XI. L'ultimo è il mero fratello del primo
"Ogni incontro implicava una separazione, e così sarebbe stato finché la vita fosse stata mortale. In ogni incontro c'era un po' del dolore della separazione, ma in ogni separazione c'era anche un po' della gioia dell'incontro. [...] Noi vediamo il nostro io migliore negli occhi di coloro che ci amano. E c'è una bellezza che solo la brevità procura." Cassandra Clare-Le Origini La principessa
Estate 2011
Ormai mancava meno di un anno alla partenza di Zack e Xavier ed un pomeriggio i due e Reuel si erano ritrovati a discutere su cosa avrebbero fatto una volta usciti dall'Istituto, su cosa avrebbe riservato loro il futuro.
<< Io credo che tornerò in Francia >> aveva detto Xavier << E lì proseguirò gli allenamenti per diventare un ottimo Cacciatore. >>
<< Io... >> aveva spiegato invece Zack << ...andrò a Idris, con mio padre, e studierò lì, forse all'Accademia o forse con qualche Cacciatore di rilievo. >>
Ad entrambi sarebbe piaciuto rimanere all'Istituto, ma la legge parlava chiaro, compiuti i diciotto anni tutti i Nephilim dovevano cambiare luogo di allenamento, al fine di rafforzarsi ed ampliare le proprie conoscenze.
Dopo aver parlato, i due ragazzi, si voltarono verso Reuel. Lei si fissò i piedi, a disagio.
<< Io invece... >> iniziò << ...rimarrò qui. Marco mi lascerà custodire l'Istituto, facendosi da parte. È l'unico modo per non far scoprire all'Enclave la mia vera natura. Rimanere qui e... nascondermi. >>
A quelle parole i due ragazzi si pentirono di aver tirato fuori l'argomento.
Reuel non aveva futuro. Avrebbe passato la sua esistenza a nascondersi da un mondo che non l'avrebbe mai accettata per quello che era.
Gennaio 2012
La madre e la sorella di Xavier erano accorse la sera stessa all'Istituto. Dopo aver riportato lì il ragazzo, Marco l'aveva tenuto sotto osservazione per tutto il pomeriggio e, si era reso conto, di non poter nascondere un fatto così grave alla sua famiglia, così aveva chiamato la signora Chapelyeux, una donna sulla quarantina con i capelli neri e gli stessi occhi chiari del figlio, raccontandole l'accaduto e lei si era precipitata senza attendere un minuto di più all'Istituto.
Reuel, dal canto suo, non aveva riportato a Marco i fatti proprio come erano accaduti. Aveva detto lui che Xavier era andato a soccorrere un uomo attaccato dai demoni della notte precedente, mostrandogli il biglietto lasciatole dall'amico come testimonianza, che anche lei era accorsa e che l'aveva trovato così, a terra ed avvelenato. Per quanto riguardava la faccenda della siringa gli disse, mischiando verità e bugie, solamente che se l'era procurata da Alagorna e che poteva curare l'icore di qualsiasi demone, e non solo il suo. Omise totalmente la faccenda del padre, sia perché si sentiva ancora scossa da quella rivelazione sia perché, conoscendo Marco, avrebbe sguinzagliato l'Enclave contro di lui e Reuel non lo voleva. Era una sua responsabilità. Doveva essere lei e lei soltanto ad eliminarlo.
Non disse al capo dell'Istituto nemmeno delle controindicazioni dell'antidoto, ma si sentiva in colpa. Almeno a Xavier doveva confessarlo.
Era seduta su una poltrona del soggiorno, mentre la madre di Xavier inveiva contro Marco. La ragazza non stava ascoltando la conversazione, ma percepiva lo sguardo di Francine, la sorella di Xavier, ostile e terrorizzato, su di lei. Forse sospettava qualcosa; lei era a conoscenza della sua natura, quindi, magari, immaginava che fosse stata lei stessa a voler ucciderle il fratello. Erano quasi dieci anni che non la vedeva ed ora sembrava proprio una donna, con gli stessi capelli neri e lisci del fratello, lunghi e con una frangia che le celava l'ampia fronte, il naso leggermente all'insù.
