Errori dello spirito
Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.
[Giordano Bruno]
Mistici e maghi del Tibet era un libraccio dalle pagine ingiallite e segnate da decine di orecchie alle estremità. Molte di esse, tra cui quella che avevo in mano, erano strappate o penzolavano dalla rilegatura appese ad un unico lembo di carta sfilacciata.
Zio Magnus lo trovò grazie ad un incantesimo di localizzazione dietro ad una collana di classici dell'avventura, nella sezione sbagliata della biblioteca e messo di traverso sulla mensola. Perché fosse in quelle condizioni era inspiegabile, data la forse eccessiva severità con cui Lee, il responsabile della biblioteca, gestiva le entrate e le uscite dei libri, ma demmo la colpa al destino e non ci pensammo più di tanto. In fondo, era ancora leggibile e quello era l'importante.
Prendemmo posto ad uno dei tavoli. Zio aprì il libro e cominciò a leggere ad alta voce.
La David-Néel descriveva il suo viaggio verso Lhasa, la capitale del Tibet, i suoi incontri con la gente del posto e soprattutto ciò che aveva imparato dai monaci buddhisti. Mi colpì in particolare il suo racconto riguardo la pratica del Tummò, un esercizio di Hatha Yoga grazie al quale Alexandra fu in grado di sedersi nuda nelle nevi dell'Himalaya senza alcun problema.
— Be', potrei farlo anch'io — commentò zio Magnus. — Ho i miei metodi. Ma non è ciò che ci interessa.
Schioccò pigramente le dita. La pagina che avevo poggiato sul tavolo si alzò in volo e si riattaccò al libro, dopodiché un foglietto di carta sul quale qualcuno aveva scribacchiato qualcosa scivolò fra le mani di zio Magnus. — Mmm... interessante. Questo non era previsto.
Mi sporsi verso di lui. — Cosa c'è scritto? — gli domandai, curiosa.
Zio abbassò gli occhi sul foglio. Osservai la sua espressione cambiare da sorpresa a rassegnata. — C'è scritto eggregora.
— Traduzione?
— L'eggregora è un'entità incorporea creata attraverso speciali tecniche di meditazione. In questo caso, si tratta di un tulpa. Il simbolo che hai disegnato — rialzò lo sguardo, — è il simbolo del tulpa. Avrei dovuto capirlo prima, ma non vado in Oriente da molti anni, ormai. Mi sono... occidentalizzato.
— Fermo restando che non ho la minima idea di cosa sia un tulpa — replicai, — Alexandra David-Néel parlava di uno di questi?
— Esattamente. E noi siamo entrati a contatto con un tulpa al Plunge, ieri. Dio, che ignobile... Sta fingendo, fingendo tutto... — sussurrò scuotendo il capo. — Nulla è reale.
— Non capisco — ribattei. — Cosa vai blaterando, zio? Cosa non è reale?
— La madre di Chrysta. E forse Camille. No, Camille non potrebbe essere... no, lei no.
A quel punto pensai che su Mistici e maghi del Tibet dovesse esserci un qualche tipo di maledizione o una droga invisibile, perché zio era andato completamente fuori di testa. Balbettava, farfugliava frasi senza senso e continuava a ripetere "È un'illusione".
Decisi di reagire. L'unico metodo possibile per far riprendere zio era una ricalibrazione cognitiva. In altre parole, una bella botta sul cranio.
Gli assestai una gomitata all'altezza delle prime vertebre cervicali. Purtroppo per me avevo mirato fin troppo bene, così mi beccai una fitta lungo tutto il braccio che mi lasciò le dita formicolanti e un dolore pulsante all'altezza del nervo radiale. Imprecai e zio mi imitò: — Ahia! Lorianne, si può sapere cosa diavolo ti è passato per l'anticamera del cervello?
Strinsi i denti e mi tenni il gomito martellante con l'altra mano. — No, cosa diavolo è passato nella tua, di anticamera! Mi illumini, per favore?
