VIII. Il peso di un segreto
"C'è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce." Leonard Cohen
Novembre 2007
Fu un inverno particolarmente rigido, quello. Il freddo riusciva ad insinuarsi dentro l'Istituto sgusciando in ogni minima fessura, un po' come se anche il freddo stesso cercasse un po' di calore e di ristoro tra le mura dell'edificio. San Satiro, pur trattandosi del grande Istituto per Cacciatori milanesi, era pur sempre una chiesa antica, con tutte le sue falle nell'isolamento termico dei locali.
Una notte il freddo era così pungente che Reuel non riusciva a dormire. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto in preda ai brividi, ripetendosi che lei era una Cacciatrice e che doveva smetterla di lamentarsi e cercare di prendere sonno.
Alla fine, purtroppo, gli spifferi l'ebbero vinta, costringendo la ragazza ad alzarsi, avvolgersi attorno la trapunta del proprio letto ed a scendere di sotto, nella stanza con il camino, per scaldarsi. Lei sapeva bene che Marco lo riempiva ben benino di legna prima di coricarsi, in modo da fargli sprigionare calore per tutta la notte.
Una volta giunta nella sala principale dell'Istituto, Reuel, si sorprese nel trovarci Xavier, stravaccato su una poltrona con un libro in grembo. Si avvicinò a lui, domandandogli perché fosse lì.
Lui le rispose che non riusciva a dormire e che voleva scaldarsi. Lei constatò che era lì per il suo stesso motivo e glielo disse. Quello sorrise, si alzò e le porse il libro che stava leggendo, Io robot di Asimov.
<< Tieni >> disse << Tanto io l'ho già letto tre volte. È un buon libro, ma ti aiuterà a prendere sonno. Mettiti sotto le coperte ed inizia la lettura, tieni la luce bassa, non ti accorgerai nemmeno di esserti addormentata e quando ti sveglierai ormai sarà giorno. >>
Reuel prese il libro tra le mani, ringraziando l'amico, tornò nella sua stanza e fece come gli aveva consigliato.
Non era nemmeno giunta a pagina trenta che già il sonno aveva preso il sopravvento sulle sue membra.
Xavier non reclamò mai la proprietà di quel libro ed ogni volta che la ragazza tentava di ridarglielo lui cambiava tempestivamente argomento, spiazzandola.
Era un regalo. Xavier non voleva ammetterlo apertamente, ma Reuel lo capì lo stesso. In fondo, l'ultimo regalo che il ragazzo aveva tentato di darle non aveva fatto una bella fine...
La ragazza alla fine tenne il libro. Ogni volta che non riusciva a dormire, non solo per il freddo, anche per l'eccessiva stanchezza, i cattivi pensieri o le preoccupazioni, riprendeva in mano quel testo ed era un po' come se Xavier fosse lì con lei, a coccolarla ed a vegliare su di lei come un fratello, fino al sopraggiungere del sonno, dolce anestetico della notte.
Gennaio 2012
<< Zack cosa stai facendo? >>
Le vacanze natalizie erano passate in un baleno ed ormai era già giunta al termine la prima settimana di gennaio. Sia Zack che Marco erano già rincasati all'Istituto, mentre Xavier sarebbe arrivato solo quella sera stessa.
Reuel era appena entrata nella sala principale dopo aver terminato di allenarsi al tiro con l'arco in un'apposita stanza nei sotterranei ed aveva sorpreso Zack chino su un enorme tomo nero, accanto al tavolo che spesso utilizzavano per cenare.
Il ragazzo, udita la voce dell'amica, sollevò il capo dalle pagine del libro e si rivolse a lei. << Sto studiando >> disse come se si fosse trattato della cosa più naturale del mondo.
La ragazza si affiancò a lui, sbirciando gli strani ghirigori scribacchiati su quella carta. << E cosa studi? >> continuò.
