San Tommaso

Tommaso, uno dei Dodici, detto Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il signore!»
Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e non metto il mio dito nel segno dei chiodi
e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

[Giovanni 20, 24-25]

Stai meglio coi capelli corti.

Mattia non mi guardava in faccia. Teneva lo sguardo basso puntato su di sé, sulle sue braccia che stringevano il nipotino. Valentino, un bimbo meraviglioso di tre mesi massimo, gli stava sbavando sulla spalla, e aveva tutta l'aria di volergli ciucciare pure il papillon.

Eravamo seduti sul muretto di fronte al suo ristorante, lui voltato verso il mare e io di tre quarti per poterlo scrutare bene. Aveva un aspetto decisamente migliore rispetto a quando l'avevo incontrato la domenica precedente, almeno a livello fisico; sotto il profilo psicologico, al contrario, sembrava aver appena varcato la soglia dello studio di uno strizzacervelli.

Ovvio, considerando che credeva di essere pazzo.

Per poco non mi convinsi di essere pazza anch'io, dato che non avevo riconosciuto la sua natura di lupo mannaro nemmeno dopo tutti i sogni e le visioni che mi avevano tanto tormentato a New York. Ma in fondo i veri e tangibili segni della sua licantropia erano pochi, magari giusto la cicatrice del morso sul braccio.

Pensandoci più approfonditamente, però, mi resi conto non solo che avrei dovuto includere l'attacco di un mannaro tra le tante ipotesi che avevo formulato circa l'interruzione della sua chiamata tempo addietro, ma anche che l'ultima volta che ci eravamo visti, a Serapo, un paio di giorni prima del plenilunio, i suoi occhi erano più chiari certamente non per un gioco di luce. E dire che ero abituata a notare il cerchio giallo nell'iride di nonno Luke in periodo di luna piena.

Con una riflessione posteriore arrivai alla conclusione che, in parole povere, non è che non ne ero stata in grado, anzi, non avevo voluto mettere insieme i pezzi del puzzle: io quel lupo l'avevo visto morto. Moriva continuamente, quel bastardo, in un infinito, terribile, assillante loop.

E non è una bella cosa sapere della morte di qualcuno, che tu lo conosca o meno. In quel caso, considerato che si trattava di sogni e non propriamente di visioni, più che sapere della sua morte sapevo che il destino gli avrebbe riservato brutte sorprese, e io gli avrei fatto compagnia. Posto ovviamente che fosse lui quel mannaro, anche se ormai mi pareva abbastanza certo.

Si risvegliarono in me le speranze, abbandonate quasi definitivamente a New York, che il lupo avrebbe potuto aiutarmi con la questione Jean. Oh, che bello: un ragazzo che nemmeno aveva idea di chi era veramente si sarebbe fatto in quattro per far salire a galla la verità su cosa era successo a dicembre dell'anno precedente in un paese che per lui non esisteva e che coinvolgeva un tizio sconosciuto e una vacanziera americana con una strana abilità nel parlare italiano senza accento. Che grandi speranze.

Oltretutto, Mattia manteneva la calma solo grazie al nipote. La presenza di Valentino lì aveva il ruolo di freno inibitorio, che gli impediva di alzare la voce, gesticolare come un pazzo o compiere altri gesti avventati, quale ad esempio buttarsi in mare. Sospettai sin dall'inizio che non fosse casuale il fatto che, dopo aver visto me fuori dalle finestre del ristorante che gli facevo segno di uscire, avesse prima preso in braccio Valentino e poi mi avesse raggiunta. Lui me lo confermò più tardi: aveva passato col nipote quasi tutta la settimana, dalla fine delle lezioni fino all'ora di cena, salvo quando aveva dovuto fare affiancamento in ospedale.

La buttò lì, pratico e schietto. Partì parlando della nonna, che abitava nello stesso palazzo del ristorante, e arrivò con una naturalezza pazzesca al pezzo clue del racconto. Probabilmente neanche si aspettava che lo capissi. E invece io avevo capito tutto, persino più di lui.