— Okay, okay, dammi un secondo. — Si passò le mani fra i capelli e prese un respiro profondo prima di cominciare: — Tulpa in tibetano significa "costruire, creare". Chiunque è in grado di realizzarne uno, ma necessita di una grande concentrazione e di singolari tecniche meditative che possono essere apprese solo con l'aiuto dei grandi lama tantrici. Oltretutto non si può fare in poco tempo: la David-Néel infatti dice di aver impiegato dei mesi per formare il suo monaco fantasma.
— Continuo a non capire — brontolai, confusa. — Perché hai nominato Camille e cosa c'entra un tulpa in tutta questa storia?
Zio mi fissò con i suoi occhi da gatto. — Riflettici, Lorianne: dove potrebbe essere la madre di Chrysta ora che è libera?
— Non so... in un appartamento di Camille, magari.
— Giustamente. Ma se in quell'appartamento ci fosse qualcosa che simula di essere lei? Se la vera lei fosse ancora in manicomio?
Mi lasciai ricadere sulla sedia a peso morto. Avevo la bocca spalancata per la sorpresa. — E così Camille avrebbe creato un tulpa per mettere in scena questa farsa?
— Già — confermò zio arricciando le labbra in una smorfia. — A quanto pare al Plunge ieri c'era anche il tulpa. Probabilmente, se la situazione avesse avuto un esito diverso, Chrysta avrebbe potuto persino parlargli. O parlarle... insomma, hai capito. È impressionante quanto sia simile ad un umano, quando è fatto come si deve.
— Ergo, morale della favola?
— Morale della favola... — Zio si alzò in piedi. — Diciamo tutto a tutti e convochiamo Camille.
~ • ~
Chrysta entrò a passi larghi e veloci. La folta chioma era legata in una coda alta e indosso non aveva che una salopette di jeans larga e una maglietta di cotone leggero, ma stava sudando. Non avrebbe dovuto mostrarsi così: la vampira avrebbe sentito il suo odore ancor prima di percepire la paura che le sfrecciava silenziosa sotto la pelle. Dietro di lei, richiusi la pesante porta del Santuario.
— Qui si tratta di una donna, e tra donne parleremo. Buonasera, Camille.
— Buonasera, ragazze. — Ci salutò educatamente con un cenno della mano, sfoggiando un ampio sorriso da Stregatto che le arrivava da orecchio a orecchio. Quel sorriso però nascondeva qualcos'altro. Sorpresa, forse. — Ma certo, accomodatevi.
Zio Magnus aveva fatto in modo che nel Santuario venissero portati un modesto divano, due piccole poltrone e un tavolino. Camille era seduta – forse sarebbe meglio dire sdraiata – sul divano, le gambe molto deliberatamente poggiate sui cuscini. I tacchi alti scavavano due buchetti nel bracciolo.
Chrysta prese posto sulla poltrona più lontana da lei; io invece preferii tenermela vicina.
— Chrysta, quale piacere! — esclamò Camille, gli occhi verde smeraldo puntati nei suoi.
Non aveva sbagliato il suo nome, stavolta. Voleva accattivarsela.
— Non posso dire altrettanto — replicò lei, sostenendo a fatica il peso dello sguardo indagatore della vampira. — Vedi, hai quasi ucciso mio padre.
Camille assunse un'espressione affranta. — Oh, no, tesoro, io non ho fatto nulla. L'ho trattenuto, certo, ma è stato lui a dare quella svolta alla situazione. A tal proposito, credevo che sarebbe venuto lui.
Sembrava... delusa.
Ripensai al giorno precedente e a come mi era apparsa al Plunge: un'impavida leonessa prima e una gattina spaventata poi, quando il vero motivo della conversazione era finalmente venuto a galla.
