Terrore ai malfattori
È una gioia per il giusto che sia fatta giustizia, mentre è un terrore per i malfattori.
[Proverbi 21, 15]
— Questa non è una tazza di cappuccino. Questa è la madre di tutte le tazze di cappuccino.
Sedevo di fronte a Mattia a uno dei tavolini esterni del Bar Bazzanti, con le spalle all'antico colonnato della Gran Guardia. Una cameriera ci aveva portato le nostre ordinazioni – avevamo scelto entrambi la stessa colazione – e stavo fissando quella sorta di ciotola da insalata che sia Mattia sia lo staff del bar insistevano a chiamare tazza con un tale ostinazione che per poco non incrociai gli occhi.
— No, io non ce la faccio; tutto questo latte a prima mattina no.
Mattia si dedicò con falsa tranquillità ad aprire una bustina di zucchero di canna – come se non si rendesse conto che potevo quasi toccare la sua tensione.
— Non dire che non ti avevo avvertita — mi rimproverò, con tutta l'intenzione di risultare scherzoso, ma l'ansia che sprizzava da ogni singolo poro sulla sua pelle rovinò l'effetto. — Male che vada, salti il pranzo e arrivederci a stasera.
— Altro che pranzo, qua mi tocca saltare anche la cena — sussurrai, seria fino al midollo.
— E la merenda. Non dimenticare la merenda. Non sopravvivrei senza merenda. — Mattia mescolò distrattamente lo zucchero nel suo cappuccino con cacao, mentre degnava appena di un'occhiata i cornetti alla Nutella che ci avrebbero fornito le restanti calorie per ammazzarci in definitiva. — La merenda è santa e sacrosanta.
— Non ha senso aggiungere sacrosanta se è già santa, basterebbe un sacra.
Mattia minimizzò la questione con un gesto scocciato della mano. Negli ultimi tempi era diventato bravo a fingersi distaccato e disinteressato. — Considerala una licenza poetica.
Prese un sorso di cappuccino; sul labbro superiore gli restò un baffo di schiuma che mi fece venire voglia di baciarlo al fine di rimuovere quel ridicolo segno. Quando mi protesi in avanti per farlo, lui si allontanò.
Mattia era restio ad abbandonarsi alle effusioni in pubblico: me n'ero accorta già da tempo. A chiunque fosse capitato per di lì, il pensiero che potessimo essere fidanzati non sarebbe neanche passato per l'anticamera del cervello. Certo, la vista di due ragazzi che facevano colazione da soli con tanto di mazzetto di fiori in mezzo al tavolo avrebbe dato da riflettere, tuttavia dubitavo che emanassimo la tipica aria da nuova coppietta felice e spensierata. In particolar modo perché felici e spensierati non lo eravamo affatto.
Ovvio, con lui stavo bene, benissimo anzi, e speravo che per lui fosse lo stesso, ma non avevamo esattamente avuto il tempo necessario per poter legare più a fondo e approfondire la nostra relazione, a causa di quanto accaduto negli ultimi giorni. Il mio affetto per lui andava immensamente oltre una semplice amicizia, eppure dire che lo amavo non mi sembrava – non ancora, se Raziel fosse stato caritatevole – la verità.
Mi ero innamorata di lui? Sì.
Lo amavo? Al momento, no.
Non sapevo se la mancanza di contatto fisico tra di noi fosse proprio il risultato di tale insicurezza nei miei sentimenti; magari Mattia l'aveva percepita ed era appunto da lì che derivava questo suo strano comportamento freddo. Non era proprio il periodo migliore per farsi un esame di coscienza a quei livelli, né per me né per lui, e c'erano questioni ben più importanti che richiedevano la nostra attenzione: questo lo comprendevo perfettamente. Eppure il giorno in cui avrei lasciato l'Italia per tornare a New York si avvicinava sempre di più, e ancora non avevo idea di cosa avrebbe significato quella partenza.
