Capitolo 39 - Ω NEITH Ω (parte 1)
Stariat era finalmente approdato su Dùn Dùchathair.
Dopo aver fatto rapporto a suo padre, consegnando le ultime reclute rastrellate su Hibernia, era sceso nel cortile interno del forte per supervisionare personalmente gli ultimi preparativi.
Ora nulla tratteneva Neith dal dare inizio alla sua guerra di conquista.
Nemmeno quello sciocco druido che aveva tentato di rapire lo speciale tributo inviato da Kronos.
Nonostante i contatti limitati alla consegna del pasto, doveva essersi invaghito di quella ragazza alla follia per trasgredire così le sue regole.
In qualche modo Neith riusciva a capirlo.
Certi ricordi erano difficili da sotterrare, continuavano ad ardere sottopelle come braci finché un tizzone non tornava a ravvivarle.
E questa volta si sarebbero trasformate in un vero e proprio incendio.
Era evidente che l'Ellade nascondeva anche questo genere di irresistibili ricchezze, oltre a quelle decantate dal dio straniero.
Il fatto che comprendesse le debolezze del suo soldato non significava, però, che sarebbero rimaste impunite.
Non poteva permettersi altri atti di insubordinazione, non adesso che l'unico scopo del suo esercito doveva essere l'invasione delle terre oltre Hibernia.
Uno dei druidi più giovani entrò silenziosamente nella sala, inchinandosi.
"Il tributo è stato caricato a bordo, Signore. La sua cella è in fondo alla stiva, come richiesto."
Neith annuì, ma la sua attenzione si era già spostata sul terzetto che avanzava dal fondo del corridoio.
Il reo zoppicava leggermente ed era scortato da due guardie, anche se non dava cenno di voler fuggire.
"Avvicinati" ordinò, gesticolando alle guardie di lasciarli soli.
Il druido-guerriero si presentò impassibile al suo cospetto, nonostante gli evidenti segni di combattimento parlassero per lui.
Sanguinava ancora da uno zigomo e da diverse ampie escoriazioni lungo le braccia, mentre le sue vesti erano sporche di terra e sangue ovunque.
Lo sguardo di Neith cadde sulla gamba ferita. Attraverso la stoffa lacera si intravedeva una corona di profondi buchi nella carne.
Fu compiaciuto nel constatare che la brutalità dei suoi Fomoraig non si era per nulla affievolita, al contrario: chiusi nelle profondità dei sotterranei, era stata covata e fomentata in attesa di poter esplodere.
Il disertore rimaneva in attesa, impostato e impeccabile, come se il dolore non lo scalfisse minimamente, indice che alle spalle doveva avere parecchi anni di addestramento al forte.
Ben diverso dall'ingenua recluta che aveva immaginato il dio.
Era un druido come tutti gli altri, con i capelli chiarissimi e gli occhi di ghiaccio tipici dei guerrieri figli di Neith.
Il suo marchio era inconfondibile.
Sarebbe bastato questo a Morrigan e ai generali per scovare la sua progenie in ogni angolo di Hibernia, senza neppure il bisogno di seguire la traccia divina.
Il dio socchiuse gli occhi, in cerca di un'aura di potere in quel figlio disobbediente, ma rimase deluso nello scoprire che il ragazzo ne era completamente sprovvisto.
In lui regnava solo il buio, una tenebra imperscrutabile, come se il suo interno fosse fatto di nulla.
Un druido persino meno dotato di tutti gli altri. Totalmente inutile. Non aveva speranze. Perché rischiare allora?
"Conosci le regole del forte, soldato?"
Inizialmente non aveva previsto l'interrogatorio.
Adesso, però, quell'inconveniente che aveva messo in pericolo il suo piano cominciava ad assumere un'altra connotazione.
Nessuno tentava la fuga da Dùn Dùchathair, specialmente i veterani. Le conseguenze ed il regime di terrore che vigeva sull'isola erano deterrenti tali da far dormire a Neith sonni tranquilli. Almeno fino ad ora.
"Sì, mio Signore." La voce del druido era neutra e calma.
"E conosci le conseguenze per il tuo gesto?" incalzò il dio, inarcando scettico un sopracciglio.
Per quanto la straniera potesse risultare attraente agli occhi del guerriero, non poteva credere che fosse un tale stolto da mettere a repentaglio la sua vita.
"Sì, mio Signore, conosco le conseguenze."
Neith non poteva credere alle proprie orecchie.
"Perché, dunque?" chiese.
Si accomodò sul trono di pietra alle sue spalle, appoggiando pigramente il mento su una mano.
"Perché ho perso la testa. Ero affascinato dall'aspetto forestiero della prigioniera. Non avevo mai visto niente del genere e lo volevo solo per me."
La risposta fu immediata, come se l'avesse preparata da tempo. Eppure non era una menzogna. Neith riusciva a percepire chiaramente la verità nella confessione del suo tradimento.