Lui chiuse il libro e lo sollevò, in modo da farle leggere il titolo. << Lingue demoniache >> asserì e, dopo aver notato l'espressione titubante sul volto di lei, spiegò: << Potrebbe tornare utile. In fin dei conti sono pochi i demoni che conoscono la nostra lingua, onde per cui, risulterebbe vantaggioso sia riuscire a capire cosa dicono sia riuscire a dialogare con loro allo scopo di ricavarne delle informazioni utili. Poi, dato che pensano che noi non siamo in grado di sapere cosa dicono, potrebbero lasciarsi sfuggire qualche importante indizio. >>
<< Oppure potremmo capire quando si prendono gioco di noi. >> C'era della sottile ironia nelle parole di Reuel. A lei importava solo sconfiggerli, i demoni, senza cercare di carpire informazioni sul loro conto. Zack invece no. Lui voleva studiarli, esaminarli, passarli sotto uno scanner. Era più per un approccio psicologico e calcolatore in battaglia. Meglio conosci il tuo nemico e maggiori possibilità hai di vincere.
<< Le lingue demoniache, poi, non sono infinite? Tra dialetti e parlate locali delle varie dimensioni, non si è ancora riusciti a tradurre completamente il loro modo di dialogare >> aggiunse poco dopo la ragazza.
Zack ci pensò su un attimo, dopo di che annuì. << Certo >> disse << Ora sto cominciando con le lingue più comuni. Alla fin fine in parte si assomigliano tutte, un po' come il francese, l'italiano e lo spagnolo, che hanno circa le stesse radici. >>
Reuel annuì a sua volta. << Buona fortuna >> concluse, salutandolo ed uscendo dalla stanza.
Andò a farsi una doccia per eliminare la stanchezza lasciatale addosso dall'allenamento con l'arco, poi si recò nella sua camera, stendendosi sul letto.
Si sentiva esausta. Nelle ultime due settimane non aveva fatto altro che pensare alla cura datale da Alagorna. Credeva che, se ne fosse presentata la necessità, non avrebbe avuto il coraggio di usarla, temendo di accorciare la vita del Cacciatore infettato dai suoi fluidi. Era stata lei a cercare quel rimedio, era vero, ma aveva pensato di ottenere un siero perfetto, completamente sicuro, ed invece no. Si era ritrovata tra le mani un veleno che poteva curare altro veleno.
Sbuffò, coprendosi gli occhi con l'avambraccio. Non aveva quasi chiuso occhio nei giorni precedenti.
Si mise in piedi sul letto dopo aver chiuso le persiane della finestra ed abbassato la luce. Prese dalla mensola il libro regalatole anni addietro da Xavier e si acciambellò tra le coperte, iniziando a leggere.
Non c'è nulla di più bello se non l'addormentarsi leggendo un libro, perdendo poco a poco conoscenza, mentre i personaggi danzano ancora allegri nella tua mente, conferendoti un sonno beato e senza pensieri. Un sottile velo che cala sulle tue membra, come un corpo dormiente sotto la superficie dell'acqua, leggero e delicato. Le palpebre che diventano mano a mano sempre più pesanti, con le ciglia che sfiorano le guance in un tenero bacio. Le spalle che si rilassano, ripiegandosi all'ingiù come gli steli di un fiore. Il respiro ed il battito del cuore che, come in un segreto accordo, rallentano e divengono entrambi più lievi e regolari, armonizzandosi tra loro. Le labbra, che si schiudono un poco, come a dare un saluto alla luce ed il benvenuto all'oscurità.
<< Hai davvero tenuto quel libro che ti avevo regalato? >>
Reuel si destò di scatto, saltando in piedi giù dal letto come un felino. La mano già appoggiata alla cintura in cui teneva le armi. Il libro che teneva in grembo cadde a terra con un tonfo, così come il cuscino.
<< Scusa, scusa. Non volevo spaventarti. Dato che sono appena tornato ero venuto solo a salutarti. >>
Xavier era in piedi davanti a lei, i palmi delle mani sollevati in segno di resa, sorrideva con la sua innaturale leggerezza. Indossava un largo giubbotto verde scuro e dei jeans neri.
Reuel si rilassò. << Mi hai fatto prendere un colpo >> disse, spostandosi i capelli dal volto. Per quanto aveva dormito? Minuti? Ore? << Non sei mai entrato nella mia camera, come mai proprio ora... ? >>
Il ragazzo si sedette sul bordo del suo letto, afferrandosi le mani l'una con l'altra. << Non so. Forse stavo attraversando quella fase della vita in cui i maschi non vogliono entrare nella stanza delle femmine ed ero restio al venire qui >> spiegò con fare scherzoso. Reuel si ritrovò a pensare se, in effetti, esistesse una fase del genere nell'adolescenza umana. << Comunque >> continuò lui << me la immaginavo totalmente diversa la tua camera. È così... >>
<< Spoglia? >> tentò lei risedendosi sul letto, accanto a lui.