Sarebbe stata un addio, o un arrivederci?
Avrei portato con me qualcosa di diverso dal solo ricordo di una semplice vacanza come tante altre?
Era già assodato che, in un modo o nell'altro e prima o poi, avrei rivisto Mattia a Idris: mi aveva promesso che avrebbe svelato al mondo i segreti del suo branco, e inoltre molto probabilmente sarebbe stato chiamato a firmare gli Accordi in veste di rappresentante dei mannari. Per quel tempo anch'io avrei avuto il mio da fare, e con un po' di fortuna avrei ottenuto che Jean scontasse la pena che meritava – tutto ciò, naturalmente, posto che fossi riuscita ad aprire bocca davanti al Consiglio: questo era quanto io, in cambio, avevo promesso a Mattia.
Per cui, sì, ci saremmo rincontrati. Lo richiedevano le circostanze.
Il problema adesso era capire in quali panni il destino ci avrebbe messo inevitabilmente l'uno di fronte all'altra.
Lo osservai di sottecchi. Non sembrava essere molto intenzionato a riempirsi lo stomaco, e centellinava il cappuccino nemmeno fosse del costoso bourbon da gustarsi con la maggiore lentezza possibile. Aveva le palpebre pesanti per il poco sonno, e la stanchezza trasudava da ogni suo movimento, persino il più piccolo.
Eravamo arrivati a Villa Orlando verso le quattro, e avevo immediatamente ceduto la mia camera a Mattia per permettergli di riposarsi come si deve. Ma anche dal piano di sotto, con tanto di Chrysta che smuoveva pentole e padelle per preparare una dose da esercito di pozione antilupo e nel frattempo studiava ad alta voce come imporre la maledizione sui licantropi traditori, ero in grado di sentire che Mattia non la smetteva di girarsi e rigirarsi nel letto.
Avvertiti i genitori di Mattia con un messaggio dal suo cellulare, mi ero appisolata sul divano alle cinque passate, dopo aver spiegato ai gemelli – che si erano svegliati per il troppo rumore – cos'era successo in quella notte infernale e aver aiutato Chrysta al massimo delle mie possibilità. A conti fatti, ma dopotutto me lo aspettavo, Mattia doveva aver dormito addirittura meno di me.
Non che potessi biasimarlo: chiunque non avrebbe chiuso occhio col peso di una decisione del genere sul petto. Se pure Chris ed io, le più estranee alla vicenda, ne eravamo rimaste influenzate, non potevo immaginare come ne fosse uscito lui.
Ci eravamo alzati tutti alle otto, di malavoglia, e avevamo preso strade differenti: Chrysta era sparita tra gli alberi di Monte Orlando per poter racimolare la concentrazione necessaria per l'incantesimo, Logan e Trish erano corsi al covo dei vampiri allo scopo di scoprire quale fosse la loro implicazione negli attacchi della sera precedente e io avevo trascinato Mattia fuori di casa per fare colazione.
L'appuntamento era fissato per mezzogiorno al Palazzo, ed erano le nove. Avevo tre ore a disposizione per assicurarmi che Mattia non desse fuori di testa come già aveva minacciato di fare.
Spinsi leggermente verso di lui il piatto con i cornetti. — Si faranno freddi se non li mangiamo entro breve.
Mattia mise lentamente giù la tazza vuota. Guardandomi con sfacciataggine, staccò con indice e pollice la punta di uno dei cornetti e se la portò alla bocca. — Già freddi. E poi non ho fame.
— Va bene, non ti costringerò — mi arresi, allungando una mano per poter stringere la sua. Stavolta, lui non si ritrasse. — Però, Mattia, smettila di rimuginare. Startene qui a pensare e ripensare non ti sarà di alcun aiuto.
Mattia buttò fuori l'aria dalle narici in quella che voleva essere l'emulazione di una risatina sarcastica. — Purtroppo non riesco a fare altro, Lorianne.
