Anna
A mia nonna, seconda mamma e maestra di vita.
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età,
aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza,
era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.
Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno
con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio
e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
[Luca 2, 36-38]
— OSSIGNORE! Ma tu assommi sempre?!
E menomale che l'avevo avvertito. — Faccio cosa?
— Assommi. Compari così, dal nulla, puf!
— No, non assommo — replicai. — Sono solo molto silenziosa, e tra l'altro avresti dovuto sentirmi con il tuo nuovo udito da licantropo.
Mattia gemette lamentosamente. — Il mio nuovo udito da licantropo ha un difetto di fabbrica: funziona come gli pare a lui.
A quanto pareva, il signorino aveva la tendenza a precipitare nel dialetto quando era nervoso. — Impiegherai del tempo per abituarti a queste capacità, così come ti ci vorrà un po' per essere completamente padrone della trasformazione — gli spiegai, — ma un giorno sarai capace anche di resistere alla luna piena, se avrai acquisito abbastanza controllo.
— Controllo?! Cos'è, si mangia?
— Smettila di fare il cretino, per favore — lo redarguii secca. — Sei in territorio nemico e hai bisogno di tutta la tua lucidità.
Mattia socchiuse gli occhi per ripararsi dal sole. Stando a quel che mi aveva detto, il giorno della festa di Sant'Erasmo era successo qualcosa che l'aveva fatto infuriare a tal punto da frantumare le lenti degli occhiali che stringeva in mano. Sospettavo fossero implicati l'ex fidanzata e l'ex migliore amico di cui mi aveva parlato all'Eneas.
— Non ci credo che i vampiri si siano veramente stabiliti qui.
Lo scheletro dei vecchi cantieri navali Italcraft si stagliava davanti a noi. L'insegna rossa era a malapena visibile sui muri scoloriti e scrostati dalla salsedine; la ruggine ricopriva ormai tutto il ferro presente nella struttura, disegnando chiazze rosse sull'intera superficie dell'edificio.
Tra un buco nell'intonaco di qua e un cornicione pericolante di là, l'unica nota stonata di quella straziante immagine di abbandono erano le finestre: tutte chiuse, intatte e coperte da pesanti drappi neri.
Mattia me le indicò con un cenno del mento. — Mi hanno sempre detto che il nero ai vetri stava a simboleggiare il fallimento e la rovina dei cantieri — sospirò. — Che desolazione, un'eccellenza italiana andata allo sfacelo...
— Non possiamo farci nulla, Mattia — tagliai corto, impaziente. — Su, veloce: più sale il sole, meno possibilità abbiamo di trovare qualcuno sveglio.
Mattia fece un verso ammirato quando sbloccai il cancello cigolante con una runa. — ... Figata. La voglio anch'io una di queste cose.
— Impazziresti, con una di queste cose — brontolai, facendo forza per spingere in avanti quell'ammasso di ferraglia. — Esistono delle rune valide per voi Nascosti, ma sono più che altro per occasioni particolari come i matrimoni, sebbene non sempre siano usate; di solito in quei casi si sceglie la cerimonia mondana. I miei nonni si sono sposati soltanto scambiandosi le fedi, per esempio.
— Capito. C'è qualcos'altro di importante che dovrei sapere?
Gli feci segno di seguirmi al di là dell'ingresso. — Dovresti sapere degli Accordi — riflettei, mentre scandagliavo con lo sguardo l'intero fabbricato alla ricerca di una possibile entrata. — Sono una serie di patti stipulati per la prima volta nel 1872 e rinnovati ogni quindici anni alla presenza di dieci rappresentanze del Mondo Invisibile per ogni razza. Per la cronaca, li stiamo violando in questo preciso istante.
Mattia si produsse in una risatina nervosa. — Che bello.
Gli scoccai un'occhiata sbieca sogghignando. — Te la stai facendo sotto, eh Mattia?
— Un tantino — fu costretto ad ammettere. — Non sono esattamente il tipo da operazioni sottobanco.
