campo

Ed è finito un'altro campo.
Mi siedo sulla poltrona e sento di dovere fare qualcosa, impiantare pali, legare traversine o anche semplicemente mettere un po' a posto l'angolo. Ma poi mi rendo conto che sono a casa, posso concedermi di non fare niente per un po', e allora mi sento vuota.
Perché non mi importa della fatica o delle gocce di pioggia che mi solcavano il viso.
Neanche dei momenti di rabbia da sola nel bosco o il cibo che sapeva da fumo.
Il fumo negli occhi e delle docce fredde, la tenda bagnata e le vesciche alle mani.

Mi importa delle risate, dei canti e delle gare di "uomini della filibusta" da una tenda all'altra mentre fuori c'è il temporale.
Ricordo i paesaggi e le chiacchiere con gli AGESCI del campo sotto a noi. Della responsabilità che ho sentito per la prima volta e quel fuoco.

La fiamma alta, alimentata da un cartone della pizza, le mie gambe che si muovono e saltano. Ricordo il calore alle gambe e al volto, le fiamme che si aprono al mio passaggio e il mio nome caccia urlato. Ricordo le canzoni dei pinguini tattici nucleari che abbiamo cantato nell'attesa che le braci si spegnessero definitivamente e l'abbraccio con la mia capo squadriglia.

Poi tutta l'energia che ho avuto si è scaricata e ora da seduta ricordo tutto chiudendo le immagini in uno scrigno di fumo dentro al mio cuore.

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