<< Semplice >> la corresse << Qui non c'è nulla che parli di te, niente che dica chi sei. Non un arma, un trofeo... un libro. >> E raccolse quello che era stato suo da terra, riponendolo sulla mensola, in compagnia del Codice e di una raccolta di fiabe per bambini. << Sembra che tu non abbia interessi! >>
Reuel fece spallucce. << È così. Più che uccidere demoni, allenarmi con materiali contundenti, non credo di avere altri hobby. >>
Xavier sorrise, stiracchiandosi allungando dietro di se le braccia. << Non essere sciocca. Tu vuoi essere capita, senza però esporti. Vuoi che gli altri capiscano da soli i tuoi problemi perché in questo modo non possono giudicarti, immedesimandosi in te. È un meccanismo di difesa. >> Lo disse come se si trattasse della constatazione più naturale del mondo e non un contorto ragionamento.
Reuel abbassò lo sguardo. << Se infrangi il guscio che mi sono costruita attorno, dentro di me non troverai niente. Solo un buio tunnel nero, profondo e senza fine. È inutile cercare qualcosa che non c'è. Per questo sono senza personalità. >>
Perché reprimo tutti i miei desideri e le mie ambizioni. Perché mi chiudo. Isolando il demone che è in me finisco per isolare me stessa dal mondo, perché esso è parte di me. Lui sono io ed io sono lui.
Xavier non smetteva di guardarla. Per un attimo la ragazza si chiese se le sue parole non l'avessero in qualche modo ferito. Se avesse pensato che lei non si fidasse di lui.
Lei, alla fine, finiva sempre con il fargli del male.
Il ragazzo, invece, sorrise. << Come pretendi che gli altri si fidino di te se sei tu la prima a non fidarti di te stessa? >> disse sfoggiando il suo sorriso storto.
Reuel si ritrovò a posare gli occhi su quelle labbra, rosee come la nebbia che si forma al tramonto sul mare, per poi far scivolare lo sguardo un po' più su, prima lungo gli zigomi e poi sugli occhi.
Xavier aveva gli occhi azzurri, di un azzurro pallido e sfocato, che rendevano i suoi capelli ancor più neri e la carnagione più nivea.
Lo sguardo della ragazza viaggiò ancora, al lobo frastagliato del suo orecchio, alle scarne clavicole che si intravvedevano alla base del collo, ai marchi posati sui lembi di pelle che facevano capolino dal cardigan verde, sulle mani, dalle lunghe dita, quasi da pianista, che ora si stavano muovendo, nascondendosi tra la stoffa del soprabito, per poi riemergervi, stringendo un piccolo pacco con una carta a palloncini e posandolo sul suo grembo.
<< Che cos'é? >> domandò lei, sgranando gli occhi.
Non guardò Xavier, ma solo il pacchetto. Ne era come ipnotizzata. Si sentiva confusa, ma non frustrata.
<< Un regalo >> rispose il ragazzo << Per te. >>
Lei non seppe con quale espressione la stesse guardando. Continuava a fissare il pacchetto, come se fosse una piccola bomba ad orologeria. Non osava quasi toccarlo, tenendolo in equilibrio tra le ginocchia e le cosce.
Reuel non accennava a pronunciare alcunché, quindi Xavier aggiunse: << Viene dalla Francia. Lascia perdere la pessima carta da regalo, è stata un'idea della commessa. >> Si prese una piccola pausa, inspirando rumorosamente ed appoggiando il viso tra le mani giunte a coppa davanti a se, i cui gomiti erano a loro volta poggiati sulle sue ginocchia. << È... insomma, per ricordarti di me. Tra due settimane compirò diciotto anni e verrò mandato in un altro Istituto. Non voglio che tu mi dimentichi, io non lo farò con te. >> La sua voce andava affievolendosi e Reuel strinse forte le palpebre per non lasciarsi andare alle emozioni. Quest'ultima prese finalmente il pacchetto tra le mani, delicatamente, quasi fosse stato fatto di cristallo. Le era sembrato infinitamente pesante, invece era insolitamente leggero, come il sollievo. Lo aprì attentamente, partendo dai bordi aguzzi e strappando piano la carta, che con un dolce fruscio venne via, come una coperta da un letto.