Mi fermai davanti alla porta d'ingresso. Su quella serratura arrugginita una runa sarebbe stata sprecata, perciò mi limitai ad aprirla con un calcio. — Non è sottobanco, è solo non autorizzata. E dato che è il capo di un Istituto a poter autorizzare cose del genere e un Istituto qui non c'è... possiamo dire che ho preso l'iniziativa. — Gli allungai una pacca amichevole su una spalla. — Tranquillo, Mattia, nessuno dei due ci rimetterà le penne.
— Parla per te — lo sentii sussurrare debolmente, prima che avanzasse per starmi dietro.
Il cambio di temperatura tra l'esterno e l'interno era considerevole, così come la repentina mancanza di illuminazione. Avevo dimenticato la stregaluce sul tavolo di Villa Orlando, quindi per ovviare al problema mi tracciai una runa di visione notturna e avvertii Mattia che le sue pupille si sarebbero abituate presto al buio. Lui non ne sembrava molto convinto, però, e procedeva con immensa cautela.
Cautela che imitai, tenendo il pugnale a portata di mano. Adesso che sapeva cosa potevano fare quei pochi grammi di argento, Mattia stava ben attento a tenersene alla larga.
L'ambiente era spoglio e umidiccio; tuttavia, niente faceva intendere che una volta lì ci fossero stati dei macchinari o degli uffici, nemmeno un singolo pezzo di mobilia o un mucchio di calcinacci. Tutto era incredibilmente pulito, per quanto possa essere pulito un posto del genere.
Tale situazione mi lasciò così sorpresa che faticai ad accorgermi della fila di vasi addossati al muro che costeggiava l'intero perimetro del piano. Bloccai Mattia e preferii andare a controllare da sola, realizzando cosa vi cresceva: aconito. Lo stesso fiorellino blu che Logan aveva avuto addosso più di una settimana prima.
— Ti senti bene, Mattia? — gli domandai, pur già conoscendo la risposta.
— Non eccessivamente — disse infatti lui. — Ma, su, credo sia normale, no?
— Lo è, sì — asserii indicandogli i fiori. — Strozzalupo.
— Oh. Ehm... okay. — Strinse le labbra in una strana smorfia. — Wow. Bel nome. Spero non ce l'abbiano con me in particolare.
— Suppongo ce l'abbiano con tutti i licantropi, purtroppo e fortunatamente per te. — Mi chinai per osservare meglio le coltivazioni. — Molti gambi sono recisi. Ci sarà strozzalupo sparso dappertutto.
— Esatto. E, in realtà, ne portiamo anche un po' in tasca.
Se a me venne quasi un infarto, non oso immaginare cosa possa aver provato Mattia quando un vampiro comparve all'improvviso ai piedi delle scale.
Per essere attivo a quell'ora della giornata, ipotizzai, doveva essere, se non il signore del clan – che conoscevo perché aveva gentilmente accompagnato a casa Logan tenendolo per un orecchio – quantomeno il suo secondo. Di certo la sua immagine rifletteva un alto grado sociale, ma a differenza di altri vampiri che avevo incontrato costui otteneva quell'effetto solo con un abbigliamento assai curato: sebbene si mostrasse rigido e autoritario, almeno a primo impatto, qualcosa nella sua postura suggeriva che quell'impostazione non era affatto naturale, bensì il frutto della pratica e dell'abitudine. Apparentemente era giovanissimo, forse giusto un paio d'anni più grande di me, e non doveva essere tanto lontano nel tempo neanche il giorno in cui aveva smesso di invecchiare. Fingeva di respirare; notai che Mattia ne era scioccato.
Fu proprio su Mattia che il vampiro concentrò la sua attenzione, comunque mantenendo le debite distanze. Io, per contro, mi ci avvicinai. — Lorianne Herondale, Shadowhunter fuori servizio. Non sono qui su ordine del Conclave.