Asmodeo la terrorizzava, era evidente. Era immersa fino al collo in una questione in cui non avrebbe mai messo le mani, e come se non bastasse si trovava dalla parte del burattino. Tuttavia cercava di restare imperturbabile, con il completo controllo sulle sue azioni, immune a qualsiasi provocazione.
La ammiravo per questo.
— Lo ripeto, Camille: parleremo tra donne — ribatté Chris, ora più spavalda. — Qualunque cosa tu voglia dire a lui puoi tranquillamente dirla a me. A conti fatti, in fondo il bersaglio sono io, no? Inoltre, mi pare che la tua lettera dimostrasse un certo interesse nei miei riguardi. È un puramente personale o ha un secondo fine?
Qualcosa guizzò nelle pupille di Camille, una vampa sfolgorante che si spense in un attimo. — Ti sbagli, Chrysta. Il bersaglio è Magnus. Tu sei soltanto un tramite innocente, e non sai quanto mi addolori. Come ho già detto a tuo padre, non sarei mai artefice di una cosa del genere nei suoi confronti, mai. Chi ha architettato tutto è Asmodeo. E come te, io sono un tramite.
Sorrise mestamente. — Sono sinceramente dispiaciuta. Tu non hai alcuna colpa. Sei giovane, troppo giovane per averne. Ma chissà, forse tra qualche secolo ti ritroverai al mio posto. Non è semplice evitare le colpe, quando hai l'eternità davanti.
— Be', io almeno ci proverei — tagliò corto Chrysta. — E ti sbagli anche tu, Camille. Non esiste un mondo in cui noi due siamo uguali, fosse pure per un unico aspetto. Io sono un tramite inconsapevole. Tu sei un tramite consapevole. E la sola consapevolezza di quanto sia ignobile ciò che stai facendo basta per renderti l'artefice.
Camille abbassò lo sguardo sulle sue mani intrecciate. — Sei libera di non credermi, Chrysta. Dopotutto, non ne hai motivo.
— Ovvio che non ne ho motivo — ringhiò Chris. Dai pugni serrati cominciò a filtrare del fumo viola. Le lanciai un'occhiata ammonitrice, ma lei la ignorò. — Finora non hai fatto altro che mentire, mentire e mentire. Mia madre non è uscita dal manicomio, vero? È tutta una grossa farsa.
La fulminai con gli occhi, e la forza del mio sguardo fu sufficiente per farla voltare verso di me. Avevamo convenuto di non accennare a ciò che avevamo ipotizzato prima che Camille si fosse dimostrata un po' più aperta; anzi, sarebbe stato meglio se fosse stata lei ad alludere al tulpa. Ma ormai, quel che era fatto era fatto.
La vampira s'irrigidì e rialzò la testa. Rifletté in silenzio, stringendo le labbra come se volesse impedire alle parole di uscire, ma infine riconobbe che non aveva senso stare zitta. — Quanto sapete esattamente?
— Sappiamo che Asmodeo ti ha costretta a creare un tulpa — intervenni, mentre Chrysta sbuffava di disapprovazione. — E relativi annessi e connessi, compreso, ovviamente, che la lettera dell'orfanotrofio è un eccezionale falso.
Camille appoggiò il mento al dorso della mano. — Be', complimenti. Addirittura, arrivare a scoprire che è un tulpa... ammirevole.
Chrysta mise su un ghigno sfacciato. — Ti ringrazio. Abbiamo avuto... gli strumenti adatti.
— Non ne dubitavo. Tuo padre sa sempre, sempre, come tirarsi fuori dai guai. E, insomma, ve l'ho fatta facile. Come vanno i lividi?
— Bene, grazie — rispose Chris in tono sfrontato. — E ora che lo hai ammesso...
Si alzò in piedi. — Possiamo considerare conclusa la conversazione. Papà provvederà a proteggerti e ad aiutarti a far sparire il tulpa. Quanto a me, mi rivedrai all'inferno.
