alla sbronza il sabato sera quando tutto incomincia e finisce in una risata e in un pianto, quando sembra che tu abbia vissuto di tutto nell'arco di un sole ed una luna.
Dall'estasi mi mandi all'inferno mille volte, senza senso e mille volte ancora io cerco di risalire in paradiso, delle volte mi tendi la mano altre mi trafiggi eppure io ti perdono sempre perché ti ritengo speciale nel tuo piccolo.
Non so perché cazzo perdo tempo con te Bieber ma mi sei dentro, nel sangue o meglio ovunque: non so come, non so con quale sentimento ma ci sei.
Non posso chiudere gli occhi senza vederti, senza immaginare Fort Lauderdale e l'acqua, noi e poi lei, Janet.
Mi distruggi in una frazione di secondo come quel giorno così sempre, hai una influenza così dannatamente irrimediabile su di me.
Mi devo fidare? Mi potrò mai fidare di te?Nel mio piccolo ti voglio bene, così tanto bene.>>
Il silenzio grava imperterrito su noi, non c'è modo per riportare indietro il tempo e risparmiarmi questo momento patetitco ma tanto vale vederci fino in fondo, tanto vale aprirmi completamente a lui come mai prima d'ora.
<<Incominciamo tutto d'accapo, un'altra volta... L'ultima.>>
Cosa sta alludendo? Nel momento in cui si degna di voltarsi per guardarmi è oramai già distante: con quello sguardo perso che non sa di niente, che non è acceso come un secondo fa nè odioso come qualche settimana fa, è solo passivo, bigio come la pioggia alle sue spalle.
<<Hai ragione, hai tanta ragione dovremmo smettere di sfidarci, dovresti smettere di baciarmi solo per importi e io idealizzarti solo per farmi meno male.>> sbotto, è difficile fare i punto della situazione, la verità fa male ma le carte vanno scoperte.
<<No, tu non mi stai idealizzando. >>
Ringhia passandosi la mano sul mento e accarezzando centimetri di pelle abbronzata.
<< Justin, credo in una versione di te che non esiste!>> sbuffo, nascondendo i miei lineamenti tesi e delusi.
<< Smettila di essere così cieca, tu mi hai completamente capito, mi hai fottutamente smontato Belle ed è questo che odio di te: entri dentro e scopri, scopri persino ciò che davo per distrutto, che io avevo distrutto. >>
Il caposala fissa due occhietti infuocati su di noi, è ovvio che sia turbato dagli acuti e dalla nostra presenza superficiale in questa sala piena di gente per bene.
Non me ne frega: siamo sempre stati fuori posto, fuori tempo, sbagliati tanto vale rimanere così.
<< Non puoi darmi le colpe di un passato che ritorna.>>
Non sembro neanche tanto sicura di ciò che dico visto il sussurro flebile con cui è parole sono uscite fuori.
<<Ti ho detto che sei dannatamente meravigliosa, questo è dare colpe? Belle sei superiore, sei qui al momento sbagliato e nel posto sbagliato con la persona sbagliata.>>
La sua mascella ha uno scatto, perché si sottovaluta così? Cosa nasconde dietro quegli occhi miele?
Sorride, lo vedo avvicinarsi con i lineamenti più distesi, i passi sono lenti, direi infiniti ma io lo aspetto, come sempre.
Mi cinge con le braccia, è uno di quelle cose inaspettate e dolci così come le sue dita che si fanno strada fra i miei capelli e li accarezzano delicatamente.
<<Ascoltami bene: tra una settimana tu sarai dall'altra parte del mondo, di tutto ciò non resterà molto noi siamo ancora in tempo, per cancellare ogni casino.>>
Fa lasciandomi un bacio sui capelli e spingendomi di corsa verso l'ascensore vuoto, è sempre il solito enigmatico non cambierà mai.
<<Non mi fido.>> Faccio afferrandolo per il bavero della giacca per poi posare le mie labbra sulle sue, divampa in un fuoco passionale e a stento ricorda di schiacciare il bottone al fine di far chiudere le porte dell'abitacolo.
Eppure eccoci qua.
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