Il Figlio della Notte spostò gli occhi da Mattia solo per rivolgermi uno sguardo contrariato. Dalla sua pronuncia traspariva un leggero accento anglofono. — Questo lo so. Cosa mai avremmo potuto fare di male standocene qui al fresco a bere sangue che sa di plastica? — Si rivolse a Mattia con un sospiro stanco. — Un'altra vittima, vedo.
— Aspetti un attimo — mi intromisi, sollevando le sopracciglia in un'espressione incredula. — Cosa intende con "un'altra"?
— Cosa potrei intendere? — ribatté lui, la lingua che schioccava sprezzante sul palato. — Non sono una fata, Herondale, non parlo per enigmi.
Incrociai le braccia sul petto, mentre un brutto pensiero iniziava a farsi strada nella mia mente. — Pertanto intende...
Quello annuì in silenzio.
— Raziel — imprecai sottovoce.
Intravidi Mattia prendersi la testa tra le mani. — Signori, per favore, potreste attenervi a una conversazione comprensibile anche ai non Mondoinvisibiliani? Grazie — gemette sonoramente.
Il vampiro si leccò le labbra pallide, poi scosse brevemente la testa e prese a salire su per le scale. — Silas Housley — fece, e lo interpretammo come un invito a seguirlo. Lasciai che Mattia mi precedesse per potermi guardare le spalle.
— Non sei la prima Nephilim che viene a farci visita, Herondale — proseguì Silas in tono divertito. — Né peraltro sei la prima Herondale che incontro.
— Immagino — ridacchiai. — Noi Herondale siamo pochi ma spuntiamo dappertutto.
Silas si arrestò davanti a una porta sul pianerottolo e ce la tenne aperta per farci accomodare in quello che sembrava un vecchio studio. Spontaneamente Mattia ed io puntammo il divanetto; all'altro restò la sedia girevole dietro la scrivania. — Esatto. Peccato non abbia avuto il piacere di avere a che fare con i membri più... illuminati della vostra famiglia.
Come a rimarcare le sue parole, accese il piccolo abat-jour nell'angolo. Solo ora potevo vederlo nei dettagli: biondo, pallidissimo e smunto, privo della tipica corporatura marmorea della sua specie. Non sembrava essere molto in forma.
Mattia lo fissava stranito, busto proteso in avanti e mani strettamente intrecciate. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua impresa fu stroncata sul nascere da un fiotto di sangue che gli cadde sul mento. Gli erano spuntate le zanne.
Silas si raddrizzò contro lo schienale della sedia, deglutendo. L'odore del sangue ormai impregnava la stanza. Per istinto, Mattia ringhiò. Quel suono mi fece impressione, a sentirlo provenire da lui.
Il vampiro ormai soffiava come un gatto. Il desiderio di affondare i canini nel collo di Mattia per poco non era visibile.
Balzai in piedi e mi frapposi tra i due, che da un momento all'altro si sarebbero saltati addosso spinti da forze maggiori della loro volontà. — Smettetela, tutti e due — intimai nel mio miglior tono autoritario. — Mattia, asciugati quel sangue. Datti uno schiaffo in faccia per far rientrare le zanne o un ceffone te lo tiro io. E tu calmati, Silas. Dopo potrai mordere me, se vorrai, anche se non so quanto ti converrà.
Mattia mi diede subito retta, mentre ci volle un po' più di tempo per far placare Silas. Quest'ultimo alla fine si produsse in un esagerato sbuffo di circostanza e si scusò per l'impulsività, incolpando qualcuno o qualcosa di cui non riuscii ad afferrare il nome.
Calò il silenzio per un po'. Mattia si leccava via meticolosamente il sangue dal labbro, una volta ripulitosi il mento con un fazzolettino. Potevo quasi toccare la tensione di Silas.
Fu lui a riprendere parola, quando fu certo che ogni traccia del liquido rosso fosse svanita: — Perciò volete informazioni sui licantropi.
Mattia teneva lo sguardo basso. — Mi pare di capire che non è una novità.