Reuel si sforzava di mantenere il respiro lento e regolare, senza dare segni di squilibrio. Aveva mentito a tutti, certo, ma era stato solo per non farli preoccupare. Però Xavier... non poteva mentire anche a lui. Ne andava della sua vita. Poteva celargli la faccenda di suo padre, ma non il fatto che lei, iniettandogli quel siero gli avesse irrevocabilmente accorciato la vita.
<< Ma che differenza fa? >> stava urlando la madre di Xavier a Marco, con il suo marcato accento francese.
Il capo dell'Istituto stava tendendo le mani in avanti, nel tentativo di calmarla. << Infatti >> diceva << Non cambierà nulla, quindi potresti anche lasciarlo qui. Mancano solo due settimane al suo compleanno. >>
A quelle parole Reuel drizzò le orecchie, ora attenta alla conversazione.
<< Non m'importa. È mio figlio e decido io cosa è meglio per lui! >> sbraitò << E Xavier se ne torna in Francia con me. Oggi stesso. >>
La ragazza si sentì torcere le budella. Inconsciamente trattenne il respiro.
Xavier se ne andava. No, no era ancora troppo presto. Non poteva. Non doveva.
Le parve di essere sott'acqua, senza aria, senza ossigeno.
Si sentì mancare l'aria e solo allora allora riprese a respirare. Si alzò lentamente, senza che nessuno la notasse ed uscì dalla stanza. La madre di Xavier pensava che lei avesse salvato la vita al figlio, invece non era stato così. Lei l'aveva condannato e per quanto una parte di se continuava a ripeterle che, no, gli aveva invece permesso di vivere ancora, lei, continuava a struggersi e rodersi.
Andò davanti alla camera di Xavier. Zack era di sotto ad allenarsi fino allo sfinimento. Faceva così ogni volta che si sentiva turbato. E quella sera lo era particolarmente, turbato per Xavier.
Prima che la ragazza mettesse le mani sulla maniglia della porta, quest'ultima si aprì, facendo comparire l'alta e slanciata figura di Alagorna.
Reuel si stupì, non tanto per la presenza della stregona all'Istituto in se, ma per il suo aspetto. Aveva i capelli striati di bianco ed una ragnatela di rughe attorno agli occhi. Anche la pelle delle sue mani era più molliccia e raggrinzita.
Sembrava invecchiata di almeno cinque anni, il che era ridicolo dato che gli stregoni non invecchiano, ma...
Alla Cacciatrice ci vollero parecchi secondi per mettere insieme i pezzi.
Alagorna era come un sasso nella corrente. Immobile nello scorrere incessante del tempo.
Ma qualcosa era cambiato. La roccia si era dislocata dal suo sedimento ed ora si trovava in balia delle acque del fiume, trasportata nel tempo verso l'unica certezza che riserva il destino.
La stregona sorrise, malinconica. << Il tuo amico sta bene. Marco mi ha chiamata qui solo per accertarmi del suo stato di salute.>>
Reuel continuava a guardarla con la bocca aperta. << Cosa hai fatto? >> farfugliò, sgomenta << Il mio sangue...? >>
La donna le sorrise. << Mi hai fatto un dono, Cacciatrice, ed io te ne sarò grata fino alla fine dei miei giorni. Il mio amato non poteva raggiungere me, ma ora io posso raggiungere lui. Hai esaudito il mio desiderio più profondo e per questo non posso che dirti grazie. >> E fece un breve inchino.
La ragazza le mise le mani sulle spalle e la fece risollevare. Non si meritava i suoi inchini, non voleva i suoi ringraziamenti. Non ne era degna.
