I
Mi chiedevo spesso quale scura entità avesse spinto mia madre ad accoppiarsi con un instabile come mio padre.
Certo, ora non sarei qui a raccontare la mia storia, ma poco importa.
Alla fine decisi di tornare a casa, fuori faceva troppo freddo e il mio maglione non era abbastanza pesante per contrastare il freddo di una nottata russa.
Evitai di passare nei corridoi del castello sempre più affollati, se riuscivo ad arrivare in camera ce l'avrei fatta..mi serviva solo un pizzico di fortuna, ma quando si è maledetti dalla nascita, non si ha la più pallida idea di cosa sia la fortuna.
Mi ritrovai di fronte mio padre: una montagna di muscoli e rabbia.
Penso che mi spezzò sulle due costole e il naso.. niente di che rispetto a quello che era successo due settimane prima, ma io non sono qui per raccontarvi delle mie piccole disavventure.
La cosa però non mi preoccupò (sarei guarito), non quanto la notizia che mi fu data il giorno dopo: mi avrebbero sbattuto in un college privato maschile.
Fantastico.
'Non voglio, non posso, non possono' questo era quello che mi ripetevo nei miei ultimi giorni a casa, ma mi sbagliavo alla grande: loro potevano eccome.
Infatti, due mesi dopo l'accaduto, ero davanti il cancello del college londinese più famoso e costoso per noi ragazzi speciali.
Non era affatto male da fuori e iniziai a pensare che c'erano comunque dei lati positivi: sarei stato lontano dai miei e quindi più libero.
Solo che le cose non cambiarono come volevo io.
Entrato dentro, la prima cosa che notai era quanto grande e sfarzoso fosse l'edificio.
Enormi colonne argentate sorreggevano tutti e cinque i piani da secoli e rampe di scale marmoree portavano di sopra.
La seconda cosa che notai era che il posto era pieno di ragazzi in divisa: pantaloni verdi e camicia grigia.
Avendo sedici anni all'ora, mi misero al terzo piano con quelli della seconda.
Al primo piano c'erano le classi, al secondo gli alloggi del primo anno e così via, fino al quarto che stava al quinto.
Qui il quinto anno non si faceva. Se volevi continuare la scuola, dovevi andare in un altro paese, ma anche senza la licenza ufficiale da cacciatore molti finivano il college e si davano alla caccia sfrenata.
Molti dei miei compagni appartenevano a famiglie molto famose e ricche come la mia, ma non mancavano i 'néos'.
I 'néos' erano i ragazzi di famiglie umane che decidevano, dopo aver scoperto l'esistenza di noi cacciatori, di unirsi a noi con un rituale alquanto pericoloso.
Se sopravvivevano molto difficilmente arrivavano ai nostri livelli, ma una mano in più non faceva male a nessuno.
Uno dei miei compagni di camera era un 'néos' e per dirla tutta all'inizio se la cavava meglio di me.
Ma era solo esperienza.
Io non ne avevo, ma essere un cacciatore di puro sangue dà sempre una marcia in più e alla fine diventai più bravo di lui.
Nelle prime settimane ero circondato da amici e adulatori (date le mie origini). Mi sentivo stranamene bene.
Ed ero la pecora nera della famiglia:
qualcosa stava per andare storto.
Quel giorno mentre ero in giardino a disegnare, iniziò a piovere.
«Solo due secondi fa non c'era una nuvola in cielo, strano» mormorai tra me e me mettendo le mie cose nello zaino per poi dirigermi verso il college.
Guardavo le foglie degli alberi piegarsi verso il basso sotto la forza di ogni singola goccia e mi venne in mente come io mi sentissi come quella foglia: piegato al volere degli altri.
Un tuono mi fece aumentare il passo. Quanto arrivai nella scuola ero tutto bagnato e tremavo per il freddo.
«Ciao Stefan» mi sentii chiamare e mi girai.
«Hey Jake»
Sforzai un sorriso (quel ragazzo non mi piaceva affatto).
«Oggi le lezioni sono state rimandate, che ne dici se vieni da me?»
Era una bella notizia.
Un giorno a riposare ci voleva, ma stare da lui no. Non sarebbe mai successo.
Sapevo bene che avesse una cotta per me.
«Ehm, molto gentile da parte tua, ma ho da fare, amico» cercai di sottolineare quell'amico.
Mi guardò mordendosi il labbro «Ohw, certo, capisco..»
Fece per andarsene, ma ahimè certe volte i sensi di colpa arrivano anche a me.
«Ehi senti, va bene, vengo.» lo fermai per un braccio.
«Davvero?» aveva negli occhi verdi scintille di felicità... Dio. Avrei voluto prenderlo a pugni. «Perché no?»
Avevo motivi per non farlo.
Tornai in camera per cambiarmi e farmi una doccia.
Fortunatamente ogni camera aveva il suo bagno, non so come avrei fatto sennò. Decisi di mettere una tuta e non la solita divisa.
Aprii la finestra visto che non si respirava, ma fu una scelta poco intelligente.
Infatti due secondi dopo, una folata di vento freddo entrò in camera con foglie e pioggia a seguire: combinazione perfetta per essere uccisi dai compagni.
Chiuse le finestre iniziai, a mettere a posto il casino che si era andato a creare, ma mi bloccai quando mi accorsi di un luccichio insolito sul letto di un mio compagno.
Era una pietra blu che brillava in modo vivido. Strana, pensai.
La presi senza pensarci e visto che ero in ritardo, corsi al piano di sopra, al piano delle terze.
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