Dovevo portarlo sulla strada giusta. Non poteva continuare a credere di avere una strana patologia psichiatrica che forse era anche stata disconosciuta come tale, non poteva presentarsi impreparato alla prossima luna piena. Gaeta era troppo piccola e troppo piena di gente perché potesse permetterselo.

Gli chiesi di farmi vedere il morso. Mattia si rifiutò; in effetti, per lui non aveva alcuna importanza. Insistetti e riuscii a convincerlo. Mentre Valentino, una volta deciso che la camicia dello zio era stata impiastricciata a sufficienza, giocava con la catenella del ciuccio, Mattia mi mostrò l'avambraccio. Era un brutto, brutto sfregio.

— Ti hanno messo i punti? — gli domandai, tentando un approccio clinico.

Ricevetti come risposta soltanto uno scatto nervoso del collo che non stava a significare né sì né no. — Sono saltati — disse dopo un bel po'. — La ferita si è rimarginata nel giro di mezza giornata, non ho più avuto bisogno neppure della fasciatura. E la cicatrice è parecchio restia ad andarsene, o almeno a ridursi.

— Non se ne andrà, Mattia — gli annunciai, sincera. — Tantomeno si ridurrà.

Lui osservò i tentativi del nipote di staccarsi la pinza del ciuccio dalla maglietta. — Con tutto il rispetto, tu cosa ne sai?

— Mio nonno — gli spiegai, cercando di incrociare il suo sguardo. Guardandomi negli occhi, Mattia sarebbe stato in grado di riconoscere se stavo mentendo. — Anche lui è un lupo mannaro.

— Mmm — fece, con un'intonazione crescente, sarcastica, che accompagnava un rapido contrarsi e rilassarsi della mascella. — E quindi adesso che intenzioni hai, consigliarmi una casa di cura e prevedere quale sarà il mio futuro da malato psichiatrico? Ho sentito che da qualche parte hanno ricominciato con l'elettroshock.

Mi concessi una breve risatina. — La seconda opzione è praticabile.

— L'elettroshock? No grazie. Preferisco una lobotomia.

— Intendevo prevedere il futuro, idiota.

— Oh, e come lo fai? — esclamò Mattia, sardonico, degnandosi di scoccarmi un'occhiata sbieca solo per prendermi per il culo. — Nonna legge i tarocchi. Tu invece guardi gli astri? Mi tracci la linea della vita sulla mano? Oppure tiri fuori una sfera di cristallo dalle tasche della giacca dove tieni anche quel pugnale?

Trasalii, colta di sorpresa. Lui sbuffò. — Sì, certo che me n'ero accorto. Ho l'abitudine di controllare addosso alla gente per vedere se ha qualcosa di pericoloso, lo faccio da quando hanno tentato una rapina al ristorante. Lo sai, tu sei il tipo di persona che mi fa scattare sull'attenti — continuò in tono leggero. — Sei strana, tu. Con tutti quei... cosi stampati sulla pelle e un pugnale che ti sei portata appresso anche all'Eneas e a Monte Orlando. Mi fai l'impressione che mi farebbe un adepto della massoneria o di Scientology.

Mi chiesi se fosse il caso di rivelargli chi ero in realtà. Forse quello era il modo migliore di sbattergli in faccia le cose come stavano e iniziare ad introdurlo al Mondo Invisibile. Di sicuro non mi avrebbe creduta neanche per sogno se fossi andata avanti con la storia del lupo mannaro: quello era – pur forzatamente – spiegabile con la scienza, o perlomeno con una pseudoscienza. Ma d'altro canto vedere un disegno che scaturiva a mezz'aria dalla punta di uno strumento privo di un qualsiasi genere di inchiostro, brillava e infine svaniva sotto i suoi occhi avrebbe potuto traumatizzarlo a vita.

In tali occasioni l'illuminazione o arriva o non arriva, nessuna via di mezzo. E l'illuminazione me l'aveva offerta proprio Mattia su un piatto d'argento. Letteralmente.

Mi sfilai con cautela il pugnale dalla tasca. Riflettei se mi sarebbe convenuto ferirlo o anche solo toccarlo, ma la vista di Valentino seduto sulle sue gambe mi fece desistere. Perciò semplicemente glielo porsi dalla parte del manico, tenendo la lama tra indice e pollice.