<< Ti sei resa mortale >> bisbigliò, con le labbra che le tremavano << Hai usato il mio sangue per un incantesimo che ti togliesse l'immortalità. Sei... sei... >>
<< Sono felice, Reuel >> disse l'altra dolcemente << Non rimpiangerò questa vita, dalla quale ormai ho avuto tutto. Sono pronta. Ora posso vivere gli anni che mi restano come un semplice essere umano, anche se ancora non ho perduto la mia magia. Gli anni, forse scorreranno con un ritmo diverso per me, uno equivarrà a due o più, chi lo sa? Ma io sono contenta, davvero. Ora vai >> disse scansandosi dalla porta << Xavier ti attende. >>
E se ne andò, mentre la giovane Cacciatrice la guardava sfilare via lungo il corridoio, colma di una strana ed innaturale malinconia. Alagorna non le andava molto a genio, era vero, ma, in un certo senso, forse perché erano molto simili, si era affezionata a lei. Un po' anche la invidiava, perché era riuscita ad uscire dalla sua gabbia.
La ragazza poi si voltò ed entrò nella stanza di Xavier. Lo trovò lì, in piedi, accanto al suo letto. Sembrava lo stesso ragazzo di sempre, non portava segno alcuno di quello che gli era accaduto quella mattina e questo fece salire un groppo in gola a Reuel. Era ancora lui, pareva uguale al ragazzo di ieri e dell'altro ieri e dell'altro ieri ancora, ma qualcosa, dei particolari, invisibili, dentro di lui, erano mutati. Chissà per quanto ancora sarebbe vissuto.
Ripensò al momento in cui l'aveva visto per la prima volta, molti anni addietro, quando era giunto all'Istituto. Un bambino vivace e saturo di energie che, a differenza della sorella che si nascondeva dietro le gambe della madre, scalpitava per visitare e correre per la sua nuova casa. Era un bambino forte ed ora era diventato un uomo forte. In fin dei conti, la mela non cade mai troppo lontana dall'albero.
Reuel rimase ferma sul ciglio della porta, non sapendo cosa dire. Era da quando lui aveva provato a baciarla che non avevano più parlato veramente.
Xavier le sorrise, invitandola ad entrare. Lei lo fece e rimase a testa bassa davanti a lui.
Doveva dirglielo. Doveva. Sentiva lo sguardo di lui, curioso, posato sul suo corpo.
Aprì bocca, ma non ne uscirono le parole corrette. << Tua madre e tua sorella sono di sotto >> disse << Devi... fare i bagagli, torni in Francia. >> Voleva mordersi la lingua. Le sue parole sembravano lapidarie, un ordine, una condanna.
Ma il ragazzo non parve farci caso. << Lo so >> rispose << Immaginavo anche volessero riportarmi a casa. Conosco mia madre. >> E sorrise, tristemente, indicando, ai piedi del letto, la sua grande valigia blu.
Reuel stava fremendo. Le sembrava di esplodere. Doveva diglielo. Doveva dirgli del siero. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore e sentì gli occhi colmarsi di lacrime.
Xavier se ne andava. Se ne andava e non tornava più.
Ed in parte era colpa sua.
Le ginocchia non la ressero e lei si lasciò andare alla forza di gravità. Si sedette sui talloni, coprendosi il volto con le mani, singhiozzando.
<< Reuel... >> espirò Xavier, portandosi al suo fianco, stupito.
Lei sentiva il calore delle sue mani sulle spalle, vicine alla base del collo.
Lui disse ancora: << Cosa c'è? >>
La sua voce era calma e dolce, ma forse dopo aver saputo cosa lei gli aveva fatto, dopo aver saputo che gli aveva accorciato la vita, l'avrebbe odiata.
Reuel aveva paura. Sentiva le lacrime rigarle gli zigomi e poi solcargli il volto.
<< Mi dispiace... mi dispiace... >> continuava a dire.
