XII. Oblio
"Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo né contentezza; [...] E potrai anche trovare compagnia di tuo gusto, fra tanta gente che s'incontra, al mondo; però, molto spesso, te ne starai solo. Un sangue-misto di rado si trova contento in compagnia; c'è sempre qualcosa che gli fa ombra, ma in realtà è lui che si fa ombra da se stesso, come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra uno con l'altro." Elsa Morante-L'isola di Arturo
Primavera 2000
Marco spalancò la porta dell'Istituto conducendovi per la prima volta la piccola che gli era stata affidata da quella sua amica americana, Meredith Keycross. La piccola era un tornado di energie e violenza, scalciava e scalpitava ovunque, senza sosta, come un cuore vivo e pulsante, incapace di fermarsi. Lui sapeva cosa si celava nelle vene della piccola ed ipotizzava che fosse quello a renderla così desiderosa di distruggere e ferire qualunque cosa si muovesse. Nel tragitto dalla casa di Meredith a San Satiro, avvenuto tramite portale, la piccola aveva già provato a morderlo sei volte.
<< Questa sarà la tua nuova casa, Reuel >> le aveva detto Marco.
Lei si era fermata e voltata verso di lui. Uno scricciolo alto neanche quanto una sedia, con dei grandi e profondi occhiacci neri che la invecchiavano di qualche anno.
<< Cos'è una Reuel? >> aveva domandato.
Il capo dell'Istituto si era massaggiato le tempie, non sapendo bene cosa rispondere. Meredith non aveva mai dato un nome alla piccola. << Sei tu >> improvvisò lui << Come io sono Marco tu sei Reuel. È il tuo nome, il modo per rivolgersi a te, per chiamarti. >> L'uomo pregò perché la bambina non gli chiedesse perché nessuno le avesse mai dato un nome oppure lui veramente non avrebbe saputo come risponderle. Se le avesse domandato se in realtà il suo nome non fosse mostro, come la chiamava sua zia?
<< Oh >> fece lei << Va bene. >>
Si voltò di nuovo, rimanendo ferma. Teneva le braccia dritte lungo i fianchi ed i pugnetti chiusi.
Marco rimase immobile dietro di lei. La sentì mugolare qualcosa.
<< Ho voglia di morderti >> disse lei, inaspettatamente.
Marco deglutì. << Perché? >> tentò poi, non del tutto convinto di poter ricevere una risposta sensata; in fin dei conti lei era solo una bambina di sei anni.
Reuel fece spallucce. << Non lo so. È come quando ho fame, circa la stessa cosa. Non so dirlo bene. Come quando ho voglia di dormire, dormo e dopo mi passa. Mordo e dopo mi passa. >>
Un bisogno pensò Marco. È il suo sangue che le dice di mordere, disfare e distruggere. Lei non lo vorrebbe, ma è la sua parte demoniaca ad imporglielo.
L'uomo si mise in ginocchio, portandosi alla sua altezza. << Non devi per forza mordere se non vuoi >> disse.
La bambina ruotò la testa nella sua direzione. << Ma è una cosa che non mi passa se non lo faccio. Mi manca qualcosa e quando mordo ho quel qualcosa. Sento un buco e quel buco si chiude quando mordo. >>
Marco abbassò lo sguardo. Forse era carenza di affetto, forse bisogno di attenzioni. Tutto lo scalciare ed il graffiare potevano non centrare con il sangue demoniaco.
Valeva la pena tentare. Poteva essere morso ancora, era vero, ma lui credeva fermamente che dentro di lei non ci fossero solo tenebre. Se ci fosse stata una qualche luce, anche fioca e traballante, lui sarebbe riuscito ad intensificarla, scacciando e dissipando tutto il buio.
Non era teso, solo determinato ed abbastanza sicuro del risultato.
Si chinò su di lei e la cinse con le braccia, stringendola forte come un padre. Lei non oppose resistenza, sentendo che, poco a poco, il vuoto che aveva dentro andava colmandosi. Percepiva il calore di quell'uomo come qualcosa di nuovo e piacevole. Si sentiva, per la prima volta, giusta.
Marco sorrise. << Vuoi ancora mordermi? >>
<< No >> disse lei.
Gennaio 2012
Buio, sia fuori che dentro. Le strette e tortuose vie secondarie di Milano erano un misto di ombre deboli sprazzi di luce, spolverate leggermente dalla neve che era caduta pochi giorni addietro.
Erano già trascorse due settimane dalla partenza di Xavier. Il suo compleanno era passato senza quasi che nessuno se ne rendesse conto.