Camille rimase dov'era, fissando Chrysta da sotto in su. — Oh no, ti prego, spiegami quali sono questi... strumenti adatti. Sono davvero curiosa.
Stavano per cascarmi le braccia. — Per una buona volta, Camille, fatti una forchettata di cavoli tuoi! — sbottai esasperata.
— Esattamente ciò che intendevo. Strumenti adatti. — La donna si passò la lingua sulle labbra e spostò lo sguardo da Chrysta a me. — Tu sei Lorianne Herondale, vero? La Chiaroveggente. Tutto il Sottomondo sa di te, non dovresti esserne sorpresa.
Trattenni il fiato. Odiavo quando qualcuno diceva quella frase. Odiavo che l'intero Mondo Invisibile conoscesse il mio nome e la mia reputazione. Odiavo la mia fama.
— Così dicono — mi limitai a ribattere, troppo stufa per aggiungere altro.
Camille non aveva intenzione di demordere. — Sei come... santo cielo, dovrebbe essere tuo zio, se non cado in errore. Il Diurno, volevo dire. Sei... qualcosa che non dovrebbe esistere.
Ai margini del mio campo visivo apparve del fumo viola. Stavolta non fermai Chrysta.
— Chiariamoci: alcuni potrebbero considerarti un abominio, una condannata alla gogna, ma non io. Io ti reputo... intrigante. Speciale. E assaggerei molto volentieri il tuo sangue.
In un attimo le fui a un centimetro dal naso. — Prova a ripeterlo — sibilai, — e l'unico sangue che assaggerai sarà il tuo.
Camille mi sorrise, e i canini scattarono come molle. — Ormai le minacce di morte mi scivolano addosso come acqua.
— Non se a minacciarti di morte sono io.
La porta del Santuario sbatté alle spalle di zio Magnus, che si fiondò a separare me dalla vampira.
— È ora che tu te ne vada, Camille — disse senza guardarla. — Torna qui domani al tramonto. Manterrò la mia promessa e terrò Asmodeo lontano da te. Va'.
Era incredibile l'effetto che zio Magnus riuscisse ad avere su di lei. — Bene. — Balzò in piedi e fissò Chrysta dritta negli occhi. — Per quanto possa valere, mi dispiace.
Le tese la mano.
Chrysta gliela strinse dopo un impercettibile – ma non per me – attimo di esitazione. — Per quanto possa valere, dispiace anche a me.
~ • ~
Cestinai il disegno del simbolo del tulpa con un sospiro di liberazione. Quel capitolo era finalmente quasi chiuso: adesso spettava a zio Magnus e Camille, nei mesi successivi, archiviarlo e buttarlo nel dimenticatoio.
Mi rigirai per l'ennesima volta, tornando a stendermi supina. L'antidolorifico consigliatomi da Cameron avrebbe fatto effetto – se avesse funzionato – nel giro di dieci minuti al massimo, ma ogni secondo che passava mi sembrava un'eternità. Era una sorta di scherzo del destino: il mio ciclo durava sì quattro mesi, però quando arrivava si faceva sentire. E anche parecchio.
Sullo schermo del tablet comparve la bolla di un messaggio. Aprendo la casella mi resi conto che questo risaliva a un paio d'ore prima, e l'applicazione mi stava avvisando perché lo leggessi. Era di zia Isabelle: Lori, S o XS?
Non avrebbe avuto senso rispondere, così mi limitai a cliccarci sopra per dare la visualizzazione e zittire l'orribile trillo della notifica. Oltretutto, rivelare la mia taglia a zia Isabelle avrebbe potuto portare risultati disastrosi.
Non immaginavo certo che quella fosse una domanda retorica.
Scesi di sotto in preda ai crampi per vedere se la palestra era libera e Sikh disponibile a mostrarmi qualche posizione di Yoga per alleviare i dolori mestruali. Trish me ne aveva parlato bene, così decisi di tentare. Sempre meglio che restare a contorcermi sul letto.