Lui le diceva che stava bene, di stare tranquilla, ma lei non voleva sentire ragioni.
<< È tutta colpa mia. Ora tu dovresti odiarmi... >>
Il ragazzo tentava, preoccupato, di farle sollevare il volto, di guardarla e di farsi guardare. Non capiva. Era confuso e spaventato dal comportamento di lei, di solito sempre integerrima.
<< Il siero... se io non ti avessi iniettato quel siero... >> farfugliava la ragazza tra i singhiozzi.
<< Quale siero? >> chiese lui, scuotendola dolcemente.
<< Io ti ho accorciato la vita Xavier! >> urlò lei sollevando il capo e ritrovandosi a fissare quegli occhi di quell'azzurro opaco e slavato che conosceva tanto bene. Vide l'amico trattenere il respiro, si asciugò le lacrime con il dorso delle mani, come una bambina, e riprese a fissare il pavimento. Si sentiva fragile, incrinata, sul punto di andare totalmente in pezzi.
<< Reuel? >> balbettò lui, interdetto, non sapendo bene se volere una spiegazione oppure no. Alla fine optò per il volerla. << Calmati e raccontami bene quello che è successo. >>
Lei riprese, più tranquilla, scandendo piano, onde evitare di perdere nuovamente il controllo, dopo aver inspirato a fondo: << A San Donato ti ho trovato a terra, avvelenato da un demone. Giorni prima mi ero fatta dare un siero da Alagorna, un siero per combattere il veleno dei demoni. L'antidoto funzionava, ma aveva dei limiti. Lui... lui non era ancora stato testato. Eliminava il veleno, ma accorciava la vita del Cacciatore a cui veniva iniettato. >> Si fermò per pochi secondi, notando che avevano iniziato a tremarle le mani. Il tono della sua voce andava colmandosi di disperazione. << Stavi morendo Xavier. Stavi morendo ed io non sapevo cosa fare. Non capivo più niente. Non volevo perderti... ti ho iniettato il siero. Mi dispiace... mi dispiace... >>
Non scollava lo sguardo da per terra. Si vergognava. Aveva paura di vedere l'espressione di Xavier. Non voleva che la odiasse, ma il che era inevitabile, pensò, mentre le lacrime avevano ripreso a scorrere.
Aggrottò le sopracciglia per frenare quell'emorragia di pianto, mentre Xavier si chinava su di lei.
<< Mi dispiace >> riprese lei << Non volevo accorciarti la vita. Ho avuto paura. Non sapevo cosa fare... >>
Chiuse gli occhi. Non voleva vedere il suo volto.
<< Reuel... >>
<< Morirai prima, ma non so ancora quando. Il siero non era ancora stato testato. Mi dispiace... >>
Non voleva leggere l'odio che provava verso di lei nei suoi occhi.
<< Reuel. >>
<< Anche l'altro giorno, quando ti ho detto che ero solo una droga per te, non era vero! Volevo proteggerti. Ti voglio bene, ma non ti amo. Ti prego non odiarmi per questo! >>
Non voleva vederlo andar via così.
<< Reuel. >>
Calò il silenzio. La ragazza sentiva solo l'irrequieto contrarsi ed espandersi dei propri polmoni. Si copriva il volto con le mani, accucciata a terra, come se volesse scomparire. Le mani di Xavier sempre salde sulle sue spalle.
<< Guardami >> disse lui, disegnandole dei piccoli cerchi con i pollici alla base del collo. La sua voce era autorevole e contenuta, ma non arrabbiata. Lei sollevò il capo, ma teneva ancora gli occhi chiusi. Non aveva mai pianto tanto come in quei giorni. Sentì le dita di Xavier migrare dalle spalle al collo. I singhiozzi la scuotevano ancora.