Mattia sollevò le sopracciglia. — Sì?

— Scommettiamo che riesci solamente a sfiorarlo? — lo provocai, sfoderando un ghigno di sfida.

— È uno di quei dispositivi per la difesa personale, vero? — replicò subito lui. — Come minimo dentro ci sono un taser pezzotto e un allarme che mi farà sanguinare i timpani per quanto è forte.

Scossi la testa, ancora sorridendo. — Non c'è trucco non c'è inganno. Lo farei testare a Valentino, ma sai com'è...

Mattia schioccò la lingua sul palato in segno di scherno. — Da' qua, dai. — Allungò la mano, impaziente.

— No, prima i termini della scommessa.

Ricevetti di rimando un sospiro esasperato. — Sentiamo.

— Se vinco io — attaccai, già pregustando il sapore della vittoria, — mi stai ad ascoltare. Nient'altro, tutto qui. Se vinci tu, farò qualsiasi cosa tu voglia.

Mattia mi fissò per un attimo, poi scoppiò a ridere sguaiatamente. — Ah, Lorianne, tu a me non mi fai fesso! — Era ridicolo, tutto bello convinto che di lì a pochi minuti non si sarebbe ritrovato il palmo coperto di bruciature. Ed era ridicolo pure che fosse caduto nel dialetto dopo aver mantenuto un ottimo italiano fino ad allora, l'accento di stampo napoletano adesso molto più marcato. — Non mi fregherai con questi giochetti psicologici, nossignore.

Sogghignai. — Chi ci va a perdere di più tra te e me?

— Appunto — rincarò lui. — Giochetti psicologici.

— Riformulo. Cosa ci vai a perdere tu?

Mattia finse di pensarci su. — Il mio preziosissimo tempo.

— Oh, andiamo, Mattia, se non avessi voluto parlare con me non saresti nemmeno uscito dal ristorante — sbottai, irritata. — Parallelamente, se io non avessi voluto parlare con te ti avrei lasciato qui in preda ai tuoi deliri da psicopatico. Mi hai scaricato addosso una bella patata bollente, signorino.

— Già. — Mi stava palesemente sfottendo. — E tu mi sei anche stata a sentire senza dire una parola. Chi sta messo peggio?

— Va bene, Mattia, vaffanculo. Probabilmente non ti è chiaro che con quell'accenno a mio nonno volevo farti capire che io so qualcosa sul tema o quantomeno ne so più di te, e stavo solo cercando un pretesto per metterti un tappo alla bocca e costringerti a prestarmi attenzione, dato che stai stupidamente evitando l'argomento — per poco non urlai, trattenendomi solo per via di Valentino. Povero cucciolo, ormai non aveva più nulla da ciucciare. — Quindi, fammi questo favore, sii ragionevole e comportati da civile!

Serrando le labbra, Mattia si alzò e mi si piazzò davanti. Si sistemò il nipotino a pancia in giù sul braccio e lo fece dolcemente dondolare avanti e indietro, scatenando un accesso di risa in quella meraviglia di bambino. — Ammira la reazione di paracadute — rincarò ancora, facendo cenno a Valentino che aveva per istinto spalancato braccia e gambe. — Sono così bravo a evitare l'argomento...

— E io sono così brava a infilarti quel pugnale su per il culo...

Mattia incassò il colpo e me ne rispedì un altro ancora più forte. — Troveresti il passaggio bloccato, le corna sono talmente grosse che arrivano fino a là sotto, risalgono e mi escono dal naso.

— Non ti dico quanto sono grosse le palle che mi stai facendo girare soltanto per decenza pubblica, guarda.

Mattia si stampò in faccia un'espressione ammirata. — Te le ho fatte anche crescere, le palle, hai visto che bravo? — Fece una pausa ad effetto, mentre i suoi lineamenti si indurivano fin quasi a sembrare di pietra. — Hai visto che pazzo?

Roteai gli occhi al cielo. — Ed ecco che riparte.

— Hai una spiegazione migliore? Sono aperto a suggerimenti.