Arrivata in fondo alle scale, una mano mi strinse una spalla e mi trascinò per una buona decina di metri prima che potessi reagire. — Ahia! Logan, ma che combini?
— Ordini di mamma — si scusò lui, per poi riafferrarmi il polso e condurmi quasi di corsa fino al salotto.
Sulle prime pensai che zia Isabelle avesse cambiato l'arredamento della stanza in preda alla follia e con la consulenza stilistica di zio Magnus. Non vedevo altro che pizzi, piume, lustrini e tessuti lucidi che riflettevano la luce del lampadario. Jordan il cagnolino mise il naso in una nuvola di paillettes e starnutì, dopodiché zampettò verso di noi e guardò Logan con intenzione. Lui lo prese in braccio sbuffando. — Leone codardo — lo rimproverò. — Succederà di nuovo, sappilo.
— Cosa esattamente succederà di nuovo? — lo interrogai, in quel momento più che mai incline all'irritazione.
— Un attacco di shopping — spiegò lui. — I saldi sono per mamma una valida alternativa all'allenamento. E papà non può protestare, considerando che può fare i bicipiti con le borse piene di vestiti.
— E io cosa c'entro in tutto questo?
— C'entri eccome — ribatté Logan, — perché stavolta mamma non ha comprato solo per sé. Ha fatto scorta di magliette, pantaloncini e cose varie anche per te, per quando andremo in Italia. Noi ne abbiamo già abbastanza.
— Loriii! — Zia Isabelle spuntò da dietro una poltrona con degli shorts oscenamente corti in mano e mandò via Logan. — Provateli, dovrebbero entrarti. E se non ti vanno dalli a Chrysta, tanto avete la stessa taglia.
— Se non sbaglio me l'avevi chiesta, la taglia — borbottai mentre mi sfilavo i leggings.
— Nah, so che in realtà porti la M. — Zia tirò fuori da una busta una camicia bianca a maniche corte e me la passò. — Provati anche questa. E questa. E questa. Ah, e ovviamente quest'altra.
Continuò a piazzarmi tra le braccia capi su capi per più di mezz'ora. Quasi tutti mi calzavano a pennello, e feci buon viso a cattivo gioco per non far dispiacere zia Iz, ma alla fine decisi che ne avrei concretamente indossato solo un terzo. A meno che in Italia non facessero quaranta gradi all'ombra non avrei girato per Gaeta con così tanta pelle scoperta.
Dopo aver aiutato zia a sistemare i suoi acquisti raggiunsi la palestra, dove Sikh era in procinto di cominciare una lezione di TRX.
Gli elastici occupati erano una dozzina, quelli liberi tre, di cui uno per Sikh. Se solo ne avessi avuto voglia sarei andata a cercare zio Magnus e Chrysta in qualsiasi luogo avessero potuto nascondersi per poi costringerli ad appendersi al TRX e lavorare come mai avevano fatto prima. Ero davvero curiosa di sapere come facessero entrambi a mantenersi in perfetta forma, e altrettanto curiosa di vederli sudare e implorare misericordia, per una volta.
Sikh era spietato. Avevo seguito parecchie sue lezioni all'Accademia – veniva spesso chiamato come istruttore ospite – e non si poteva certo definire caritatevole. Massacrava chiunque fino all'osso. Persino mio padre, quel giorno invitato in Accademia ufficialmente per tenere una conferenza sulla Guerra Oscura e ufficiosamente per deliziare gli animi delle fanciulle presenti comprese le professoresse e lo stesso Rettore, aveva finito per cedere di fronte all'implacabilità dell'egiziano, che solo a prima vista pareva carino e coccoloso.
— Ehi, ciao! — mi salutò mentre controllava la lunghezza di un elastico. — Vuoi unirti a noi?