La ragazza si ritrovò a fissare una piccola cornice di legno, intagliata a mano, con fiori e angeli che si rincorrevano lungo il suo bordo, scolpiti con maniacale precisione. Li sfiorò con l'indice, estasiata. Era a bocca aperta. Quasi non riusciva a parlare dall'emozione. Voleva dire a Xavier che a prescindere da quel regalo lei non l'avrebbe mai dimenticato, che era stata stupida e meschina a bruciare il suo dono di tanti anni addietro, che avrebbe dovuto fermarlo prima che quel vampiro gli strappasse il lobo dell'orecchio, che aveva accettato il suo regalo non per fargli piacere, ma perché era giusto così, era un gesto naturale e sincero, mentre era lei ed essere quella torbida e complicata. Ma le parole non le uscivano, rimanendole incastrate nel limbo tra la gola ed il pensiero.
Fu il ragazzo a parlare, invece. << È lo stesso regalo che ti avevo fatto anni fa. Questa volta mi sono accertato che fossimo lontani da fonti di calore prima di dartelo! >> cercò di sdrammatizzare, ma si intuiva dal tono della sua voce che si sentiva in imbarazzo. << Così potrai metterci dentro una nostra foto e... beh, la tua camera non sembrerà più così fredda ed anonima. Io continuerò a guardarti dalla foto, anche se sarò lontano, e tu, se ti sentirai sconsolata o un po' giù, mi percepirai un pochino vicino a te. >>
A quelle parole Reuel sollevò lo sguardo. Pensava che con una nostra foto Xavier intendesse di loro tre, lei, lui e Zack. Probabilmente no, voleva dire solo di loro due, da soli, proprio come erano soli in quel momento nella stanza di lei.
La ragazza appoggiò al proprio fianco la cornice, continuando a guardare l'amico, che ora aveva la schiena dritta e le braccia abbandonate lungo i fianchi, senza capire. Vedeva i suoi occhi che la guardavano come non l'avevano mai guardata prima, malinconici, quasi tristi. Velati da un dolore che all'esterno poteva sembrare contenuto, ma che dentro di lui scalpitava e graffiava di bramosia. Anche il suo sorriso era insolito, ma allo stesso tempo lei credette di aver già scorto la forma e l'inclinazione che aveva ora assunto. Quelle labbra semiaperte la riportarono all'estate dei suoi otto anni, quando era stata vicino al sacello di San Satiro. La sua memoria sovrappose la bocca dell'odierno Xavier con la bocca di quello dell'epoca. Finalmente capì.
Le labbra del ragazzo, ora ed allora, urlavano, mute, il medesimo messaggio.
Baciami.
<< Dì qualcosa, Reuel... >>
La sua voce le apparve distante, come proveniente da un sogno lontano, anche se il suo corpo, teso, si stava avvicinando sempre di più a lei.
La ragazza si sentiva come dentro una bolla. In uno spazio dove il tempo si dilatava e scorreva come al rallentatore ed il mondo esterno era solo un lontano e remoto ricordo. Esisteva solo il presente.
La mano di Xavier che si sollevava e si posava sulla sua guancia, per poi sfiorarle i capelli con la punta delle dita.
Le sue spalle, leggermente incurvate, che si avvicinavano. Reuel non sapeva perché, ma aveva voglia di toccarle.
L'altra mano del ragazzo che si posava sulla sua spalla con una leggera pressione.
I suoi occhi, semichiusi, che avevano quasi paura di guardarla.
Il suo fiato, caldo, percepito come un sussurro sulle gote.
Stava accadendo davvero? Oppure era solo un'illusione?
Il peso della mano sulla spalla era reale, così come il profumo del suo alito. Reuel se ne rese conto prima che fosse troppo tardi. Appoggiò le mani sul petto del ragazzo, spingendolo via e rompendo la bolla.
<< No, Xavier >> disse, sperando che il suo tono apparisse fermo, ma non freddo.
Il ragazzo arretrò un poco, facendo scivolare via le mani dalla sua spalla e dai suoi capelli, continuando a guardarla.
Fu lei, ancora, a parlare. << Non... non possiamo. Io non voglio... >> furono le uniche banali e patetiche parole che riuscì a pronunciare, scossa.
