Capitolo 41
Navighiamo già da sette giorni.
Sette giorni al ritmo dei rematori, alternati da violenti temporali e mare grosso.
Sono uscita all'aria aperta solo due volte, poco prima dell'alba e sempre scortata. Poter finalmente respirare a pieni polmoni l'aria salmastra ha dato una breve tregua al mio stomaco. Con l'acqua piovana raccolta sono riuscita persino a lavare via in parte l'odore della mia reclusione.
Non so se queste concessioni siano frutto dell'intercessione di Alexandros. E' probabile di no.
Non lo vedo dall'inizio del viaggio, quando mi ha curato.
Mi aveva avvertito che non avrebbe potuto avvicinarsi a me per un po', per non dare nell'occhio, ma la sua assenza inizia a pesare.
L'unica compagnia sotto coperta sono i canti dei rematori e il vociare rozzo dei bellicosi Fomoraig che fa da sfondo alle ore infernali che si susseguono tra un conato e l'altro.
Quando la mia pancia è troppo vuota per rimettere, passo il tempo sdraiata, puntellandomi dove posso per non rotolare contro le sbarre della mia cella ad ogni ondata.
Mi chiedo quanto manchi all'arrivo, ovunque esso sia.
Alexandros ha parlato di una guerra di conquista sulla terraferma, ma non ha detto altro. O forse mi ero già addormentata.
L'ottavo giorno di navigazione il mare è insolitamente tranquillo. Sulla nave, invece, regna l'agitazione.
I generali gridano ordini senza sosta, i vogatori accelerano il tempo dei loro remi.
Anche così, la nave sembra fare fatica ad avanzare, mentre io, finalmente, riesco a mangiare e riposare come se non dormissi da anni.
Dev'essere notte fonda quando le manovre finiscono e mi sveglio in un silenzio surreale. Persino lo sciacquio delle onde è a malapena udibile.
Siamo in porto?
E' buio pesto qui sotto.
Studio a tastoni le sbarre della cella nella speranza di trovare un punto debole, ma il rumore che producono quando tento di smuoverle è sufficiente da rischiare di svegliare l'intero equipaggio.
Maledico la mia idea appena vedo una debole luce avvicinarsi dal fondo. Devo aver messo in allarme le guardie.
Scivolo silenziosamente fino alla parete di legno e fingo di dormire.
"Alyssa."
Alexandros bisbiglia il mio nome attraverso le sbarre.
Mi rialzo prontamente.
"Pensavo fossero le guardie. Come hai fatto ad eluderle?"
La felicità nella mia voce dev'essere evidente, nonostante i sussurri.
"Diciamo che quei bravi ragazzi avevano decisamente bisogno di un po' di riposo" mi risponde con un sorriso enigmatico.
"Siamo già arrivati alla terraferma?"
Ho veramente troppe domande nella testa per trattenermi dal sommergerlo.
"Sì, stiamo risalendo un fiume per addentrarci il più possibile, ma ci siamo fermati in un'insenatura per la notte."
Posando la lanterna a terra, avvicina all'apertura un contenitore di legno da cui prende, con uno straccio, una sostanza bianca e grassa e la strofina sui cardini e sulla barra di chiusura.
Poi, senza fare rumore, apre la cella ed entra tirandosi dietro una sacca.
"Non... non stiamo andando via?" chiedo perplessa.
Alexandros scuote la testa.
"Ci sono troppe guardie di sopra e troppi Fomoraig ancora svegli in giro."
Inginocchiato a terra, inizia ad estrarre un piccolo otre, un panno e degli abiti da uomo.
"Tieni, avrai voglia di lavarti suppongo" spiega, allungandomi i primi due.
"In realtà avrei più voglia di fare un tuffo nel fiume..." protesto, ma vedendo il suo sguardo di ammonizione, decido di non essere scortese "...però visto che sei stato così gentile, accetterò l'offerta."
Lui mi volta le spalle e mi risponde, in attesa che io finisca di rinfrescarmi.
"Pazienta ancora un po'. Giuro che ti farò fuggire da qui. A quel punto dovrai correre più lontano che puoi. Prima di scendere dalla nave indossa i vestiti e l'otre che ti ho portato sotto il tuo abito. Ti faciliteranno il viaggio."
