Capitolo 6

"Prendetela!"
La voce del capitano della guardia risuona profonda e ruggente alle mie spalle mentre fuggo facendomi strada nei viottoli maleodoranti di Kòrinthos.

Vorrei tornare indietro e mettere le mani al collo di quel farabutto che mi ha cacciato in questo guaio, ma in questo momento sarebbe decisamente controproducente.
Devo solo pensare ad uscire viva da qui.
Marcire nelle prigioni di questa città è l'ultima cosa che voglio.

Correndo a perdifiato senza avere la cognizione di dove mi stia dirigendo, mi ritrovo in uno degli affollati quartieri portuali della città.
L'aria salmastra e l'odore di pesce che si infiltrano in questi vicoli gonfiano lunghi lenzuoli stesi ad asciugare sotto un cielo di un azzurro così intenso da far male agli occhi.

La calca di gente che ostruisce le stradine mi concede un notevole vantaggio sui miei inseguitori, grandi quasi il doppio di me e armati.
La mia baldanza viene però smorzata drasticamente da un gruppetto di guardie che avanza verso di me dalla direzione opposta.

Mi blocco in preda al panico.
Sulle colline c'è sempre una via di fuga.
Ma questa è una trappola a cielo aperto.
Mi guardo intorno disperata.
Qui non ci sono alberi su cui arrampicarsi.
Devo andare via da qui, non posso lasciare che mi prendano.
L'immagine dello straniero del mio sogno monopolizza la mia mente.

Qualcosa mi urta, spingendomi contro un muro, e in un secondo mi ritrovo avvolta da un telo color fango mentre qualcuno mi spinge una mano contro la bocca e mi trascina via.
La sua presa è così salda che i miei tentativi di liberarmi risultano completamente vani.

Riesco però a distanziare la mia bocca abbastanza da poter mordere la mano del mio rapitore.
Per tutta risposta vengo scagliata a terra.
"Piccola bastarda, non ti hanno mai insegnato la gratitudine?"
E' una voce insolita. Non sono in grado di distinguere se si tratti di un uomo o di una donna.
Sento un porta chiudersi mentre mi libero dall'enorme tela.

Finalmente riesco a guardarmi intorno.
E' una piccola stanza con un tavolo centrale e diversi sacchi di granaglie addossati alle pareti, quella in cui sono stata trascinata.
La luce entra da un'apertura nel soffitto a cui è collegata una scala di legno.
Non sono in cella.

Questa consapevolezza mi fa tornare a respirare.
La paura di essere catturata ha irrigidito ogni singolo muscolo del mio corpo.
Una figura alta e aggraziata, avvolta da diversi strati di veli colorati, si avvicina a me e mi rimette in piedi come si fa con i bambini.
"Seguimi, se non vuoi diventare il nuovo giocattolino delle guardie."

Sono quasi certa di avere a che fare con una donna, finché non arriviamo in cima alla scala e la luce dell'ampia finestra che si affaccia sul porto rivela un volto abbronzato, dai lineamenti mascolini malcelati da un appariscente trucco.

"Tu...tu non vuoi consegnarmi alle guardie?" balbetto.
Non sono ancora sicura di potermi fidare.
La mia salvatrice (o salvatore?) scoppia a ridere.
"Che senso avrebbe fare tutta questa fatica per trascinare una piccola furia come te qui dentro per poi consegnarla in ogni caso alle guardie?"
Il rossetto sottolinea la bocca carnosa mentre ride.

"Io sono Metrodora, mercante di stoffe preziose e belletti al servizio della corte dei Bacchiadi di Kòrinthos" si presenta ostentando un profondo inchino.
"Il mio nome è Alyssa. Sono una pellegrina" rispondo ancora stordita dall'insolita situazione.

Metrodora solleva un sopracciglio in un'espressione ironica.
"A giudicare da dove ti ho pescato, mi riesce un po' difficile crederlo."
"Hanno cercato di imbrogliarmi. Ed è stato un mercante, a voler essere precisi" sbotto.

Il volto della mia interlocutrice si fa serio.
"Sì, purtroppo ci sono anche coloro che recano danno alla reputazione della categoria" commenta a testa bassa.

Ora che non mi sento più minacciata, riesco a portare la mia attenzione sulla stanza in cui ci troviamo.
Ci sono stoffe ovunque lungo le pareti, mentre giare e ampolline sono ordinatamente ammassate su un lato di quello che ha tutta l'aria di essere un magazzino.
Dalla finestra arrivano i rumori e le voci del porto.

Mi avvicino nella speranza di capire la mia posizione.
Il sole è nascosto alla nostra vista e l'ora del pranzo deve essere passata già da un po'.

"Quello è Cencrea, uno dei due porti della città" spiega Metrodora alle mie spalle.
"Quanto siamo lontane dalle mura settentrionali della città?"
"Potresti essere fuori al calar del sole. Ma fossi in te non mi avventurerei fin là per i prossimi giorni"
"Non posso rimanere qui, mi aspettano ancora molti giorni di cammino."

Metrodora mi scruta per un attimo.
"Dove sei diretta?"
"Delphi."
Noto che non si sforza di nascondere un'espressione sorpresa.
"Stai andando ad interrogare l'Oracolo?"
"Sì, per questo stavo contrattando con quel mercante attaccabrighe. Ho bisogno di trovare un'offerta adeguata per Apollo."
Metrodora scuote la testa.
"Non è portando inutili oggetti di metallo che compiacerai l'Oracolo."
"Come fai a saperlo?"
Questa donna sa molto più di quanto non mostri.

"Te l'ho detto, sono al servizio dei Bacchiadi. Procurare trucchi e stoffe alle donne della casata reale ha i suoi vantaggi, e non solo economici" spiega con un sorrisetto complice.
"Ora, dato che sei in debito con me per averti salvato, il minimo che tu possa fare adesso è caricarti sulla schiena uno di quei sacchi di granaglie e seguirmi a testa bassa e ben nascosta fino a casa. Sono sicura che davanti ad un rifocillante pasto potremo ragionare molto meglio."

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