<< Non vuoi o non puoi? >> chiese lui, senza né freddezza né rimorso.
Lei si morse il labbro inferiore. << Entrambi >> concluse.
Lui scosse il capo, non ancora del tutto arrendevole. << Reuel non... >> iniziò, per poi fermarsi e ricominciare la frase da capo << Io ci tengo a te. Molto. Non voglio separarmi da te. Non voglio andarmene. Quello che provo per te... va al di là dell'amicizia, al di là della fratellanza, capisci? Sono io che non posso fare a meno di te. >> Parlava in modo diretto e conciso, ma i suoi gesti, il tono della sua voce, il suo sguardo, tradivano quella malriuscita pacatezza.
Anche Reuel ora stava scuotendo il capo. << No >> ripeté, con la voce incrinata. Non voleva fargli del male. Voleva proteggerlo. E le due cose, in quel caso, non potevano coincidere. Gli voleva bene, ma non nel senso che intendeva lui. << Io non... provo, ciò che tu provi per me... >> biascicò, abbassando lo sguardo.
Non aveva mai pensato a Xavier in quel modo. Forse per via della sua natura aveva represso tutto. Forse in altre circostanze, se lei fosse stata normale, sarebbe successo. Forse in un altra vita si sarebbe innamorata di lui, ma quella non era la vita giusta.
Il ragazzo ancora non si arrese. << Proviamoci, almeno. Forse ho aspettato troppo, ma ora che il tempo stringe e la mia partenza si fa via via più prossima, non riesco più a tenermi dentro tutto questo >> sospirò << Reuel, io sono innamorato di te. >>
Quelle parole, anche se le aveva già intuite, le fecero male. Furono come un colpo al cuore. Doveva dirgli di no, fermarlo. Lei doveva proteggerlo da se stessa, era quello il suo compito. Un bacio, solo un banale bacio avrebbe potuto ucciderlo.
<< Lo sono da quando siamo piccoli >> continuò lui << Non ricordo nemmeno quando è iniziato. Forse da sempre, da prima che ci incontrassimo, come se fossimo legati da sempre, dai meandri del tempo. È una cosa che mi porto dentro da quando esisto, come un peso, come un segreto. Lo so, ora sto esagerando, perdonami, ma è quello che sento. Sei indispensabile per me, ho passato al tuo fianco gran parte della mia vita e riesco a vedere solo un futuro grigio e spento se tu non sarai al mio fianco. >>
Tutto il mondo stava crollando addosso a Reuel. Perché non l'aveva capito prima? Come era giunta a quella situazione?
Non riusciva quasi più a ragionare. Si sentiva confusa e voleva solo scappare via.
Le parole le uscirono come veleno, prima ancora che potesse arginarle.
<< Sono i miei fluidi a farti parlare così! >> quasi urlò, trattenendo le lacrime e, senza aspettare una risposta da parte di Xavier, continuò dicendo: << Ora tu mi vedi come qualcosa di cui hai un estremo bisogno solo perché, quando avevamo otto anni, sei entrato in contatto con i miei fluidi! Non è amore, tu mi vedi solo come una droga! >> Non si accorse nemmeno del fatto che aveva iniziato a piangere. Non pensava veramente quelle cose, ma era l'unico modo per convincere Xavier a desistere.
Lei, solitamente, con Zack era più aperta e naturale e con Xavier più sincera. Quella fu l'unica eccezione.
L'espressione sul volto del ragazzo mutò dall'aspettativa alla preoccupazione.
<< Non dire così, sai che non è vero >> disse, forse cercando di convincere un po' anche se stesso. << Capisco che ti senta spaventata, ma, riflettici, non è così. Dimmi che non lo pensi per davvero, ti prego. >>
Come faceva a non capire?
Perché non comprendeva il fatto che se fosse stato con lei sarebbe morto?
Reuel singhiozzò, coprendosi il volto con le mani. << Vattene Xavier! >> urlò << Vattene! >>
Tolse le mani da volto solo quando sentì la porta sbattere e quando lo fece Xavier non c'era più.
Si sdraiò sul letto continuando a piangere.
I Cacciatori non piangono, i Cacciatori non piangono... continuava a ripetersi, finché quelle parole non persero di significato, senza che le sue lacrime si arrestassero.
Quella notte nessun libro riuscì a farle prendere sonno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top