Avrei potuto mettermi a cantare l'alleluia per quanto ero contenta. Mattia pareva essersi rassegnato, e ormai aveva iniziato a coccolare il nipote in maniera lenta e meccanica, senza pensarci troppo.

Mi sistemai a gambe incrociate sul muretto e mi concessi uno sguardo trionfante prima di esordire: — Ammetto che non hai tutti i torti a chiamarla malattia, però sbagli il tipo, di malattia.

Mattia aveva rialzato la testa non appena avevo detto malattia. — Sì?

— Vedila come un'infezione — spiegai, — che si è trasmessa attraverso quel morso.

Lui alzò la mano libera per fermarmi. — No, per favore. Non mi starai veramente parlando di lupi mannari nel senso mitologico del termine!

— Okay, rigiriamo la frittata — gli concessi. — Mutazione genetica. Va meglio così?

Mattia si passò Valentino sull'altro braccio, gemendo. — Mica tanto. Gli X-Men mi piacciono finché restano sotto forma di fumetti, poi per amor di scienza o li imprigionerei in un laboratorio o gli pianterei una pallottola nel cervello, e ovviamente annegherei Wolverine e Deadpool, loro hanno il fattore rigenerante.

— Non lo faresti. — Gli scoccai un'occhiata saputa.

— Non lo farei, no — ammise. — Mi ucciderebbero prima.

Ridacchiai. — Io non sto cercando di ucciderti.

Se aveva colto l'antifona – e l'aveva fatto – Mattia non mi diede corda. — Perché, quale bizzarra mutazione hai tu? Tutti in famiglia hanno gli occhi scuri e tu sei l'unica ad averli verdi? Oooh, wow, che figata, dovrebbero dedicarti un fumetto.

Strinsi i denti, contenendomi. — Cosa vuoi sentirti dire, mmh, Mattia? Vuoi che ti accompagni al manicomio e ti tenga la manina mentre ti spogliano e ti buttano sotto una doccia di disinfettante? — Allargai le braccia esasperata. — Come può esserti così difficile accettare che potresti effettivamente essere un lupo mannaro se credi a qualsiasi – e dico qualsiasi – cosa ti imponga la tua religione?

Tirare in ballo la religione era stato un grave, gravissimo errore. Se in precedenza Mattia era solo lievemente infastidito, ora era furioso. — Primo, la mia religione non mi impone un bel nulla. Secondo, il modo in cui la osservo non è affar tuo. Terzo, qua fino a prova contraria quello strano non sono io, sei tu, cara la mia signorina "potresti-essere-un-lupo-mannaro". Ma ci pensi prima di sparare?

— E tu ci pensi prima di darmi torto a priori, Mattia? — controbattei, il mento alto a ostentare sicurezza. — Conosco la tua versione, è tempo per te di conoscere la mia. Vediamo quale delle due regge.

— Come faccio a sapere che non sei una pazza anche tu? — soffiò lui, stringendosi Valentino al petto.

Sorrisi amaramente. — Tra pazzi ci si riconosce, no?

Mattia sospirò a lungo. — Dammi quel pugnale, avanti — sbuffò infine, tendendomi la mano in attesa.

— Non vuoi prima accertarti che non sia tarocco? — lo stuzzicai. La stavo tirando per le lunghe, me ne rendevo conto, ma era fondamentale che capisse che non stavo affatto giocando. — Io te lo consiglio.

— E sentiamo, come dovrei farlo? — Roteò gli occhi al cielo, senza scomporsi eccessivamente. Mattia era il tipo di persona perfetto per fare l'insegnante: una dose pressoché infinita di pazienza, una certa lucidità anche nei momenti peggiori e un attacco isterico di tanto in tanto, quando una delle due veniva a mancare.

Riflettei per un attimo. — Al ristorante non usate dei guanti per non lasciare le impronte su piatti e bicchieri? — azzardai.

Lui annuì. — Ce li ho in tasca. Ma non ci riesco con Valentino in braccio — continuò riluttante.

Scoppiai a ridere, alzandomi per potermi avvicinare a loro. — Tranquillo, non gli faccio niente. — Quel bambino pesava come tre o quattro cocomeri maturi. — Ciao, panzerotto!