Reuel non riusciva ancora a darsi pace. Lui l'aveva perdonata e tutto, ma era lei stessa a non riuscire ad accettare il fatto di aver accorciato la vita all'amico. Il fatto, poi, di non averne fatto parola né con Marco né con Zack non l'aiutava affatto, anzi, ormai era quasi sul punto di esplodere, con tutto quel tormento e quel rancore che fermentavano dentro di lei, facendola sentire come una pentola a pressione. In quegli ultimi quindici giorni si era allenata fino allo sfinimento, ignorando tutto e tutti, e la notte si ritrovava a vagare per Milano, al freddo, come se non si sentisse degna di rimanere là all'Istituto. Quella notte, ovviamente non faceva eccezione.
Le mancava il sonno. L'unico momento in cui si concedeva di dormire era la mattina, ma solo per qualche ora. Si addormentava per colpa della stanchezza accumulata durante la notte, poi, dal nulla, si svegliava di soprassalto, non riuscendo più a prendere sonno.
Si sentiva persa, spaesata. Non sapeva come fare e come affrontarsi. Dentro di lei non percepiva più la solita landa desolata, ma un guazzabuglio psichedelico di pensieri, luci e suoni.
Era come se avesse perso la bussola. Marco era l'ago, Zack il nord ed il sud e Xavier l'est e l'ovest. Ora, con due direzioni cancellate, non riusciva più ad orientarsi. Tutto il suo mondo le si stava sgretolando sotto le mani, lentamente ed inesorabilmente, senza che lei avesse la volontà e la forza di muovere un dito.
Poi c'era anche il problema di suo padre. Nemmeno di lui aveva fatto parola con nessuno e quel pensiero la stava distruggendo. Il demone da cui era stata generata era in città, la stava aspettando.
Rabbrividì e svoltò su una traversa di una viuzza secondaria. Non sapeva nemmeno dove fosse e non le importava. Vagava priva della runa dell'Invisibilità, se qualcuno le avesse fatto del male tanto meglio, era quello che si meritava.
Ad un tratto una figura si stagliò sul fondo della via. Dapprima immobile, la soppesò, poi venne verso di lei e quando fu a pochi passi di distanza, Reuel la riconobbe.
Il ragazzo dello stand delle specialità siciliane che aveva incontrato ai mercatini di Natale con Zack. Lei aveva un'ottima memoria fotografica, ma sperava che per il ragazzo non fosse così, con tutta la gente che doveva essergli passata davanti in quei giorni. E si sbagliava.
<< Ciao >> le disse quello.
Lei fece finta di ignorarlo, continuando a camminare.
<< Aspetta >> continuò lui, raggiungendola << Sei quella dei mercatini? Mi ricordo di te. >>
Reuel si fermò. << Sì >> disse solamente.
Lui sorrise. << Che caso >> esclamò << Che ci fai in giro a quest'ora? >>
<< Passeggio >> tagliò corto lei.
Lui percepì la sua ostilità, ma non si arrese. << Sono le due di notte. Non dovresti andare in giro da sola, potrebbe succederti qualcosa. Ti riaccompagno io a casa. >>
La ragazza scosse il capo. Se solo lui avesse saputo quanto era pericolosa...
<< Comunque io sono Giorgio >> aggiunse tendendole la mano, che lei però non strinse. << Ti chiederai cosa ci faccio in giro, beh, stacco ora dal lavoro. Faccio il barista e, non è un gran che, ma mi piace. Quando posso poi aiuto mio padre nella sua pasticceria; i cannoli dello stand erano tutti fatti in casa e, sai, me la cavo... >>
<< Ci stai forse provando con me? >> lo interruppe lei, guardandolo minacciosa.
Il sorriso di lui si allargò. << È forse un reato? >> Si guardarono per un lungo attimo poi fu lui a riprendere parola. << Sei fidanzata? Il tipo biondo con cui eri ai mercatini è forse il tuo...? >>
<< Non è il mio ragazzo >> scandì lei, cercando di liberarsi di lui che le stava, ostinatamente sbarrando la strada. Non voleva prenderlo a pugni, ma se la situazione l'avesse richiesto non si sarebbe di certo tirata indietro.
<< Capisco >> fece lui appoggiando una mano sul muro e tendendo il braccio. << Fratello? Migliore amico? >>
Non sembrava un ragazzo cattivo, solo... stupidamente ingenuo.
