Capitolo 42


La nave getta definitivamente l'ancora due giorni dopo.

Alla luce del sole scopro che non è l'unica. Altre imbarcazioni cariche di Fomoraig ci hanno seguito da Dùn Dùchathair.

I druidi-guerrieri sono già in formazione seguiti dai giganti quando vengo scortata fuori e legata con una corda alla vita.

Con gli occhi cerco Alexandros in mezzo alle file, ma è impossibile riconoscerlo. I soldati indossano la tipica uniforme blu e argento ed un mantello grigio scuro il cui cappuccio nasconde le innumerevoli chiome bionde.

Davanti a loro, su un cavallo scuro, un uomo dai lunghi capelli bianchi e la voce possente dà inizio all'avanzata.

Neith. Non può che essere lui.

I druidi che mi guidano superano velocemente la colonna di uomini e affiancano la cavalcatura del condottiero. A distanza così ravvicinata la sua presenza incute ancora più timore.

Non riesco a trattenere un sussulto quando si volta verso di me. I suoi occhi sono completamente bianchi, fatto salvo per le pupille.

Con un ghigno dice qualcosa nella sua lingua, poi mi carica a cavallo, tra le sue gambe, e riprende la marcia.

Maledizione!

L'esercito procede velocemente tra campi e boschi, nonostante siano tutti a piedi.

Cavalcare per ore alla mercé di questo dio barbaro è forse meno disgustoso che essere tenuta in spalla da un Fomoraig, ma non meno inquietante.

E sempre più inquietante è l'ormai certezza che non è un caso se costui mi sta portando personalmente con sé e nessun altro tributo era presente a bordo.

Non può permettersi che io non fugga.

Forse Alexandros si sbaglia. Non è solo a lui che darebbero la caccia.

Se mi ritengono così importante, può esserci solo Kronos dietro tutto questo.

A metà del pomeriggio arriviamo in prossimità di un grosso villaggio fortificato.

Veloce e silenziosa, l'avanguardia dei druidi si dispone a cerchio tra i fitti alberi e comincia ad intonare un canto, basso e monotono.

Ogni altro suono si spegne. Persino le foglie degli alberi restano immobili in maniera innaturale.

Poi, dal terreno, si alza una fitta nebbia che circonda il villaggio e lo inghiotte.

Ad un cenno del capo da parte di Neith, i Fomoraig, armati fino ai denti, partono alla carica lanciando un grido di battaglia che scuote persino le rocce. Riversano sulle mura tutta la forza e la rabbia di cui sono fatti. Il rumore dell'impatto è assordante.

Grida di terrore si levano dal villaggio per trasformarsi in urla di dolore strazianti nel giro di pochi attimi.

I Fomoraig rimangono all'interno del villaggio per quello che mi sembra un tempo infinito. I druidi restano fuori con le spade sguainate, finendo i pochi sventurati che riescono a fuggire dalla carneficina.

E' uno spettacolo raccapricciante e crudele di cui non riesco a sopportare la vista, ma che al tempo stesso mi lascia troppo sconvolta per riuscire a chiudere gli occhi, a tapparmi le orecchie. Come se fossi ipnotizzata.

Neith osserva compiaciuto il massacro. Parla, e non so se si stia rivolgendo a me o a se stesso, ma qualsiasi sua parola per me incomprensibile, ogni suo gesto, ogni dettaglio di lui ispira malvagità.

Il colpo di grazia arriva quando la nebbia infine si dirada, rivelando l'armata di Fomoraig, di ritorno con macabri trofei. Sul grigio dei loro corpi massicci, la maschera rosso scuro che campeggia attorno alla loro bocca e sulle loro mani mi provoca un conato.

Non è un incubo, qualcosa da cui poter sfuggire svegliandosi.

Questo è quanto l'esercito di Neith è in grado di fare. E' la piaga che ha intenzione di spargere per soggiogare fino all'ultimo essere vivente.