"I tributi sono destinati a me o ai generali per assicurare la sopravvivenza di una classe dominante che governi Hibernia e le terre conquistate. Non posso permettere che vengano impregnati da soldati deboli e senza poteri come te" chiarì senza mezzi termini.
Si alzò, meditando ad alta voce mentre passeggiava avanti e indietro.
"Hai a tutti gli effetti contravvenuto i miei ordini. Dovrei ucciderti per questo."
Il pensiero che uno dei suoi figli anteponesse i propri desideri alla cieca fedeltà verso di lui e volesse deliberatamente sottrarre qualcosa che gli apparteneva nonostante i rischi, lo fomentò.
Se non poteva fidarsi del druido lì al forte, non poteva farlo nemmeno sul campo di battaglia.
Senza alcun valore aggiunto per il suo esercito, non c'erano scusanti che lo potessero salvare, neppure il fatto che fosse un'unità in più nelle sue file.
Sfoderò lentamente la sua spada, soppesandola come se volesse valutarne l'efficacia per il suo scopo.
"Sei un essere inutile."
L'arma si sollevò dalle sue mani, fluttuando lentamente fino alla gola del druido dove si fermò, in attesa di ordini dal suo padrone.
"Hai paura di morire, soldato?"
Quelle labbra inespressive non si mossero, mentre il suo sguardo indugiò solo un istante sull'arma puntata poco sotto il suo mento.
Neith non si aspettava neanche una risposta, non ne aveva bisogno. Sapeva benissimo cosa provava qualsiasi uomo davanti ad una sua condanna a morte.
Quando chiuse gli occhi, la spada si mosse al suo comando, impartito senza parole.
Indietreggiò quel tanto che bastava per dare forza al colpo, per renderlo fatale.
La tensione tra Neith e la sua fedele lama fu improvvisamente interrotta.
Il dio non sentì più la sua arma. Era sparita dalla sua mente, dalle sue percezioni, inghiottita da una presenza estranea che sembrava richiamare a sé anche la sua forza, come un gorgo d'acqua.
Riaprì gli occhi, incredulo.
La spada era ancora lì, ma rivolta verso di lui e saldamente in mano al druido, i cui occhi di ghiaccio erano quasi febbricitanti.
In preda ad una inspiegabile follia che sembrava avergli fatto dimenticare persino il dolore alla gamba, partì alla carica e attaccò Neith.
Lo sbigottimento del dio durò solo un attimo, prima di mandare a sbattere il suo aggressore contro la parete con un gesto della mano.
Non aveva avuto bisogno neanche di toccarlo, eppure rompere quel contatto invisibile risultava difficile, appiccicoso come la resina degli alberi.
Il druido si rialzò a fatica, facendo leva sulla gamba sana.
Neith anticipò il secondo attacco bloccandolo sul posto.
Forte della sua posizione, si avvicinò a lui fino a costringerlo ad alzare il volto per poterlo guardare.
Adesso riusciva a sentirlo persino sulla pelle quel vortice che tentava disperatamente di risucchiarlo, di prendersi le sue forze.
Era oscuro e agitato al pari delle tempeste che imperversavano su Dùn Dùchathair.
E non aveva nulla di umano, come non lo era la bramosia che traboccava dai suoi occhi.
Non poteva lasciarlo vivere.
Allungò la mano per stringerla attorno al collo del druido.
Quando le sue dita toccarono la pelle, però, non trovarono nulla a fermare la loro corsa. Attraversarono una cortina di fumo che avvolse l'intera stanza fino a farla sparire.
Al suo posto, davanti a sé, vide solo una massa nera, viscida ed informe, che si trascinava faticosamente.
Osservandola, Neith notò due lucidi occhi scuri che mutavano posizione col movimento.
La creatura si affannava per creare una forma che le permettesse di ergersi di fronte a Neith, ma crollava continuamente su se stessa tra ringhi e lamenti, rendendo penosa la scena.
Qualunque cosa fosse, possedeva la resistenza e l'aggressività che il dio guerriero amava vedere nei suoi soldati sul campo di battaglia. Un essere delle tenebre così combattivo sarebbe stato più adatto al suo esercito piuttosto che relegato nell'oblio, ridotto all'impotenza.
Si avvicinò lentamente, parlando con voce ferma e rassicurante.
"Vieni qui."
La creatura rimase al suo posto, i suoi occhi fissi a studiarlo.
Neith avanzò ancora di una passo, fermandosi appena la massa nera indietreggiò per difendersi.
"Non voglio farti del male. Io posso aiutarti."
L'essere smise di allontanarsi, ma continuò a controllare le sue mosse. In una lenta danza di accostamento Neith riuscì a portarsi così vicino da poterlo, infine, toccare.
Contrariamente a quanto aveva immaginato, non era spesso e colloso come aveva immaginato.
La parte del corpo sotto la sua mano divenne dapprima trasparente, poi bianca come la sua pelle, fondendosi con lui.
Erano fatti della stessa sostanza.
Solo...
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