— Panzerotto è italiano, qui si dice panzarotto — mi informò Mattia mentre si infilava i guanti. Lanciò un'occhiata veloce al pugnale che avevo poggiato sul muretto, mordendosi il labbro. — Come fai a sapere così bene l'italiano? Insomma, in nessun corso di lingua è contemplata la parola panzarotto.

— Te lo spiego dopo. Ahia! — Quel birbante di Valentino mi stava artigliando i capelli. — Su, la tua sposa ti aspetta — aggiunsi in tono allegro, accennando al pugnale.

In tutta risposta, Mattia si mise a fischiettare la marcia nuziale. — Davvero molto divertente, signorina.

— Ricordati la scommessa, signorino.

— Sì sì sì, vabbè vabbè vabbè — minimizzò lui, sollevando il pugnale con cautela. Lo esaminò attentamente, da entrambi i lati, le lunghe dita avvolte dai guanti bianchi che ne tastavano ogni singolo rilievo e seguivano il filo della lama. — Sono sconvolto, non è tarocco! — fece quindi, ostentando una finta espressione stupita.

— Perfetto, san Tommaso — approvai sorridendogli. — Ora posalo di nuovo sul muretto, togliti i guanti e toccalo. Io ci proverei soltanto con l'indice, se fossi in te, ma se ami l'avventura...

— Non amo l'avventura — mi stroncò subito.

Quanto avrei voluto il potere di farmi materializzare una ciotola di popcorn tra le mani per potermi godere il momento come meritava di essere goduto.

Nonostante avesse mostrato una certa prudenza iniziale, dopo un po' Mattia si era stufato e aveva calato l'intero palmo su tutta la lunghezza del pugnale, uscendone dolorosamente ustionato.

Rimasi a guardarlo soddisfatta per due minuti buoni, aspettando che si riprendesse e realizzasse che la bruciatura sulla mano stava lentamente scomparendo. Quando si fu calmato a sufficienza gli mollai Valentino – quel birbantello mi aveva strappato abbastanza capelli – e lo invitai a sedersi accanto a me sul muretto. Stava ansimando: la scottatura poteva anche essere scomparsa, ma doveva fare ancora parecchio male.

— Suppongo che questa sia una prova piuttosto convincente — bisbigliò dunque, gli occhi bassi per l'imbarazzo.

— L'argento è un buon ripiego, se non è bastato il plenilunio — convenni. — Capiscimi, Mattia: non posso permettere che tu metta a rischio la tua vita e la vita di chiunque lasciandoti all'oscuro di tutto. Devi sapere, con le buone o con le cattive.

— Ora come ora, preferisco le prime — sussurrò lui stringendo una manina del nipote, che dava segni di stanchezza.

Annuii comprensiva. — Certamente.

— Non dovrò dire niente a nessuno, vero?

— Sarebbe meglio di no — concordai. — Concedi il tempo di metabolizzare innanzitutto a te stesso, poi se vorrai... chiuderò un occhio, ecco.

Mattia alzò la testa di scatto. — Chi sei tu, un agente dei servizi segreti? Perché dovrebbe interessarti se rivelerò tutto alla mia famiglia o no? Tanto ci andrei a perdere io — mugugnò amaramente.

— Obblighi professionali — sintetizzai. — Ti spiego ogni cosa, Mattia, ogni cosa, non preoccuparti, ma per favore non mi interrompere se non è davvero importante. Okay?

Mattia mi diede il via libera con un sospiro. — Vai.

Mi rigirai il pugnale tra le dita mentre iniziavo a parlare: — Non mentivo, riguardo a mio nonno. È anche lui un lupo mannaro, sebbene la sua storia non sia delle più ortodosse. Questo — accennai al pugnale, — me l'ha regalato lui. Sembra strano, ma è così: un lupo mannaro mi ha regalato un'arma d'argento.

— Ti prego, non dirmi che l'ha fatto per chiederti di ucciderlo — fece Mattia con un'intonazione a metà tra il sarcastico e il timoroso.

— No, tranquillo — lo rassicurai sorridendo appena. — Onestamente non so perché l'abbia fatto, ma gli sono molto grata. Oltre ad essere d'argento è benedetto...