So che non può vedermi, ma sollevo ugualmente la testa per guardarlo, contrariata.
Con le gambe un po' allargate e ben piantate a terra e le braccia conserte, è la personificazione della cocciutaggine.
"Non me ne vado da sola."
"Mi sembrava di averti già spiegato che è troppo rischioso." La sua replica è secca.
"In due abbiamo maggiori probabilità di riuscire a seminarli e sopravvivere."
Visti i trascorsi, questa argomentazione è poco convincente, ma non so a cos'altro appellarmi per farlo ragionare. Non posso dirgli che se non verrà con me in Ellade, perderò sia lui che la mia libertà.
Un'ombra di sospetto e sfiducia cadrebbe su qualsiasi cosa sia successa, su ogni parola, sull'unico bacio che ci siamo rubati.
Si ritrarrebbe ancora di più, lo perderei.
"Alyssa, se resto posso in qualche modo coprire la tua fuga, depistarli. Potrebbero persino rinunciare ad inseguirti. Non so perché Neith ti abbia fatto portare con sé, ma suppongo sia solo il suo regalo per Stariat. Se io fuggo con te..."
Si ferma. Lo vedo alzare la testa e sospirare prima di proseguire.
"...vuol dire attirare la sua ira. Ci inseguirà senza tregua e ti assicuro che ci troverà, come mi hanno trovato la prima volta che mi hanno catturato. Io posso cavarmela da solo qui, finché so che sei al sicuro."
Deglutisco a vuoto.
A quanto pare non c'è via d'uscita.
In entrambi i casi sono in trappola. Io non avrò scampo da Kronos, ma posso decidere di non trascinare nei guai anche Alexandros.
Abbasso la testa, rassegnata. Il maledetto dio del tempo ha giocato sul suo terreno e ha vinto alla fine. Avrà comunque ciò che vuole.
O forse no.
Lascio a terra l'abito che stavo per indossare di nuovo e mi avvicino con passi timidi ed insicuri ad Alexandros. Quando lo abbraccio all'altezza della vita, lo sento irrigidirsi.
"Sai che potremmo non ritrovarci più, vero?" mormoro contro la sua schiena. Rimanere così vicina a lui mi aiuta un po' a superare l'imbarazzo.
Le sue dita si intrecciano alle mie.
"Ti prometto che ti ritroverò. D'altronde sai che non riesco a starti lontano. Ti ho fiutato prima ancora che mettessi piede su Dùn Dùchathair" ridacchia.
Lentamente guido le sue mani dietro la schiena fino a poggiarle sui miei fianchi.
"Che cos..." protesta.
"Ssshh."
Non potrei tollerare alcun pensiero razionale in questo momento.
Lascio scivolare le mie dita in avanti, sollevando lentamente la sua tunica blu e risalendo il solido torace con carezze leggere. Posso sentire il suo battito accelerare.
Di scatto le sue mani bloccano le mie.
"Alyssa, non possiamo. Non qui, non ora."
"Se facciamo come dici tu, potrebbe non esserci un altro qui e ora."
"Ci sarà, te l'ho detto. E non sarà nella squallida cella di una nave da guerra" ribatte. Poi si volta cercando di distogliere lo sguardo dal mio corpo nudo.
Appoggia la fronte alla mia, strofinando il naso contro il mio e sospirando. E' l'unico contatto fisico che abbiamo, eppure è più intimo di un abbraccio, al punto che tremo. Infine porta le mie mani alle labbra e sussurra languido tra le dita.
"Sarà in un posto bellissimo, pieno di alberi. Liberi e al riparo da tutto. Costruirò una casa degna di te e ti amerò tutte le notti. Ma non potrà succedere finché avremo Neith alle calcagna. Lascia che me ne occupi sapendoti lontana dal pericolo."
Vorrei piangere.
Vorrei aggrapparmi a lui e impedirgli di separarsi da me per tutta la vita.
Vorrei sfogarmi e singhiozzare fino a non avere più forze.
So bene che non servirebbe a nulla. Non è così che fermerò Kronos.