<< Che t'importa? >>
Lui chiuse gli occhi. << M'importa sapere chi frequenta la ragazza con cui ci sto provando. >>
E si sporse verso di lei, veloce. Reuel quasi non se ne rese conto, persa nei suoi pensieri. Xavier, Marco, suo padre... tutti svanirono nell'istante in cui si accorse che quel mondano la stava baciando.
Sentì la sua lingua insinuarsi dentro la sua bocca, umida, calda ed indesiderata. Non appena capì cos'era accaduto lo spinse via, brutalmente, ma ormai il danno era fatto.
Il ragazzo barcollò all'indietro. << Ehi, ma come sei... >> iniziò, ridendo, ma il suo sorriso in breve tempo si spense. Lui, tutto il suo essere, si spense, letteralmente, come un robottino a cui vengono tolte le pile. Cadde a terra improvvisamente, dal nulla, con gli occhi sbarrati. Le braccia e le gambe gli tremarono giusto un poco, poi restò immobile, rigido, del tutto e per sempre.
Reuel urlò. Urlò come non aveva mai fatto in vita sua, un grido acuto ed inumano, lacerante, poi scappò via.
L'aveva ucciso. Dio, l'aveva ucciso!
L'aveva visto accasciarsi a terra come un fantoccio. Un attimo prima era vivo e le parlava e quello dopo...
Si sentì nauseata da quello che aveva appena fatto. Provava solo un profondo e pungente disgusto.
Le sue gambe, tremanti, la riportarono all'Istituto, nel quale entrò passando dalla porta sul retro. Ora non erano più solo le gambe a tremarle, ma tutto il corpo; le mani, le spalle, i piedi... non riusciva a rimanere ferma. Fece più rumore del previsto movimentando i cardini dell'ingresso ed appena iniziò a salire le scale si ritrovò davanti Zack.
<< Reuel che ci fai in piedi a quest'ora? >> le domandò.
Lei lo scansò, dirigendosi verso la sua stanza. Non aveva detto né a lui né a Marco che la notte se ne andava a zonzo per la città. Usciva e basta.
Lui la seguì e le afferrò un polso, cercando di trattenerla. Reuel si divincolò, ma Zack la afferrò nuovamente. << Dove sei stata? >> rincarò la dose il ragazzo, la preoccupazione che iniziava a trapelare dalla sua voce.
Lei non rispose, continuando a mantenere lo sguardo fisso sugli scalini.
<< È per via di Xavier? >> tentò l'amico << Non ti devi angosciare, andremo a trovarlo per carnevale, poi possiamo sempre sentirlo via webcam... >>
I messaggi, le visite saltuarie, i saluti virtuali, le cartoline, non sarebbero stati la stessa cosa, Reuel lo sapeva. Non sarebbero stati come vedersi tutti i giorni, parlarsi, confidarsi, convivere... Piano piano si sarebbero allontanati e la loro amicizia sarebbe sfumata, lentamente ed inesorabilmente nello scorrere incessante ed indifferente del tempo. Era questo ciò che la terrorizzava di più.
Iniziò a tremare più violentemente.
Xavier, il ragazzo dei cannoli, i demoni, suo padre... tutto le affollava la testa e lei si sentiva sull'orlo di un precipizio, con qualcuno alle sue spalle pronto a buttarla giù.
Zack iniziava seriamente a preoccuparsi. Afferrò saldamente la ragazza per le spalle, costringendola a guardarlo in faccia. << Reuel cos'hai? >> gli urlò quasi, preso dal panico. Lei non l'aveva mai visto così disperato, così in pena per lei.
Con le labbra tremebonde e gli occhi lucidi, la Cacciatrice, alla fine di una lunga battaglia interiore, rantolò: << L'ho ucciso. >>
Zack sgranò gli occhi, premendo più forte sulle sue spalle. << Chi, Reuel? Chi? >> domandò lui, sempre più in tensione.
Reuel lo spinse via, pentendosi di quella confessione. Lui non la lasciò andare. << Chi? >> insistette, gridando << Dimmelo. >>
La ragazza cadde. Cadde da quel burrone immaginario in cui le sembrava di trovarsi. Si librò per pochi attimi nel vuoto, poi atterrò, schiantandosi al suolo.
