Capitolo 27-ΩALEXANDROSΩ

Morrigan era in mezzo a loro. Riusciva a percepirne la presenza oscura, forte, guerrafondaia.
Un vortice di potere senza sosta, con una sua identità ben definita.
Aveva un colore, una consistenza, un odore persino.
Quello della morte e del guano dei suoi maledetti pennuti.
Di fronte ad esso quel mostro che gli si agitava dentro digrignava rabbiosamente, ma non scalpitava per attaccare.
Era ben altro ciò che da ore lo scatenava.

I tributi che arrivavano ogni anno erano carne da macello, comuni esseri umani di nessun interesse se non quello strettamente legato all'uso che se ne faceva.
Aveva ormai perso il conto di quanti ne erano passati da lì e benché la vista di quella tratta suscitasse in lui ogni volta un moto di insurrezione, le spietate regole della sopravvivenza lo riconducevano inevitabilmente ad una primordiale filosofia.

La selezione naturale faceva sì che le ragazze più forti sopravvivessero al loro compito e continuassero a servire finché la stanchezza e le condizioni di vita non le spegnevano prematuramente.
A quel punto raggiungevano tutte le altre.
Era un destino già scritto.

Alexandros si teneva lontano da tutto questo.
La sofferenza altrui si sarebbe solamente aggiunta al suo già costante tormento, e questo non lo avrebbe di certo aiutato.
I tributi erano un argomento di cui avrebbe preferito non sentir nemmeno parlare.

Questa volta, però, era diverso.
Questa volta la sua fame si era accesa. Aveva fiutato qualcosa nel gruppetto approdato a Dùn Dùchathair.
E quel qualcosa aveva le fattezze di una giovane straniera la cui pelle color miele parlava di una terra calda.
Ma soprattutto parlava una lingua che lui, e lui solo lì in Hibernia, poteva capire.
Quella di sua madre.

Ascoltarla di nuovo, attraverso la voce dolce e limpida della ragazza dagli occhi d'ambra, lo aveva catapultato indietro di parecchi anni in un lampo.
I boschi oltre il mare, un tappeto di foglie autunnali, il canto della buonanotte.
E poi lei, sua madre. Forte, bellissima, saggia.

Da piccolo la seguiva trotterellando e giocando a nascondersi dietro la sua lunga veste bianca. Non capiva come mai la mamma non sentisse freddo con quell'abito leggero e svolazzante.
Al contrario, la sua pelle calda e profumata era un rifugio sicuro per lui che, nonostante gli abiti di pelliccia, tremava come un uccellino nelle notti passate nella grotta che era la loro casa.

Crescendo, gli aveva insegnato a procurarsi cibo, fabbricarsi abiti caldi, parlare la lingua di Hibernia e, infine, combattere.
Sua madre era stata il miglior maestro d'arme che avesse mai avuto.
Neppure i generali di Neith sarebbero stati in grado di eguagliarla.

Poi, una notte, era sparita.
Alexandros ricordava ancora il sogno che lo aveva accompagnato fino al mattino, quando si era accorto di essere rimasto solo.
Aveva sognato una civetta dagli occhi blu, come quelli di sua madre.
Il piccolo rapace aveva parlato con voce umana e lo aveva indirizzato ad un villaggio sulla costa.

Una volta sveglio, Alexandros era rimasto rintanato nella grotta e nella sua disperazione per parecchi giorni, prima di decidersi  a seguire le indicazioni della civetta che, a quel punto, aveva stabilito essere necessariamente sua madre.
Aveva tredici anni quando entrò in contatto per la prima volta con altri esseri umani.
E quando, per la prima volta, il suo altro io aveva iniziato ad agitarsi, mutilato e affamato.

I suoi ricordi si interruppero allo scemare del canto che lui e gli altri druidi-guerrieri stavano intonando all'insaziabile dea.
Il cerchio di energia e di potere si dissolse.
Lentamente si avviarono fuori dalla stanza, in fila, e raggiunsero la sala comune.

Era lo spazio più grande dell'intera fortezza, percorso in tutta la sua lunghezza da una decina di file di massicci tavoli di legno dal profilo irregolare, a cui sedevano già la maggior parte dei druidi-guerrieri di Neith.

In fondo alla sala, gli ultimi arrivati attendevano che i tributi servissero loro la zuppa contenuta nei calderoni.
Alexandros riconobbe una delle ragazze arrivate due giorni prima.
Era affiancata da un tributo più esperto che le dava istruzioni nelle pause del suo andirivieni dalle cucine.

Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che la straniera non era lì.
Era probabile che l'avrebbero tenuta sottochiave fino al ritorno di Stariat, a cui era stata assegnata.
Non potevano permettere che il tributo di uno dei generali più influenti si rovinasse prima dell'arrivo del suo nuovo padrone.

In attesa del suo turno, l'immagine perversa di sua madre nelle grinfie di Stariat si formò nella sua mente, facendogli ribollire il sangue.
No, non avrebbero mai osato profanare sua madre, lei non gliel'avrebbe permesso. Sarebbero morti prima ancora di avvicinarsi a lei.

La ragazza ora di fronte a lui riempì una ciotola di liquido bollente e gliela offrì tremante.
Alexandros non poté sottrarsi a quell'ondata di paura che proveniva dalla nuova arrivata.
Si affrettò quindi a trovare un posto a sedere il più lontano possibile.

La sua testa, complice la stanchezza per il rituale appena svolto, era ormai un mulinello in cui l'immagine di sua madre, della straniera e del tributo impaurito si mescolavano, confondendo il suo demone interiore e alimentandone la rabbia.

Affondò le mani nei capelli nel disperato tentativo di contenere quella miscela esplosiva che rischiava di farlo impazzire definitivamente.
Ma qualsiasi sforzo di vincere la sua personale battaglia con se stesso fu vano.

Prima che potesse rendersene conto, era già in marcia verso le prigioni con la ciotola piena in mano.

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Ciao a tutti!
Entriamo un po' nella testa e nel passato di Alexandros, il personaggio rimasto sconosciuto finora.
La sua rabbia nasconde più di quanto si creda...
Buona settimana!

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