Le mie prime volte di Bittersweet


La prima volta che ascoltai Bittersweet degli Apocalyptica avevo 16 anni. Esattamente circa 10 anni fa. Da allora mi è rimasta dentro. A ricordarmi del fuoco che mi brucia e non mi lascia. A toccarmi l'anima sporca per rinfrescarla. Il tempo necessario a soffiare su ferite colme di ombre, sputandoci veleno per disinfettarle.

Il primo ascolto fu devastante e appagante insieme. Mi sembrò di sgretolarmi tra le note e gli archi che le producevano. I miei demoni furono ipnotizzati e iniziarono a vorticare forte nel mio dentro, fino a causarmi spirali ancora aperte su mondi sconosciuti di me stessa. Camminavo per strada, ma volteggiavo in una tempesta di volontà e istinti. Lontana dalla sicurezza di domande senza risposta e dai doveri di una vita non mia. Il vento mi rese schiava di squilibri a fior di pelle su cliché immacolati dalla dipendenza dall'abitudine. La musica continuò a insinuarsi, amabile violenza, nelle mie viscere. Per smuovere sabbie da troppo tempo dormienti. Sentii un serpente addomesticato mordere piano il fulcro del mio tutto, lo stomaco. E riporvi un seme dolce-amaro che sarebbe diventato la mia forza e la mia debolezza. La mia condanna e la mia salvezza. La dannazione racchiusa nella dolcezza disarmante.

La prima volta che ascoltai Bittersweet il mio universo divenne un piccolo puzzle di pezzi di vetro acuminati che odoravano di mare. Si sarebbero smussati a furia di tagli sulle pareti interne.

Un paio d'anni dopo ci fu un'altra prima volta legata a quel brano. Il primo ascolto della versione con testo, che gode della collaborazione di Ville Valo (HIM) e Lauri Ylönen (The Rasmus). Il significato struggente delle parole, sottolineata dalla voce profonda del primo e dalla voce spezzata del secondo, accompagnò quella melodia nel suo consueto viaggio nelle mie oscurità. Stavolta portando in superficie lacrime impotenti, avvelenate dall'incertezza di mani che avevano scavato senza cautela, raschiando il fondo. Maledire l'ingenuità che mi aveva portata ad innamorarmi di chi non aveva saputo aver cura di me mi fece urlare quel testo, rompendo l'agonia che mi stava divorando e rischiarando un po' di sollievo accartocciato tra i ricordi di una me sbiadita.

La prima volta che ascoltai Bittersweet con testo ripresi con violenza parte di me e la scossi fino a farmi male. Per estirparla e radicarla nuovamente in vena.

Mercoledì sera c'è stata un'altra prima volta, forse la più importante. Sono andata al concerto dell'anno (secondo me). Apocalyptica, Epica e Nightwish si sono susseguiti sul palco del Rock in Roma lasciando graffi nell'anima e carezze sul cuore.

Gli Apocalyptica hanno alternato cover dei Metallica, grazie alle quali sono diventati famosi, a brani dell'ultimo album a momenti di pura follia e divertimento. Ma poi l'hanno suonato. Quel brano. Si sono seduti e in un silenzio solenne di un pubblico già consapevole di cosa stesse per accadere e hanno iniziato a far vibrare le corde dei violoncelli. Tutti hanno iniziato ad intonare il testo. Tutti. Tranne me. Mi sono concessa il ritornello, a voce sommessa, mentre facevo il video di un pezzo della mia vita.

"Break this bittersweet spell on me 

lost in the arms of destiny"

Ho pianto. No, nessuna lacrima ha preso possesso dei miei occhi e delle mie guance. Ma dentro piangevo. Nello stesso punto in cui questa canzone ha sempre saputo toccarmi.

In quei momenti, dalla posizione laterale in prima fila, ho lasciato che il dolore si svuotasse per far spazio all'emozione genuina. In quei momenti sono stata pizzicata da tre bravissimi musicisti nelle corde più recondite della mia anima. In quei momenti ho gioito della libertà straziante che ignari mi stavano ridando. In quei momenti ho riposato i respiri in attesa che l'ossigeno riprendesse il suo posto. Un antico rituale naturale che avevo rimosso, troppo affaticata dal vortice di ombre e demoni.

La prima volta che ho ascoltato Bittersweet dal vivo ho stretto in una morsa i miei fallimenti più grandi e li ho lasciati andare al vento. Liberandoli dal peso che gli avevo dato.

La prima volta che ho ascoltato Bittersweet   dal vivo ho vibrato di dolore fino a spezzarmi il modello in frammenti di scorie radioattive.

La prima volta che ascoltato Bittersweet   dal vivo ho lasciato andare la violenza che mi divorava. Per abbracciare alcune delle spirali di ombre aperte anni fa. Ora vortico con loro. E non ho più paura (di me).

La prima volta che ho ascoltato Bittersweet   dal vivo ho condiviso con Eicca, Paavo e Perttu un amore infinito per la disperazione e la speranza che la musica creano.

La prima volta che ho ascoltato Bittersweet   dal vivo mi sono lasciata cullare e trasportare nei miei diversi mondi. Rinascendo da quelle pizzicate intense e dolci delle mie corde. Con il coraggio di non trascurarle più.


La prima volta che ho ascoltato Bittersweet dal vivo mi sono persa e ripresa tra i battiti di un cuore che si è fermato e di uno stomaco che ha continuato a pulsare. Per circa quattro minuti. Il tempo necessario a sfiorare ferite colme di ombre, tamponandole con sorrisi dolci-amari.

[835 parole]

***

NOTA DELL'AUTRICE:

Eccomi qui, di nuovo. 

Per questa traccia non voglio aggiungere niente di più di quello che ho scritto, se non che è tutto autobiografico. Lo testimonia la foto finale, tratta dalle tante che ho scattato al concerto. Se può interessarvi, ve li presento. Da sinistra: Perttu Kivilaakso (gli ho fatto una foto durante un assolo che credo di stampare e consumare perché è veramente bellissimo, fidatevi), Eicca Toppinen e Paavo Lötjönen. Vi consiglio di ascoltare anche altro di loro perché sono tre musicisti davvero eccezionali ed emozionano come pochi.

Vi auguro buona serata e buon lavoro.

Un abbraccio,

T.


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