— No, non lo è — concordò Silas con un cenno del capo. — Sfortunatamente, non posso esservi d'aiuto. Sapete, anni fa un grande saggio ha detto: "Vai dalle fate per gli ultimi pettegolezzi sui vampiri e dai licantropi se vuoi pettegolezzi sulle fate, ma non spettegolare mai sui licantropi, perché quelli ti strappano la faccia a morsi."
Sorrisi. — Conosco questo grande saggio.
Un guizzo divertito della mascella tradì l'espressione seria di Silas. — Lo conoscevo anch'io, Magnus Bane. Ero con Lily Chen al Dumort, finché non arrivò Stephen Herondale e la uccise.
Mi lasciai cadere sul bracciolo del divano con un verso di sconforto. — Avevi ragione, non hai avuto l'onore di incontrare Herondale illuminati — dichiarai amaramente. — Così sei scappato?
Lui annuì. — Unica destinazione, Gaeta.
— Scelta casuale o motivata? — intervenne Mattia, sempre animato da spirito patriottico quando si trattava di proclamare tutti i pregi della sua città.
— Assai motivata. — Il vampiro pose l'accento su "assai". — Herondale aveva dei contatti, qui. Aveva saputo di Gaeta tramite una vecchia storia di famiglia, forse un antenato venuto a visitarla o cose del genere. Fatto sta che Stephen trovò pane per i suoi denti, e io trovai una scusa per potermi subito integrare nel clan.
— Hai finto di essere un suo messaggero — intuii, e lui me lo confermò. — Il trucco più vecchio del mondo.
— Sono vecchio anch'io.
Mattia tossì di proposito per attirare la nostra attenzione, poi raccolse tutto il suo coraggio e si rivolse direttamente a Silas: — Parlami di quell'antenato, per favore — mormorò titubante.
Colsi immediatamente il suo riferimento. Eravamo a quota due racconti della nonna rivelatisi reali, o quantomeno verosimili. — Tutte le storie sono vere, Mattia.
Lui emise un grave gemito sconsolato. — Questo l'avevo già inteso.
— Non so nulla di questa persona, mi dispiace. — Silas ci scrutava con un sopracciglio alzato. — E, sia ben chiaro, nonostante sappia più di quanto voglia sapere sull'argomento, non ho la benché minima intenzione di parlarvi dei mannari.
Mattia sprofondò nei cuscini sospirando. Con i capelli tutti arruffati sembrava molto più piccolo. — Ti ringrazio lo stesso.
Silas si concesse di sollevare appena gli angoli delle labbra. — Ti ringrazio io per non insistere.
— Sei determinato — ribatté Mattia, — e con la determinazione non si discute.
— Sicuro, Mattia? — gli domandai dubbiosa. Lui parve ritornare sui propri passi per un breve attimo, ma infine fece segno di sì con la testa e a quel punto cedetti anch'io. — Grazie per il tuo tempo, Silas.
Il vampiro finalmente sorrise da orecchio a orecchio. — Per le vostre gentili maniere vi farò un regalo.
Se possibile, allargò ancora quel sorriso enigmatico. — Santa Lucia. Cercate l'edificio con lo stemma dei Durazzo.
Mattia scoppiò un una gioiosa risata liberatoria. — Mia nonna è di Santa Lucia.
— Il tuo regalo sarà ricambiato. — Strinsi calorosamente la gelida mano di Silas e Mattia fece lo stesso. — Un'ultima cosa.
— Certo.
— I lupi mannari... — cominciai, non sapendo bene come continuare.
— Sono camorristi.
~ • ~
Non avevo mai fatto caso al colore di quel palazzo: quattro piani dipinti di un giallo ocra con una cornice bianca attorno alle aperture, infissi d'alluminio scuro e ringhiere di ferro nero. Ciò che lo rendeva particolare era la sua vicinanza al mare e al campanile: avrei scommesso oro che dalla terrazza come da qualsiasi finestra o balcone la vista fosse a dir poco spettacolare.
— È stato costruito nel dopoguerra — m'informò Mattia. — L'ascensore risale a una quindicina di anni fa, e già all'epoca era lento come una lumaca. Oltretutto per avviarlo ci vuole una chiave, che io non ho. Per cui, saliamo a piedi.