Non posso evitare di richiamare alla mente l'immagine del combattimento di Alexandros nell'arena.

Istintivamente faccio vagare lo sguardo tra i guerrieri attorno a noi. 

Lui è lì, in prima fila, immobile come una statua. E con la lama sporca di sangue.

Non può averlo fatto sul serio.

La vista mi si appanna attraverso il velo di lacrime che stento a trattenere.

Neith grida l'ennesimo ordine ai Fomoraig che, obbedienti, ammassano sacchi di provviste saccheggiate. Nel frattempo i druidi si sparpagliano a raccogliere legna per i fuochi da campo.

Con poca grazia vengo fatta smontare da cavallo e legata ad un enorme albero, sotto la sorveglianza di un Fomoraig. Non riuscirei comunque a fuggire. Quello che ho visto oggi mi ha prostrato.

Quando il sole tramonta, il fuoco è già acceso e il rancio distribuito. Così, mentre i corvi banchettano con i cadaveri straziati a pochi metri da noi, l'esercito gozzoviglia con i frutti del loro lavoro.

Uno dei druidi mi slega i polsi e lascia accanto a me una ciotola di zuppa fumante.

Volto la testa di lato, disgustata, ma lui non sembra offendersi. Controlla che la corda che assicura la mia vita all'albero sia ben annodata e poi torna a sedersi con gli altri, seguito dal Fomoraig che continua ad osservarmi da poco lontano.

"Devi mangiare."

Una voce che conosco bene bisbiglia da dietro l'albero.

"E' sporco di sangue innocente, non mi macchierò le mani anch'io" ribatto cupa.

Alexandros rimane in silenzio per un po'.

"Non avevo scelta. Ho solo potuto limitarmi ad un atto di pietà per chi era condannato a qualcosa di peggio" si giustifica infine.

Dopo quello che ho visto fare da quei mostri, so che ha ragione. Erano tornati con in mano teste e arti delle loro vittime e ne avevano fatto la loro cena. 

Il pensiero rischia di farmi stare male di nuovo. Non riesco a tollerare che Alexandros possa essere stato complice di tutto questo.

"Dunque è questo che continuerai a fare, rimanendo qui?"

E' difficile non riempire di veleno ogni parola.

"Non rimarrò a lungo. Ti raggiungerò appena sarà... sicuro fuggire. Prima dobbiamo pensare a te."

"A quanto pare il vostro sovrano non ha intenzione di perdermi d'occhio" mugugno scettica.

"No, ma più ci avviciniamo alla meta e più lui verrà coinvolto nelle battaglie stesse. Nella confusione sarà più facile eliminare chiunque ti sorvegli."

"Quale meta?"

Alexandros sospira.

"L'Ellade."

"Che cosa?!" 

L'esclamazione mi esce prima che io possa tenere sotto controllo il tono della mia voce.

Il Fomoraig si volta di scatto verso di me. Allungo la mano sulla ciotola, come se l'avessi appena posata, e fingo di tossire.

"Sì, Neith ha deciso di marciare fin lì e conquistarla. Arriverà lo scontro in cui deciderà di scendere in campo. Quando ti lascerà giù, tieniti pronta a scappare più lontano che puoi, appena avrò abbattuto la guardia. Cerca rifugio dove vuoi, ma non rimanere in Ellade."

Se pensa che io riesca a pensare alla mia salvezza mentre un folle progetta di seminare l'orrore nella mia terra, non ha capito nulla di me.

"Zeus gli non permetterà di entrare nel suo regno. Devo correre a casa e mettere in allarme i sacerdoti. Slegami."

Ma Alexandros non si muove.

"Ce ne sono troppi di guardia, non andresti lontano. E non sai da che parte dirigerti. Dovrai aspettare il momento più opportuno. Nel frattempo mangia, altrimenti non avrai neppure le forze per rivederla, l'Ellade."

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