— Nemmeno per sogno — negai all'istante. — Un'ora di allenamento in stile Navy Seals è l'ultima cosa che mi serve in questo momento. Non posso proprio.
— Problemi femminili?
— Esattamente.
Sikh mise su una smorfia dispiaciuta. — Sei capitata male, non posso disdire la lezione. Puoi aspettare finché non termino, oppure vengo a chiamarti io quando ho finito.
— No, aspetto qui — risposi, segretamente entusiasta all'idea di guardare gli altri soffrire standomene seduta e tranquilla. — Posso aiutarti con qualcosa?
Lui scrollò le spalle. — Per ora no, ma se avrà bisogno di una mano non esiterò a chiedertelo. Forza, al TRX!
Chi sbuffando e chi pregando a mezza bocca, gli allievi di Sikh presero il loro posto.
— Pronti, ragazzi? — esordì lui scrutandoli attentamente uno ad uno. — Spero di sì, perché oggi vi ammazzo.
— Ma no, non ammazzerai nessuno. — Zio Simon entrò trionfalmente in palestra sventolando il pugno chiuso. — Stavi per iniziare senza musica, Sikh, sono sorpreso.
Sikh afferrò la memory card che zio gli stava porgendo. — Sarei venuto a prenderla se non l'avessi portata tu. E adesso muoviti, non vorrai sprecare quest'occasione.
— Ah no! — Zio fece per andarsene, ma Sikh lo trattenne per un braccio. — Okay, okay, hai vinto.
— Si mette male — sussurrò un tizio all'orecchio di un altro. — Di solito con Simon è clemente. Se è così anche con lui significa che è veramente intenzionato ad ucciderci.
— Silenzio! — ruggì Sikh, infilando la memory card in uno slot dell'impianto stereo in un angolo. La playlist si aprì con un trillo di campanelli, segno che era stato Logan a mixarla. — Lasciate gli elastici, per adesso. Sciogliete spalle, gomiti, polsi, ginocchia e anche. Se li sentite scrocchiare non spaventatevi, è naturalissimo. Qualcuno mi sa dire a cosa serve?
Perfetto, oltre alla pratica pure la teoria.
— Ad aumentare l'afflusso del liquido sinoviale nelle articolazioni — rispose gongolando quel sapientino di Lee. Era strano vederlo fuori dalla biblioteca: faceva l'effetto di un topo ad una convention di gatti. — Il crac è provocato dallo scoppio delle bolle d'aria che si formano nel liquido.
— Se credi che seppur interessante quest'informazione extra ti salvi dall'essere trucidato ti sbagli di grosso. Bravo, comunque — commentò Sikh annuendo in segno di approvazione.
— Almeno qualcuno mi sta ad ascoltare — aggiunse poi guardando storto due piccoli Shadowhunters che impallidirono all'istante. — Prendo il TRX! — urlò infine, e da lì ebbe inizio lo sterminio.
Dopo il quarto d'ora di riscaldamento di rito, durante il quale Sikh intelligentemente li fece restare abbastanza in verticale e non azzardare movimenti troppo ampi o faticosi, gridò: — Squat! Trenta, ventinove, ventotto, ventisette, DAI!
Ora, lo squat al TRX è facile, se si ha l'appoggio su entrambe le gambe. Ma alla fine delle trenta ripetizioni Sikh passò agli squat su una gamba sola, e quelli sono tremendi. Necessitano di un equilibrio pazzesco, cosa un po' complicata per chi non è molto ferrato nella core stability.
Non prestai molta attenzione al resto della lezione, poiché Sikh si ricordò di alcune lame che dovevano essere affilate e mi passò il compito. Notai però che faceva spesso lavorare sulle punte con gli elastici al contrario; inoltre diede molta importanza anche alle gambe e, ovviamente, al famigerato plank.
Concluso l'allenamento, Sikh mi pregò di attendere ancora una decina di minuti mentre lui si faceva una doccia veloce. Ammazzai il tempo ferma nella posizione della farfalla, che alleviava il fastidio che l'antidolorifico non era riuscito ad eliminare.