— Vampiri — intuì immediatamente Mattia. — Andiamo bene...

Mi trattenni dal ridere. — Sì, vampiri. Inoltre attorno all'elsa c'è un anello di ferro. E a cosa serve il ferro?

— A fare la ruggine?

— Serve contro le fate — lo corressi sbuffando. — E quelli che a te sembrano disegni sono in realtà rune.

— E le rune sono per i troll — annunciò Mattia, con l'aria di chi ha appena avuto l'illuminazione del secolo.

— Non per i troll, ma per qualcosa che ci assomiglia — specificai. — Vedi, la Bibbia ha ragione a proposito di Salomone — la buttai lì, per metterla su un piano che lui conosceva.

Lui mi fissava con un sorriso saputo. — Lorianne, ai demoni ci credo — dichiarò, spiazzandomi. — Lo stesso Gesù ne esorcizza parecchi nel Vangelo. La differenza sta nel fatto che Salomone è Antico Testamento, dove quarant'anni non sta a significare effettivamente quarant'anni e certo noi non siamo nati da Adamo ed Eva; Gesù invece è Nuovo Testamento, ed è quella la base della mia fede. E poi a questo punto sono pronto a credere a tutto — mormorò.

— E bravo Mattia, un passo l'abbiamo fatto. — Gli allungai una pacca sulla spalla. — Pertanto, se ti dico Nephilim...

— Ti rispondo che i Nephilim erano figli di uomini e angeli e hanno governato la Terra per generazioni, ma loro erano giganti e tu sei bassa.

Rimasi di sasso. — Non ho affermato di essere una di loro.

— L'hai affermato adesso. — Mattia gongolava come un cagnolino accarezzato dietro le orecchie. — Perciò siete veramente giganti e tu sei uscita fuori razza o cosa?

— Non siamo giganti, ma io sono uscita fuori razza lo stesso — gli spiegai in breve. — La storia della nostra creazione è una bella favoletta: nel 1234 – tra un paio d'anni infatti festeggeremo otto secoli di lavoro tra le ombre per salvare il culo a voi mondani che nemmeno ci vedrete mai, ed è ovvio che la Bibbia si riferisca ad altri Nephilim, se sono davvero esistiti – l'angelo Raziel donò il suo sangue al primo di noi, tale Jonathan Shadowhunter, insieme ai tre Strumenti Mortali e bla bla bla. I miei genitori, e di conseguenza la sottoscritta, hanno anche il sangue di un altro angelo, Ithuriel, per ragioni troppo complicate da esporre. Per cui, Mattia, cos'ho io che gli altri Shadowhunters non hanno?

— Stando a L'ordine della fenice, la profezia nell'Ufficio Misteri — azzardò lui. — O il naso, dipende dalle interpretazioni.

— Fai il serio.

— Ma sono serio. — Si finse offeso. — La profezia. Leggi il futuro, no?

— Non lo leggo, lo vedo — chiarii. — Complimenti, Mattia, intuito formidabile. Ne avrai molto bisogno, in futuro.

Futuro — sussurrò. — Cosa dovrò fare, in futuro?

— In un futuro prossimo o in un futuro remoto? 

Non è bello il tuo futuro, Mattia.

— Entrambi.

— Francamente non lo so — confessai a cuore aperto. — Per ora limitati a scendere a patti con la consapevolezza di essere un lupo mannaro, poi il resto con un po' di fortuna verrà da sé. Goditi l'ultima settimana di scuola e la festa di sant'Erasmo, ma non appena sarai libero dalla maggior parte degli impegni dovrai cercarti un branco, non puoi restare da solo. Non siamo noi Shadowhunters ad occuparci di queste cose solitamente, ma ti daremo tutto l'aiuto possibile, fidati.

Daremo. I tuoi cugini? — Non era precisamente una domanda.

— I miei cugini — gli confermai. — Tranne Chrysta, lei è una Stregona.

Mattia abbassò la testa e rimase a guardare il nipote, ormai addormentatosi, per quello che parve un tempo interminabile. Io invece riposi finalmente il pugnale al sicuro nella tasca della giacca, dopo averlo tenuto in mano senza un apparente motivo fino ad allora.