<< Quel mondano! >> urlò a sua volta, completamente distrutta, accorgendosi a malapena di essere scoppiata a piangere un'altra volta. << Quel mondano dei mercatini, che ho ritrovato anche stasera! L'ho ucciso! Io l'ho ucciso, Zack! Mi si è parato davanti e mi ha baciata. È crollato a terra come niente, come se non fosse mai stato vivo! Capisci? L'ho ammazzato! Sono stata io. È colpa mia, solo mia! >>
Zack trattenne il fiato, mentre lei cercava ancora, singhiozzando rumorosamente di sottrarsi alla sua presa. Deglutì. << Non è colpa tua >> scandì piano, dopo aver assimilato la situazione. Stava dalla parte di Reuel e così sarebbe sempre stato. Comprendeva il suo attuale tormento e si sentiva angosciato dallo stato in cui si era ridotta. Voleva consolarla, rimettere le cose in ordine, ma non trovava le parole giuste da dire.
<< Se io non fossi un mostro, quel ragazzo sarebbe ancora vivo >> continuò lei, nascondendosi il viso tra le mani << Se io non fossi... infetta, se solo fossi normale! Perché sono ancora qui se non faccio altro che ferire le persone? >> Perché sono un'egoista. Non ho il coraggio di andarmene o di farla finita. Tengo alla mia vita più di quella delle persone che amo. Sono davvero uno schifosissimo mostro. << Anche con Xavier... lui... >>
Fu colta da un attacco di tosse, consentendo a Zack di formulare la sua domanda. << Xavier? Ti riferisci a quando avevate otto anni? Quella è acqua passata, ora lui sta bene. Non devi più preoccuparti di quello. >>
Ma lei scosse il capo, mentre il ragazzo si avvicinava di più. Si tolse le mani dal volto e, tra le lacrime, raccontò tutta la verità a Zack, ormai incapace di tenersi tutto dentro, straripando.
Gli disse dei demoni, di Alagorna, del siero, di suo padre e dell'inganno che aveva architettato per farla cadere in trappola, di come Xavier fosse stato avvelenato e di come lei, disperata, gli avesse iniettato quell'imperfetta cura, condannandolo ad una mezza-vita.
Zack ascoltò tutto, senza mai interromperla o giudicarla. La capiva, la comprendeva e soffriva con lei man mano che il racconto procedeva e quando lei, alla fine, si zittì, lui l'avvolse tra le sue braccia, colmandola con il suo calore. << Io avrei fatto esattamente la stessa cosa >> le disse << Avrei iniettato il siero a Xavier, non sarei rimasto lì a guardarlo morire. Era la cosa più logica e più giusta da fare. Le nostre scelte determinano chi siamo e tu hai fatto la scelta giusta, la più difficile e la più coraggiosa, perché tu sei forte e coraggiosa. Non sei un mostro, Reuel. Sei mia amica, sei una Cacciatrice, sei una ragazza, sei una combattente, sei una persona, ma non sei un mostro. >>
Lei artigliò i suoi vestiti, aggrappandosi come ad un'ancora di salvezza, come se mollare la presa equivalesse a sprofondare nell'oblio.
Si strinse al corpo di Zack senza riuscire a frenare il suo pianto lacerante, fatto di urla e singhiozzi, mormorando delle scuse scomposte e vaghe, senza un destinatario preciso.
<< Si risolverà tutto >> proseguì il ragazzo, appoggiandole il mento sulla testa << Ne parleremo con Marco e decideremo poi il da farsi. Noi... noi sconfiggeremo tuo padre. Lo staneremo e lo rimanderemo alla sua dimensione. Tutto questo domani, però. Ora devi riposare. >>
Reuel sentiva che tutto il peso che la opprimeva stava pian piano lasciando il suo corpo, alleggerendolo. Voleva bene a Zack, si fidava di lui. Era il nord ed il sud della sua bussola, il suo confidente, quello che si complimentava con lei, che la capiva al volo, con cui riusciva ed essere spontanea. Con cui riusciva ad essere se stessa.
Il tipo biondo con cui eri ai mercatini è forse il tuo...
Quelle parole le balenarono nella mente. Sentì il cuore pompare il sangue con più intensità.
Quindi era quello che appariva agli occhi della gente quando la vedevano con Zack? Lei non se lo era mai domandato. Le salì un groppo in gola, mentre le lacrime le solcavano ancora il viso.
Il tremore all'esterno si era placato, ma ora una nuova scossa era nata dentro di lei.
La vicinanza di Zack, la sua voce, il suo profumo, il suo tocco, la sensazione del suo corpo premuto contro quello di lei... tutto le dava le vertigini. La faceva sentire sia in pace che in subbuglio.
No, non era possibile. Lei non doveva, lei non poteva.
Represse quel pensiero, quell'impulso finché le fu possibile, poi quelle parole vennero a galla, insinuandosi nella sua mente. Parole bellissime e terribili, per lei.
Si stava innamorando di Zack.
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