Appena uscì dal bagno Sikh riprese le vesti di istruttore: — Qual è l'importante secondo te in queste situazioni? A cosa dobbiamo puntare?
— Mmm... a non contrarre e irrigidire ma distendere e allungare?
— Giusto — confermò. — E ora... il cammello.
Quella posizione del cammello non aveva nulla, ma era comunque molto confortevole. Sentii la pressione sul basso ventre diminuire sempre di più, fin quasi a scomparire. Dopo, Sikh mi mostrò l'arco e il bambino. In sottofondo, una musica piacevolissima che mi rendeva semplice liberare la mente.
— Che tipo di Yoga è questo? — gli domandai, improvvisamente ripensando agli scritti della David-Néel nei quali si accennava all'Hatha Yoga.
— Kundalini — mi rispose spingendomi le spalle all'indietro per correggermi. — Devo aggiornarmi, però, perché a quanto pare è il Silvanada la disciplina apposita.
— Lo sai che non ci sto capendo niente, vero?
Sikh rise. — Lo so, lo so.
~ • ~
Se non fosse stato per quel dannato lupo avrei passato una notte meravigliosa. Lo Yoga mi aveva completamente rilassata, ed ero subito sprofondata nel sonno. Ma nemmeno lo Yoga poteva molto contro l'ostinazione del licantropo a comparire costantemente nei miei sogni.
Eravamo ad Alicante. Contro la schiena sentivo qualcosa di duro e freddo; voltandomi, scoprii che era una delle torri antidemoni. Strano: l'adamas mi faceva un brutto effetto, sia a livello fisico che psichico, e il fatto che potessi toccarlo e già solo stargli vicino senza conseguenze era alquanto bizzarro. Oltretutto, le torri mandavano un bagliore azzurro. Azzurro, come in tempo di Accordi.
Il mannaro colpì la torre col muso, poi si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a graffiare l'adamas con quelle anteriori. Sotto i colpi dei suoi artigli venne fuori un disegno. Uno stemma, formato da tre gigli su sfondo blu che sovrastavano un motivo di strisce rosse e bianche.
D'un tratto il lupo diede un'altra zampata, facendo scomparire tutto lo stemma salvo uno dei gigli. Mi guardò, soppesandomi con quei suoi occhi tanto animali quanto umani. Infine scappò via, proprio mentre una spada trafiggeva la torre penetrando fino all'elsa. La lama tagliò perfettamente il giglio a metà.
Trattenni il fiato.
Conoscevo bene quell'immagine.
Una spada -– per la precisione, una claymore vichinga -– che infilzava un giglio era lo stemma della famiglia Argentsang.
La famiglia di Jean.
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Ave *agita la manina*
Devo dire che alla fine questo capitolo non è uscito una schifezza come pensavo. Anzi, è discretamente buono. Finalmente chiudiamo la sequenza newyorkese e, dal prossimo, iniziamo la parte italiana che, ve lo assicuro, sarà molto ma molto succosa.
E, udite udite, Seeing the Future non sarà l'ultima storia ambientata nel "mio" Mondo Invisibile. Concluderà certo la saga Past, Present and Future, ma lascerà molte questioni in sospeso nonché una bella ship che meriteranno di essere approfondite in una nuova trilogia. Riavremo come protagonista Lorianne e, sentite un po', il lupo che ora le sta rompendo le scatole. Inoltre come personaggi secondari – oddio, non proprio, diciamo che la loro condizione è quella di Maia in TMI – avremo il già citato precedentemente Daniel Cartwright, qualche new entry e un paio di nostre prossime conoscenze.
Bene, non credo di aver altro da dire se non ringraziare Francesca Paduano per la frase iniziale.
VOTATE e COMMENTATE, mi raccomando!
Alla prossima, bye bye!
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