Lentamente sposto le mani dal suo viso per sostituirle con le mie labbra e trovare sollievo. Le sue mi accolgono con una dolcezza infinita, morbide e ammalianti. La sua lingua mi sfiora delicatamente, sforzandosi di trattenere la passione di cui sento già bruciare la sua pelle.
Istintivamente gli accarezzo il collo, fino a scendere sul suo petto liscio e caldo. Lui si ritrae, gli occhi serrati.
"Se fai così diventa difficile."
"Alexandros."
Forse è il tono profondo o forse è solo per riflesso che li riapre e mi guarda.
"Non mi importa dove siamo. Non la vedo neanche, la cella. Vedo solo te. E non so quando potrò vederti ancora, dopo stanotte."
Lo fisso con occhi imploranti.
Per parecchi istanti il tempo sembra fermarsi.
Poi, con gli occhi chiusi, Alexandros intreccia le sue dita nei miei capelli, dietro la nuca, e mi attira a sé. I suoi baci diventano più esigenti, il respiro ansimante, le sue braccia mi sollevano permettendomi di avvinghiare le gambe dietro la sua schiena.
Ci fermiamo qualche attimo solo quando mi adagia a terra per spogliarsi.
La luce della lanterna crea giochi di ombre sul suo corpo statuario che ne mettono in risalto la muscolatura armoniosa. La perfezione della sua pelle bianca è macchiata da diverse cicatrici.
Non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua bellezza straniera.
I suoi occhi di ghiaccio mi inchiodano a terra prima ancora che lo faccia il suo peso, la sua bocca e le sue mani sembrano aver vinto qualsiasi remora le tenesse imbrigliate.
Un'ondata di calore febbricitante mi attraversa appena la sua pelle aderisce alla mia. Alexandros reclama ogni parte di me con vigore e tenerezza, dissipa i miei timori quando cerco rifugio nell'incavo del suo collo, mentre tutto diventa suo e l'unione rapisce i nostri sensi.
E ancora una volta sprofondo in lui, nel suo abisso, dove il suo mostro interiore mi aspetta.
Ne percepisco non solo la fame, ma anche la mortificazione, mutilazione, rabbia per la libertà negata, bisogno di sentirsi completo.
Le sue emozioni sono violente, ma ora non ho paura. Sono io che l'ho cercato.
Mi chiama, come Alexandros mi chiamava in sogno.
Sono qui per dargli ciò di cui ha bisogno.
Perché c'è qualcosa che ha sempre voluto da me. E adesso so cos'è.
Evoco dentro di me quella sfera di energia che mi ha quasi ucciso, e lascio che crepiti leggermente sulle mie dita.
Coraggio, vieni a prenderlo. Ora è tuo.
Lo sento avvicinarsi e avvolgermi. Quella che credevo essere una creatura marina, è in realtà qualcosa di indefinito, senza forma fissa.
Cerco di ricordare la formula usata da Kronos alla Casa del Tempo.
La Grande Madre e il Cielo mi siano testimoni che ho donato il mio cuore, la mia anima e il mio corpo ad Alexandros e che il potere con cui sono nata è ora suo di diritto.
Prima che possa rendermene conto, la creatura sale lungo le mie gambe, l'addome, le spalle.
Il terrore mi assale quando raggiunge il collo e si chiude attorno alla mia testa. Sono convinta che soffocherò, tutto diventa nero e mi attira sempre più giù...
L'aria invade i miei polmoni all'improvviso, mi colpisce con l'odore stantio della stiva. Mi sento leggera e senza forze.
Apro gli occhi per ritrovarmi ancora stretta nell'abbraccio di Alexandros. Come se non fosse accaduto nulla.
"Stai bene?" sussurra al mio orecchio.
"Sì, sto bene. Tu...come ti senti?"
Lui sorride, seducente.
"Come se per la prima volta avessi soddisfatto la mia fame di te."
Mi bacia ancora a lungo, con passione, prima di sdraiarsi alle mie spalle e chiudermi tra le sue braccia.
In breve il suo respiro si fa pesante e la sua presa su di me si allenta.
Mi volto a guardarlo. Anche nel sonno è bello come un dio.
Penso che lo ricorderò così, quando Kronos verrà a portarmi via.
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