Per uno scherzo del destino sua nonna abitava all'ultimo piano. Arrivai di fronte alla porta della casa con la lingua penzoloni e le gambe gonfissime – caldo maledetto.
Mattia bussò tre volte. Ci aprì una signora sulla settantina che mi arrivava a stento alle spalle, dai capelli cortissimi castani e gli occhi dello stesso colore schermati da occhiali senza montatura. Spinse Mattia in casa dopo averlo salutato con un buffetto sulla guancia, poi mi sorrise e mi strinse la mano. — Sono Anna, molto piacere.
Buffo, metà del mio nome era uguale al suo. — Lorianne, piacere mio. — Ricambiai istintivamente il sorriso e la stretta, era troppo adorabile.
Mi fece entrare e mi condusse fino alla cucina, che in realtà equivaleva alla sala da pranzo. L'appartamento era minuscolo, con un solo bagno, un piccolo soggiorno e una camera da letto che affacciavano sul mare. C'era l'impianto di raffreddamento acceso, per fortuna.
Senza aspettare un invito mi feci cadere su una delle sedie attorno al tavolo. Mattia mi imitò subito, e anche Anna ci seguì dopo averci versato due bicchieri di succo di frutta ghiacciato. Per sé preferì l'acqua del rubinetto, a temperatura ambiente. — A cosa devo la visita? — esordì scrutandomi da dietro le lenti.
Mandai giù il succo il meno avidamente possibile per non sembrare maleducata, ma suppongo di non aver ottenuto ottimi risultati. Mattia non rispondeva, limitandosi a bere con un sorrisetto divertito stampato sul viso, così ci pensai io: — Principalmente motivi... logistici, ecco, ma Mattia riteneva che dovessi conoscerla.
Anna fece su e giù con le sopracciglia in direzione del nipote, che ricambiò ridacchiando. — Oh, dammi del tu Lorianne. E sì, Mattia non ha tutti i torti.
Allungò la mano verso il mobile alle sue spalle e tirò fuori da un cassetto un oggetto di forma quadrata. — Mattia sa anche cosa succede in questi casi. Lui dice che lo faccio per saggiare l'intelligenza del mio avversario, ma in realtà è solamente perché mi piace.
Capii cos'aveva in mano solo quando lo mise sul tavolo: una scacchiera. — Sono una campionessa a scacchi — commentai. — Gioco da quando avevo sette anni.
— Non sottovalutare nonna — mi avvertì Mattia. — Non ha mai perso nemmeno una partita, credimi, e ha sfidato mezza Gaeta vecchia.
Anna mi lanciò un'occhiata astuta. — Vedremo. Bianchi o neri?
— Neri — scelsi, per lasciarle la prima mossa.
— Io faccio squadra con te — disse Mattia. — Almeno in questo modo abbiamo una minima possibilità di batt...
Lo interruppe il cellulare che squillava. — Accidenti — imprecò. — È l'ospedale, chiameranno per l'affiancamento. Mi dispiace Lori, dovrai vedertela da sola.
Si alzò e sparì in salotto. Coglione.
Anna mosse in avanti un pedone. — Nome interessante, il tuo. Così simile al mio.
— Già — sussurrai, concentrata sulla scacchiera. Alla fine puntai anch'io su un pedone.
Lei decise di spostare una torre. — Anna e sue varianti o composti non sono rari tra noi Veggenti, sai.
Trasalii e serrai i pugni, tanto terrorizzata quanto sbalordita. Raddrizzai un cavallo che avevo fatto cadere con uno spasmo del braccio. — Mattia gliel'ha... te l'ha detto?
— No — negò pacatamente. — So riconoscere chi ha il mio stesso potere, soprattutto chi come me è sotto l'influenza di Raziel.
Di questo Mattia non era al corrente. Non poteva saperlo, non gliel'avevo mai nemmeno accennato. Così compresi che le parole di Anna erano assolutamente veritiere. — Spiegami tutto, per favore.
