VERDE - Fresco.

Giovedì. Nella stanza del secondo piano a destra delle scale, la mia, regna la pace con la luce soffusa filtrata dalle finissime tende bianche che ho scelto appositamente per non aggravare l'operato che il tempo cupo e grigio londinese solitamente compie. Oggi stranamente dalle finestre entra un fascio di luce dorato che si scaglia contro il pavimento ai piedi del mio letto, il ché mi fa alzare di buon umore. Con gli occhi ancora socchiusi controllo l'orario sul display del telefono lasciato sul comodino alla mia destra: le 9:30. Un ottimo compromesso. Oggi niente lezione, dopo due settimane infernali finalmente una tregua: alle 11 ci aspetta la rappresentazione teatrale del gruppo di Chiara. Il mio solito passo trascinato della mattina mi accompagna fino alla cucina del piano terra, dove ci sono già Lucas e Harry che fanno colazione e parlano superando di molto la soglia dei decibel che riesco a sopportare appena sveglia.

«La finite di starnazzare?» dico loro con uno sguardo rabbioso, mentre mi unisco al tavolo già imbandito per la colazione. Una delle cose che mi consola dal comportamento di questi ragazzi è la loro media abilità nel cucinare: se fosse per me, potremmo morire tutti di fame.

«Bambina, non dovresti prepararti per lo spettacolo di Chiara? Noi in dieci minuti siamo pronti e non abbiamo intenzione di aspettarti.» risponde acido Lucas tentando un baciamano, che prontamente respingo con uno schiaffetto.

«E sentiamo, perché mai dovrei iniziare a preparami adesso? È ancora presto.» replico infastidita, roteando gli occhi. Sto già conversando troppo per i miei gusti.

Harry e Lucas si guardano divertiti, mio fratello abbassa la testa verso la sua tazza giocando con il cucchiaino. «Sam, sono le 10:30. Tra mezz'ora inizia lo spettacolo.» continua Lucas. Sentendo queste parole sgrano gli occhi e per poco non mi va di traverso il tè: come sarebbe?! Il mio coinquilino dagli occhi azzurri come il cielo non riesce più a trattenere dalle risate mentre si alza dalla sua sedia per lasciare la stanza. Borbottando qualche "stronzi" e "potevate avvisarmi", corro subito verso la mia stanza lasciando mio fratello continuare la sua merenda tra le risate.

In tempi record, quando alle 11 la campanella dell'auditorium strilla io mi trovo miracolosamente già alle sue porte insieme ai miei amici, spingendo qua e là qualche ragazzo davanti a noi per velocizzare l'entrata ed assicurarci i posti migliori. E più che lo spettacolo, noi fremiamo per vedere o addirittura sentire Chiara sclerare da dietro le quinte, e conoscendola è molto possibile che accada. Accanto a me si accomoda Amie, con la quale negli ultimi tempi stiamo formando un trio consolidato, pronta anche lei a prendere in giro gli attori dall'inizio alla fine dello show. Le luci si spengono e l'occhio di bue viene puntato sul palco, al centro del sipario chiuso: da adesso massima concentrazione.

Circa un'ora dopo, però, la concentrazione è tutt'altro che massima: Harry dorme, Cooper è arrivato dieci minuti fa e parla continuamente con Lucas provocando un brusio di sottofondo fastidiosissimo, l'unico concentrato realmente è Nick. Quando lo sguardo si posa su quest'ultimo mi percorre un brivido quasi di terrore: avevo dimenticato la scommessa fatta ieri. Distolgo lo sguardo scuotendo la testa quando il sipario si apre ed escono tutti gli attori, facendo l'inchino di rituale; dopodiché fa il suo ingresso Chiara sorridente e, mentre l'auditorium fa un applauso composto, noi sfoghiamo l'ultima ora passata in silenzio con gridolini e standing-ovation. Lei ci sorride fiera, facendo un ultimo inchino e scomparendo dalla scena. Alle nostre spalle sono tutti già scappati fuori, persino i professori, quando Chiara ci raggiunge.

«Non sono stati bravissimi?» ci chiede orgogliosa del suo lavoro, mentre insieme ci incamminiamo verso l'uscita. Senza pensarci annuiamo, Amie le risponde «Meravigliosi, direi». E anche questa la possiamo depennare dalla lista di cose importanti da fare, adesso ci resta solo il progetto. Camminando sotto il porticato che conduce all'ala est dell'edificio, alla nostra sinistra poco davanti a noi notiamo il ragazzo delle fotocopie intento a provarci con una ragazza, appoggiato con la schiena contro un albero, quando la ragazza lo liquida e si allontana roteando gli occhi. Davanti a questa scena io, Chiara e Amie non possiamo che ridere, senza nemmeno provare a nasconderci mentre ci avviamo verso l'uscita d'emergenza per entrare.