Con un sospiro imitai il suo gesto di poco prima e iniziai a smantellare il cornetto, in silenzio. L'operazione si fece complicata quando cominciò ad apparire la Nutella, dunque dovetti per forza di cose affondare i denti nella soffice pasta: non l'avevo fatto sin da subito per evitare di sporcarmi tutto il mento di cioccolata e zucchero a velo e ricoprirmi completamente di briciole. Fallii miseramente nell'intento di concludere una colazione con dignità, cosa che divertì Mattia al massimo grado.
— Sì sì, ridi pure — sbottai, mentre lui sghignazzava senza ritegno. Se non altro sembrava che così un po' del suo nervosismo fosse volato via, lasciando immediatamente spazio all'appetito: in tempi non troppo lunghi, anche il secondo cornetto sparì oltre le labbra di Mattia. Avevo notato una certa riluttanza in lui, ed ero più che sicura che a pranzo non l'avrei affatto spuntata col mio tentativo di farlo mangiare, ma almeno con quella colazione sullo stomaco avrebbe avuto l'energia e la lucidità necessarie per ciò che lo attendeva al Palazzo. E di energia e lucidità gliene servivano parecchie.
Non mi permise di pagare – cavaliere fino al midollo – e mi schiaffeggiò il polso quando provai a restituirgli quantomeno la mia parte del conto.
— Non voglio fare la mantenuta, e dai! — protestai, ma lui fece orecchie da mercante e mi trascinò fuori dal bar, in direzione del lungomare. Mattia sceglieva sempre la strada del mare se aveva bisogno di calmarsi.
Quel giorno faceva talmente caldo che un paio di persone passeggiavano addirittura con gli ombrelli per ripararsi dal sole, eppure, a detta di Mattia, non erano temperature eccessivamente alte per quel periodo: i tizi con gli ombrelli dovevano essere turisti. In effetti bastava solamente farci l'abitudine e camminare il più possibile vicino al mare per godersi la fresca brezza profumata di salsedine, e l'afa si sarebbe gradualmente trasformata in un calore tollerabile e a tratti persino piacevole.
Erano ormai due mesi che ero lì in Italia e dai locali avevo imparato alcuni trucchi per sopravvivere all'estate: occhiali dalle lenti scure e adatte a filtrare i raggi UV, molta acqua, crema solare per le pelli più chiare, niente gioielli, tessuti o accessori che avrebbero potuto provocare irritazione, abiti freschi e traspiranti. Avevo scoperto una virtuosa passione per i vestiti in lino e fatto guadagnare una fortuna ai tanti negozi e bottegucce che li vendevano, sia a Gaeta che a Formia e dintorni; per tenere in ordine i capelli, più corti di come ero solita portarli, avevo fatto razzia di forcine, cerchietti ed elastici tra le bancarelle della festa di sant'Erasmo. Calcolai di aver riempito, con tutta quella roba, più o meno una valigia e un beauty case: fortuna che Chrysta aveva allargato magicamente tutti i nostri bagagli, altrimenti ognuno di noi avrebbe dovuto comprare una o due nuove borse affinché potessero contenere i nostri acquisti italiani.
Quella valutazione mi fece riaffiorare alla mente il dubbio che da svariati giorni era protagonista dei miei pensieri. Non osavo immaginare come sarebbero state le cose, una volta preso il volo per New York. Il solo pensiero mi faceva salire un doloroso groppo in gola.
E ancora mi chiedevo perché non volessi andarmene: perché non volevo lasciare Mattia, oppure perché non volevo lasciare Mattia da solo?
Da cosa era dettata la mia paura? Mi rifiutavo di abbandonare come un cane quel ragazzo dal cuore d'oro, o soltanto di abbandonarlo al suo destino?
Chi era lui per me?
Chi era davvero lui per me?
Con un sussulto realizzai che non avrei mai avuto la risposta a quelle domande. Non l'avrei mai avuta, se non avessi fatto qualcosa per incentivare il naturale corso degli eventi.