— Secondo la Cabala ebraica Raziel è l'Arcangelo della Chiaroveggenza, oltre che dell'Intuizione e della Conoscenza. — Giunse le mani. Notai che aveva gli occhi completamente bianchi, come accadeva a me quando avevo le visioni: non era un riflesso del vetro, era reale. — La maggior parte di noi Veggenti è tale proprio a causa sua. Alcuni per un motivo, alcuni per un altro. Ad esempio io non ci sono nata, ma lo sono diventata. Quando mio marito fu ricoverato a Milano iniziai a desiderare di poter guardare nel futuro per avere delle certezze. Pregai, pregai e pregai, giorno e notte. Raziel mi ascoltò.
— Non ci credo — replicai. — Non è così magnanimo.
— A volte no, è vero — ammise. — In realtà dipende da molti fattori.
Balzai in piedi e mi piegai in avanti, furiosa. Anna rimase impassibile. — E allora perché a me non ha mai dato una singola soddisfazione? — sibilai tra i denti. — Perché io sono da sempre la sua schiavetta da torturare e vessare ogni santissimo giorno? Perché ho paura di me stessa e di cosa sono capace?
— Perché non lo conosci — argomentò. — Non ti conosci. E ciò che non si conosce fa paura.
Trattenni il fiato per un attimo, poi espirai, riconoscendo che il ragionamento di Anna non faceva una piega. — Come posso imparare a conoscermi, dunque?
— Ognuno percorre la propria strada — ribatté Anna filosofica. — Dovrai scegliere la tua via e avventurartici senza aiuti.
— Naturalmente — borbottai, secca. — Raziel è anche l'Arcangelo Eremita. Quello che sta da solo.
In fondo sapevo che ero destinata a una vita solitaria. Da quando avevo pochissimi anni avevo allontanato tutto e tutti, mi ero allontanata da tutto e tutti. Non potevo permettermi di avere nessuno al mio fianco. Come Raziel, dovevo essere un'eremita.
Anna spezzò il silenzio: — Sono stati i tuoi genitori a scegliere il tuo nome, Lorianne?
Mi parve una domanda alquanto fuori luogo, ma risposi comunque: — Sì, mia madre, poco dopo il parto.
— C'erano altre opzioni? — mi chiese.
— Be', papà aveva pensato a Leigh... — Sussultai, mentre una rivelazione sconcertante mi appariva alla mente. Mi afflosciai sulla sedia e mi presi la testa fra le mani. Tremavo. — Leigh-Anne.
Anna allungò le braccia sul tavolo e si stiracchiò. — Alla fine è sempre Raziel a decidere come dobbiamo chiamarci. Sapeva che un giorno avrei ottenuto il potere, idem per quanto ti riguarda. Siamo sotto la sua ala dal nostro primo vagito, Lorianne. Che lo vogliamo o no, lui ci ha designati come suoi emissari sulla Terra.
— Così non fai altro che avvalorare la mia tesi — brontolai. — Siamo i suoi schiavi.
Abbassai lo sguardo sulla scacchiera e mossi la regina.
Anna fece saltare un cavallo. — La tua visione della situazione è offuscata da troppi dubbi e troppe preoccupazioni.
— Niente di più corretto — ammisi mestamente spostando una torre. — Il dubbio che il mio posto non sia questo, e la preoccupazione che Raziel possa far soffrire le poche persone che mi sono rimaste vicine.
Fissai la scacchiera malinconicamente. — Questi pedoni non giocheranno mai la partita.
Li indicai con un ampio gesto della mano. — Resteranno lì a guardare impotenti, mentre i pezzi attorno a loro decidono le sorti del conflitto. Se vinceranno, o se perderanno. Se mangeranno, o se saranno mangiati.
— Esatto — disse Anna. — Ma ricorda che, a volte, sono proprio i pedoni a far pendere la bilancia dall'una o dall'altra parte.
Ne mosse uno verso destra. — Scacco matto.
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