«Beh? Cosa c'è da ridere?» tenta di difendersi lui con nonchalance, incrociando le braccia. Noi nemmeno rispondiamo e siamo già dentro, ciascuna diretta verso le proprie lezioni. In verità io prendo solamente la scusa per fare una passeggiata prima di tornare verso l'esterno, dove mi aspetta la lezione di Scrittura Creativa.

La professoressa Overmay, l'unica delle donne che mi sta veramente simpatica dopo la Flower di inglese, usa svolgere le sue lezioni nella palestra al coperto del campus, sfruttando lo spazio disponibile come "fonte d'ispirazione". Con questa insegnante in particolare ho instaurato un forte legame, anche di amicizia, a livello di chiederle consigli personali in qualsiasi momento di necessità, ma è una con cui non puoi sbagliare: tutti i caffè che puoi portarle, tutti i pianti in sua presenza, non saranno mai sufficienti per comprarti un 30 perché con lei si deve lavorare sodo. Quando arrivo dentro la palestra è ancora poco popolata ma decido ugualmente di prendere la mia postazione accanto ad alcuni miei colleghi del gruppo di Giornalismo, seduti per terra in cerchio. Mano a mano il cerchio si va allargando e, per qualche scherzo del destino, nella metà opposta proprio davanti a me è seduto a gambe incrociate Jay Wilson, amico di mio fratello, dj della festa, ragazzo delle fotocopie, indossando un paio di Rayban scuri che abbassa lentamente quando si accorge che lo sto scrutando. Resisto alla tentazione di abbassare lo sguardo: in questi casi bisogna dimostrare sicurezza. Ma questo contatto visivo viene interrotto bruscamente dalla Overmay che si piazza al centro del cerchio umano, in piedi, e prende parola.

«Dunque, prendete i vostri quaderni.» inizia, girando lentamente all'interno del cerchio e guardandoci a turno negli occhi. «Oggi lavoriamo su un livello diverso: quello musicale. Vi fornirò degli mp3 con una sola canzone, uguale per tutti, e a fine lezione me li restituirete. Scrivete quello che vi passa per la testa, non c'è alcun vincolo tematico. Buon lavoro.» conclude, facendosi strada attraverso due ragazzi seduti mentre i suoi assistenti ci distribuiscono gli mp3, che pensavo fossero andati fuori produzione ormai qualche anno fa. Quando arriva il mio turno faccio partire la canzone senza titolo, mai sentita prima. Mi guardo intorno, osservo di sfuggita i volti dei miei colleghi già intenti a scrivere i loro pensieri, posando infine lo sguardo fuori dalle finestre. Da una delle alte finestre rettangolari entra un timido ramoscello su cui è aggrappata disperatamente un'unica foglia di un verde brillante. Allora scrivo:

Se per un attimo provassimo a fermarci e ad osservare ciò che abbiamo intorno, ci accorgeremmo non solo che il mondo non gira intorno a noi, ma anche che i piccoli dettagli spesso sono quelli che fanno la differenza. Mentre scrivo, con la coda dell'occhio guardo quell'unica foglia che affaccia dentro la palestra dalla finestra, una bellissima tonalità di verde. Nonostante Londra sia una grande metropoli, una città industriale, siamo abbastanza fortunati da godere di alcuni grandi spazi verdi all'interno della nostra città. Il verde è un colore vivo, attivo, vivace, è associato alla giovinezza. Solo gli inguaribili ottimisti possono cogliere un tocco di verde in tutto ciò che li circonda, ma non semplicemente il colore, bensì lo stile di vita e il modo d'essere legato a questo colore. Il verde è anche il colore della speranza: quando speri fortemente in qualcosa, in qualcuno, ogni riferimento a questo colore diventa un amuleto in favore della fortuna. Forse perché questo colore infonde sicurezza e spensieratezza al contempo ci siamo così affezionati. E anche io, nonostante sia una cinica rompipalle, pessimista e sarcastica, spero in qualcosa. Perché no, un cambiamento o una novità. È come quando tutto crolla e vorresti solo un abbraccio di quelli che non hanno bisogno di parole di contorno. Spero in un pizzico di verde in più.

In una mezz'oretta riesco a buttare giù questo pensiero, senza frenarmi troppo. La cosa bella di queste lezioni è che riesco stranamente ad esprimere le mie emozioni senza effettivamente togliere la mia maschera, perché tutto quello che scrivo su questo quaderno giallo rimane tra me e la professoressa Overmay. Inoltre mi diverte più delle altre materie perché sono libera di utilizzare tutte le penne colorate del mio astuccio senza dare conto e ragione a nessuno. Manca ancora mezz'ora alla fine della lezione ma consegno ugualmente il quaderno e l'mp3 alla professoressa, dopodiché afferro una delle sedie bianche in plastica vicino la parete e mi vado a sedere sotto quel ramoscello per contemplarlo un attimo ancora, più da vicino. Sento un'altra sedia strisciare alle mie spalle, per poi stopparsi proprio davanti a me.