Grazie alla mia esperienza di Chiaroveggente, ero consapevole che il futuro era invariabilmente fermo e inevitabile. Nessuno aveva una gomma per poterlo cancellare e una matita per poterlo riscrivere: io stessa ero unicamente in possesso degli elementi che mi consentivano di conoscerlo in anticipo, null'altro. Mai avuto voce in capitolo nella progettazione del grande disegno dell'universo.
Dal mio punto di vista privilegiato, però, ero in grado di individuare ogni singolo filo dell'enorme matassa delle circostanze e sapere quali nodi era possibile spezzare o districare, e quali invece sarebbero dovuti rimanere ingarbugliati. Con un po' di sforzo avrei potuto imporre la mia volontà. Avrei potuto – sì, avrei potuto cambiare il futuro.
Come ho detto, ero in grado di individuare i fili e sapere della condizione dei nodi. Punto e a capo.
Il motivo principale per cui litigavo così spesso con Jean negli ultimi mesi era la sua assoluta incapacità di comprendere che essere informato degli avvenimenti prossimi non gli sarebbe servito a un bel niente, perché comunque non v'erano i mezzi per modificarli a suo piacimento. E l'inesistenza – o forse la mancanza – di tali mezzi era ciò che faceva infuriare anche me: essere capace esclusivamente di prevedere il futuro mi faceva sentire imperfetta, incompleta; ridicolizzava le mie capacità fin quasi al punto di rendermi non migliore di quelle fate che, per finta o veramente, avevano qualche dote divinatoria. Che senso aveva essere rispettata e riconosciuta nell'intero Mondo Invisibile se poi in realtà non ero nessuno?
Mattia, Mattia sì che meritava di essere rispettato e riconosciuto nell'intero Mondo Invisibile. Dannazione, persino Jean lo meritava. Non io.
Con la coda dell'occhio fissai il profilo rigido di Mattia, stagliato contro lo sfondo azzurro del cielo limpido. Chi mai avrebbe potuto pensare che quel ragazzo non così dissimile dai suoi coetanei fosse un potente boss della camorra e per di più un lupo mannaro? Neanch'io, Shadowhunter dalla nascita, ero stata in grado di fare due più due.
Eppure un qualcosa, in lui, era scattato: se non dal primo momento in cui Mattia era tornato al Palazzo dopo essere scampato alla morte per un soffio, il meccanismo si era azionato a seguito della notte appena trascorsa. Ed era un qualcosa di positivo o di negativo? Non ne avevo la benché minima idea.
Chrysta mi aveva confidato che la linea d'azione di Mattia l'aveva scioccata. Lei non aveva neppure lontanamente immaginato un'eventualità del genere: la sua ipotesi, se avesse avuto l'opportunità di esprimerla, sarebbe stata rendere i traditori lupi a vita, certo non sovvertire il normale ordine della licantropia sottraendo i mannari all'influenza della luna. Avrebbe voluto concludere la questione lì e subito; un incantesimo di quel tipo – anzi, una maledizione – avrebbe richiesto ore e ore di preparazione. Non era nemmeno convinta di esserne all'altezza. Mattia l'aveva messa seriamente alla prova, cosa che a lei nella maggioranza dei casi non andava giù.
Ma, se c'era qualcuno che poteva mettere seriamente alla prova mia cugina, quello era proprio Mattia Nardone.
~ • ~
Mattia aveva convocato l'intero branco: era deprimente vederlo dimezzato, ridotto a solo una quindicina di membri effettivi, più i ribelli che stavano per essere cacciati via a calci. L'atrio del Palazzo sembrava stranamente vuoto.
I nove poveracci sui quali si sarebbe scagliata la furia di Mattia erano allineati sul bordo corto della piscina, di fronte al muro in cui era nascosto lo studio di Mallardo. Adriano e Sabrina – lei con indosso un paio di spessi guanti in cuoio – li avevano ammanettati con l'argento. Ciononostante, nessuno pareva spaventato o ansioso: mano sul fuoco, non uno di loro si aspettava che Mattia si sarebbe vendicato così duramente.