Il ragazzo attese ed infine lei aprì gli occhi, togliendosi le mani dal volto. Lui era davanti a lei e nei suoi occhi non c'era alcuna traccia di odio. Si chinò, incastrando la sua testa nell'incavo della spalla di lei, sussurrando: << Non m'importa se mi hai accorciato la vita, davvero. Tu me l'hai salvato. Hai reso la mia permanenza in questo mondo più sopportabile di quanto sarebbe stata se non ti avessi mai incontrata. Ora vivrò alla giornata, gusterò ogni singolo istante come se fosse l'ultimo e ti penserò, ogni secondo da qui alla fine dei miei giorni. Io ti amo, Reuel, e anche se tu non mi ami, non fa niente. Questo sentimento, dentro di me, non appassirà ed io lo userò come stimolo, come ricarica, per andare avanti. >> Distese le ginocchia, facendo rialzare anche lei.
<< Non voglio che vai via... non voglio che vai via. Non voglio... io non... >>
Quello era un addio. Reuel non voleva dirlo apertamente, altrimenti la consapevolezza di non rivedere più Xavier sarebbe piombata su di lei come un macigno, distruggendola. Tutto sarebbe diventato più vero, più reale. E lei si sentiva già a pezzi così.
<< Grazie di tutto >> continuò poi Xavier << Grazie per avermi insegnato ad amare. >>
Lei non si era nemmeno resa conto di quando avesse iniziato ad abbracciarlo, ma dopo le sue parole si strinse con più foga al suo petto, sentendo tutto il suo calore corporeo irradiarsi in lei. Sentì la stoffa del suo vestito sotto le dita, il suo profumo nelle narici, la forma del suo corpo, che si incastrava così bene con quello di lei, la sua altezza, l'intensità con cui la stringeva, il tono della sua voce. Memorizzò tutto, ogni singolo particolare si impresse a fuoco nella sua mente, in modo da non essere eroso dallo scorrere incessante del tempo. Non avrebbe dimenticato Xavier, mai, ed ora sapeva con certezza che nemmeno lui l'avrebbe fato con lei.
<< Ehm, ragazzi, posso unirmi a voi? >>
Zack era comparso sulla soglia della porta lasciata spalancata da Reuel. Anche lui voleva dire addio a Xavier. Impacciato, rimase immobile aspettando una riposta da parte dell'amico, sperando di non aver interrotto nulla di importante.
Xavier staccò un braccio dalla schiena di Reuel e lo protrasse verso Zack, invitandolo ad aggregarsi a quell'abbraccio. L'altro Cacciatore avvolse entrambi con le proprie braccia e la ragazza percepì anche il suo, di calore, e capì che ora, in quel preciso istante era nel posto in cui le sarebbe piaciuto per sempre restare. Il posto giusto per lei. Avvolta nelle braccia dei due ragazzi con cui era cresciuta, dei suoi "fratelli mancati", si sentiva a casa. Tranquilla e protetta. Sapeva che lì nessuno l'avrebbe mai giudicata e che tutti l'avrebbero amata per quello che era, angelo o demone che fosse.
Se il rito parabatai avesse potuto essere stipulato tra tre persone, loro sarebbero di certo state le più indicate.
Quella sera Xavier partì con la sua famiglia e tornò in Francia, per sempre. Reuel, Zack e Marco lo guardarono andare via dall'Istituto con un groppo in gola, salutandolo agitando le mani in aria, con fare un po' infantile. Il primo e l'ultimo momento in cui si vede una persona sono simili, entrambi gli antipodi di una stessa linea, entrambi carichi di aspettative e di malinconia. E oltre la linea c'è l'ignoto. Così come non riusciamo a ricordare com'era la nostra vita prima di incontrare quella persona, così non riusciamo a figurarci un dopo. Tutto è così breve che la linea che congiunge i due punti non è che essa stessa un punto nell'universo e l'incontro e l'addio finiscono per combaciare nell'infinito scorrere del tempo. L'ultimo è il mero fratello del primo.
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