«Ciao» mi saluta la voce che ha appena trascinato la sua sedia di fronte la mia. Alzo lo sguardo: è niente di meno che il ragazzo delle fotocopie, che ormai sembra stia diventando una persecuzione. Mi trattengo dallo sbuffare solo perché nel momento stesso in cui incrocio il suo sguardo, mentre mi sorride, ricordo della scommessa con Chiara. Sapevo che me ne sarei pentita.

«Ciao» rispondo, cercando di ricambiare il sorrido. Piccolo appunto: non sono molto brava a fingere, specialmente quando le persone non mi fanno un'immediata simpatia, quindi spero che questo sorriso abbozzato non somigli più a una smorfia... «com'è andata?» domando.

«Bene, direi.» risponde grattandosi la nuca, «in verità è la prima volta che lo faccio. Nel mio corso, questa è una materia a scelta dell'ultimo anno e non sono abituato a... scrivere i miei pensieri, ecco.» prosegue imbarazzato, sempre sorridendo, generando in me un primo sentore di fastidio viscerale che ti danno quei ragazzi che già conosci perfettamente dalla prima parola che ti rivolgono: lo stronzo che si finge angelo.

«Senti, ti posso fare una domanda?» mi chiede dopo qualche secondo di silenzio, non riuscendo evidentemente a resistere alla sua curiosità. In risposta, mi avvicino di poco con la sedia a lui accigliata, accennando un sorrisetto. «Girano alcune voci nel college su di te... e su Lucas Taylor...» ammette in modo scherzoso, sostenendo il mio sguardo. Cerco di resistere alla tentazione di andare in escandescenza per l'intromissione di un perfetto sconosciuto nei miei fatti privati.

«Si sbagliano.» rispondo freddamente mantenendo la stessa espressione che avevo prima che mi facesse la sua domanda, per non far trasparire il mio fastidio. Non che possa negare in effetti, perché durante il primo anno di college tra me e Lucas c'è stato di più che semplici voci. Un rapporto così intenso e così puro allo stesso tempo che non si può definire né d'amore né di fratellanza, come ci siamo definiti noi stessi: anime gemelle senza carnalità. Per il nostro bene reciproco abbiamo troncato tutto nel giro di qualche mese e siamo rimasti amici da allora, con le debite distanze. «Mi piacerebbe tanto sapere da dove provengono queste voci.» continuo, apponggiandomi allo schienale freddo della sedia e incrociando le gambe.

Interviene a salvare dalla difficoltà Jay il suono della campanella, che ci riporta alla realtà da cui ci eravamo momentaneamente allontanati. Insieme ci alziamo e riportiamo le sedie dov'erano messe prima, mentre un gruppetto di ragazze dalla parte opposta della palestra ci manda occhiate. Quanto vorrei dir loro di stare tranquille...

«Parteciperai a The ArtCity, giusto?» mi domanda il dj della Nona, cercando di aggrapparsi a una conversazione che stava per morire dopo l'intervento di Lucas Taylor.

«Certo che sì!» rispondo con entusiasmo, cercando di accantonare la sua indiscrezione per concentrarmi sul mio obiettivo: questo ragazzo entro una settimana deve essere pazzo di me e non ho idea di come fare. «In verità devo ancora consegnare il mio articolo alla Greater domani pomeriggio... sono in estremo ritardo.» proseguo, utilizzando la psicologia inversa: cerchiamo di portare lui a buttarsi, in caso contrario interveniamo noi. Dove per noi si intende io e le mie altre mille personalità.

Camminando sotto il porticato che dalla palestra coperta porta verso l'ala est dell'edificio, Jay si ferma improvvisamente, costringendo anche me a fermarmi. «Ho un'idea.» dice, gli occhi che brillano, «che ne pensi se domani pomeriggio ti accompagno io dalla Greater? E poi ci facciamo un giro.»

Questa proposta su due piedi mi spiazza: da un lato la fortissima convinzione che mi stia prendendo in giro per chissà quale ragione, dall'altro il sollievo dato dal fatto che me lo abbia chiesto io e non spetti a me invitarlo. «Mi sembra un'ottima idea.» replico con un occhiolino.

Quando, una volta separatami da Jay, arrivo davanti l'aula dove si tiene Grafica mi fermo prima di entrare per mandare un messaggio a Chiara:

"Inizia a preparare gli argomenti, tesoro. Domani ho un appuntamento."

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Ciao a tutti e grazie se siete arrivati fin qui! Vi chiedo scusa se non posso essere più regolare negli aggiornamenti, purtroppo ho tanti impegni. Comunque mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di questa nuova storia!

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