Lui stazionava a gambe divaricate su una pedana evocata da Chrysta – come suo padre, Chris è piuttosto attenta a creare una determinata atmosfera. Si mordeva la lingua e non faceva nulla per celarlo a tutti noi, tantomeno tentava di mostrarsi fiero e altezzoso: evidentemente, l'effetto era voluto.
Quando parlò, però, la sua voce riecheggiò alta e stentorea: — Codardi.
Quell'unico vocabolo rimbombò come il suono di uno sparo. Le sue pupille mandavano fiamme di pura e primitiva rabbia ferina.
— Pusillanimi. Vigliacchi. — Mattia rincarò la dose, non contento: — Grandissimi idioti. Ringraziate il cielo se non vi uccido personalmente – peraltro, mi stancherei pure a farlo, ringraziate anche la mia pigrizia. Vi auguro tutto il male del mondo, cari compagni. E che il Signore abbia pietà di voi.
Scese dal podio con un'ultima occhiataccia ai suoi ex Beta e andò a posizionarsi accanto a me e al resto del suo branco, divisosi tra le scale e il ballatoio. — Chris, il palco è tuo.
Chrysta avanzò con un'espressione terrificante stampata in faccia. Per l'occasione aveva rispolverato il suo migliore abito rituale, commissionato alla sartoria Firestorm dal padre per il suo diciottesimo compleanno: una lunga veste di un rosso talmente scuro da apparire del colore del sangue, con ricami giallo-arancioni lungo l'orlo delle maniche larghe e del cappuccio, chiusa sul davanti da quattro fibbie in quattro diversi materiali – ferro, oro, argento, elettro. Si era legata i capelli con un nastrino dorato per scoprire le orecchie da pipistrello. Tutto in lei urlava temetemi.
— Luna di giugno — cominciò, indicando il soffitto. — Perfetta per reinventare la vita, non è vero?
Sorrise. Quel sorriso fintamente rassicurante contribuì ad aumentare l'aura terribile che già emanava. — Tra meno di dodici ore la Luna sarà al suo apice, ma il plenilunio è stato forte questo mese, giusto? Domani la Luna vi terrà ancora in pugno, e così ha fatto ieri. E voi ne avete bellamente approfittato. Ed è per questo che ho consegnato ai vostri colleghi due fiale di pozione: perché possano rilassarsi dopo una notte tanto orribile, una notte tanto orribile per colpa vostra. Non che a voi importi, ovviamente.
Falsò un sospiro rassegnato. — E va bene, vorrà dire che ne pagherete le conseguenze.
Si fece buio di colpo. Tutta la luce della stanza corse a raccogliersi nel palmo di Chrysta, che la schiacciò sotto le dita. L'unica fonte di illuminazione restò un lieve bagliore scaturito dalla Stregona stessa, un brillio soffocato ma ampio, che si estendeva sino a coprire un'area di qualche metro quadrato. Non era difficile figurarsi di essere in una chiesa abbandonata al cospetto di una sacerdotessa di un culto pagano, o in un bosco dell'antica Gallia pieno di druidi in cerchio. Si sollevò una brezza leggera e profumata di cannella, la firma di Chris.
— Parole della figlia di Edom.
Chrysta allargò le braccia, buttando il capo all'indietro. Il suo tono era grave e impetuoso: richiamava a sé la magia.
— Da Edom proviene il mio potere, in Edom mi nutro, per Edom vi punisco.
Un sonoro sussulto percorse i corpi dei mannari disertori.
— Ascoltate, o figli della Luna: dalla Luna proviene il vostro potere, nella Luna vi nutrite, per la Luna siete già puniti. Vi libero dalla Luna, vi sciolgo dal vincolo della Bestia: per voi vado contro la natura, ma io sono la natura. Per voi vado contro la Luna, ma io sono la Luna.