Sobbalzai quando Mattia decise di provare a conversare, spezzando quell'innaturale silenzio: — Hai presente il bis-bisnonno Carlo?

Neanche quella era una domanda, ma Mattia sembrava in attesa. Gli risposi di sì.

— La nonna mi ha raccontato che un giorno, mentre rammendava la sua rete seduto sul molo di fronte al campanile, fu disturbato da un ragazzo straniero. Il tipo era vestito in modo austero, con giacca e pantaloni dal taglio sartoriale, ma aveva i capelli in disordine, sabbia dappertutto e la manica sinistra alzata. Sul braccio c'erano degli strani simboli neri, come impressi a fuoco. Come i tuoi.

— Uno Shadowhunter — intuii.

Mattia annuì. — Sì, suppongo. Carlo probabilmente pensò fosse un pirata, cose così. Comunicava abbastanza bene in italiano, senza accento. — Mi scoccò un'occhiata di sbieco. — Come te.

— Abbiamo una runa apposita – sì, questi tatuaggi sono rune, come quelle sul pugnale — gli spiegai. — Altre Lingue. È utile anche per i linguaggi demoniaci.

Lui rise brevemente. — Perché, i demoni parlano?

— Insultano, più che altro, ma dipende sempre dal tipo di demone con cui hai a che fare.

Mattia si mordicchiò un labbro. — Lo incontrerò mai un demone, Lorianne?

— Può darsi — asserii. — A volte i mannari si uniscono a noi nella lotta contro il male. In effetti, tra tutti i potenziali compagni di battaglia voi lupi siete i più fidati. Oltretutto anche voi siete per metà demoni.

— L'infezione di cui parlavi prima, giusto?

— Giustissimo.

— Wow, ne sto azzeccando una dopo un'altra. Sono un mostro.

Scoppiai a ridere e gli tirai una gomitata scherzosa. — Visto? Non era difficile.

Mattia scosse la testa freneticamente. — Adesso non è difficile, ma questione di un'ora massimo e riprenderò a credere di essere pazzo, sicuro al cento percento.

Ridacchiai. — Puoi sempre chiedere a Valentino di testimoniare il contrario.

— Se devo affidare la mia sanità mentale alla memoria di un bimbo di tre mesi... — gemette lui. — Tra l'altro ha dormito per tutto il pezzo clue, comunque non potrei farlo.

— Affidala a me, allora — gli proposi, ardita.

— Sì, a una che se ne va in giro con un pugnale d'argento benedetto e... runizzato in tasca!

Gli feci l'occhiolino. — Almeno sei certo di avere la schiena coperta.

Mattia sbuffò. — Non ho proprio nessun'altra opzione, eh?

— Perché, ti sto antipatica?!

— No, ma mi fai una paura fottuta — svelò lui con riluttanza. — Non che i tuoi cugini siano meno terrificanti, ora che penso a loro come... Shadowhunters, hai detto?

— Shadowhunters, esatto. — Mi alzai in piedi respirando a fondo, e Mattia mi seguì a distanza di qualche secondo. Gli tesi la mano. — Buona fortuna, Mattia.

Lui me la strinse. La sua tremava un po'. — Buona fortuna anche a te, Lorianne, col tuo tentativo di portarmi sulla retta via. E la Madonna ci accompagni.

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Sto esultando peggio di quando mi arriva la notifica di un commento. Questo capitolo è stato molto più semplice di quello che mi aspettavo, anche se ha comunque richiesto un impegno non indifferente, e finalmente la storia entra nel vivo, alleluia alleluia.


Bene, mi raccomando, non lesinate su voti e commenti (vi prego, se non votate non me ne può fregare di meno, ma un commentino ino ino – anche un commentone one one – che cosa vi costa? Per favore, non ce la faccio più a tirarveli fuori con le pinze) e fate contenta questa povera scrittrice che puntualmente assillate per sapere quando arriverà il prossimo capitolo.

À bientôt!

(P.S. Che ne pensate delle nuove copertine per la trilogia? A me piacciono troppo *w*)

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