Una cappa d'ombra svanì rivelando nove figure inginocchiate, gli occhi spalancati, un'ingenua e misera speranza sui loro volti.
— Io sono una nuova Luna, una Luna che ristora e rinfranca, una Luna sotto la quale potrete trovare piacere invece che dolore. Io sono la Luna che dà pace e vi restituisce la vostra umanità battuta e sfiorita.
I licantropi gemettero di sollievo.
— Infatti lupi sarete se non con la Luna, lupi sarete se non con me: io vi maledico.
Urla. Odore di carne ustionata, crepitio dell'argento che sfrigolava.
— Mattia! Mattia!
— No! No! Mattia! Alpha! Non permetterà!
— No... Mattia!
— Io sono Luna e argento e aconito: i miei raggi vi aprono la pelle in piaghe.
A un cenno di Chrysta, un sottilissimo ma letale fascio di energia grezza frustò i mannari. Si levarono altre grida. Mattia era immobile al mio fianco.
— Io sono il vostro sogno e il vostro incubo, e io vi maledico.
Scoppiarono i pianti.
— Che ogni mia sillaba, mia consonante, mia vocale sia incisa nella pietra e non svanisca tra le sabbie del tempo: per me voi sarete dannati. Io vi maledico, nel nome di mia madre Lilith e Lucifero e Asmodeo: che le potenze infernali mi assistano nel pronunciare questo giuramento.
Sul petto dei licantropi iniziò a delinearsi un marchio.
— Così come Dio giurò al Serpente che la donna gli avrebbe schiacciato la testa in eterno, così io giuro che schiaccerò voi, riducendovi a miserevoli animali e facendovi soltanto assaporare il reale gusto della vita per giorni tre nel singolo mese.
Il marchio era completo: linee spigolose, angoli acuti, curve severe. Feriva lo sguardo.
— Belve siete stati in forma di uomini e belve sarete in forma di belve: così richiede l'universo, così ordino io. E io ordino, e il vostro Alpha ordina, che le vostre anime siano bruciate e le vostre esistenze condannate: da questo momento su di voi pende il mio sigillo. E da questo momento voi siete maledetti!
Le manette attorno ai polsi dei nove divennero catene. Nel corso di due secondi, chi era sul ballatoio dovette indietreggiare di scatto: Chrysta aveva legato i lupi alla ringhiera delle scale.
Percepii Mattia fremere. — Più corte.
Chris non capì al primo colpo. — Le catene — chiarì Mattia. — Le voglio più corte.
Passandosi la lingua sulle labbra, Chrysta fece saltare via un paio di anelli. Quei bastardi adesso toccavano terra a malapena con la punta delle scarpe.
Trattenni il fiato, sconvolta. Mattia era impassibile. Mi girai nella sua direzione, ma lui teneva ostinatamente gli occhi bassi sui suoi sottomessi, una stretta spasmodica sul corrimano della ringhiera.
— Voltatevi — comandò, e i traditori furono costretti a ruotare la testa in modo innaturale per poterlo guardare. Lo sguardo degli altri membri del branco era già fisso su di lui da prima che parlasse.
— Che questo sia di monito a tutti voi. Osate contestare la mia autorità e subirete la mia ira. Ricordate sempre che c'è ben di peggio della morte, e non c'è limite che non sia disposto a valicare. Godetevi il plenilunio.
E filò fuori dal Palazzo, senza curarsi dei Beta che si inginocchiavano ai suoi piedi, riverenti, e dei corpi che si dibattevano disperati penzolando giù dalle scale.
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Ave!
Bene, mi sembra di non aver nulla da dire, a parte le solite raccomandazioni di votare e commentare (COMMENTATE, PER FAVORE, COMMENTATE!)
Un saluto,
Federica
P.S. Perdonate l'uso sconsiderato dei due punti e del punto e virgola. Colpa del liceo.
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