Capitolo 26
Non so che ora sia quando la tempesta inizia ad abbattersi su Dùn Dùchathair.
Fuori è buio, ma se anche fosse l'alba, le pesanti nuvole nere non le permetterebbero di mostrarsi.
Gli dei qui si scatenano con una violenza mai vista.
Il cielo e il mare sembrano sferrare un attacco congiunto a questo luogo maledetto.
La pioggia raggiunge l'interno della cella attraverso la stretta feritoia, accompagnata da un vento inarrestabile che si incanala sotto la porta e nel corridoio e mi costringe a rannicchiarmi in un angolo per non esserne travolta.
Col passare dei minuti il suo ululato diventa quasi assordante, mentre il legno della porta scricchiola come se minacciasse di esplodere in mille schegge da un momento all'altro.
Premo le mani contro le orecchie, chiudendo gli occhi.
Come sono finita qui? Perché?
Lo strato cristallino del mio sogno si è dissolto rivelando un cuore di fango dal quale ora non riesco ad uscire.
Era tutto finto, una spietata illusione.
Cerco di combattere il senso di vuoto che si espande inesorabilmente dentro di me. Lo sento salire dalle viscere e fatico a contrastarlo quando minaccia di togliermi anche il fiato. Alla fine vince il suo assedio, lasciandomi senza forze e senza difese.
Le lacrime che ho tenuto a freno finora non trovano più alcuna resistenza da punzecchiare.
Davanti ai miei occhi non c'è solo l'immagine di un uomo, la cui anima credevo fosse legata alla mia, che ora mi respinge, facendo franare il terreno sotto i miei piedi e cancellando ogni mia convinzione.
Ad essa si mescolano la nostalgia e i ricordi dell'Arkadia, del tempio di Athena, del calore della mia terra, del sole che abbraccia le colline, del mio girovagare libera.
Perché in fondo lo ero, nonostante la schiavitù dell'ignoranza, della mia condizione, delle regole degli Olimpici e della società.
Il viaggio intrapreso fin qui mi ha dimostrato qualcosa che non riuscivo a vedere, accecata com'ero dalle mie, ora lo so, ossessioni.
Ero libera ed ero in grado di esserlo.
Solo che non ne avevo il coraggio, fino a quando...
Quel sogno, che si è rivelato una chimera, mi ha trainato.
Mi ci sono aggrappata, come un'ancora.
E per questo fa ancora più male adesso.
Non è solo quel sentimento assoluto che nutrivo ad essere ferito ora.
Laggiù, in fondo, dove nasce quella carica azzurrina a cui non posso fare appello, il mio orgoglio ruggisce leccandosi le ferite.
Per questo vorrei mettere a tacere definitivamente pensieri che continuano a rimbalzare nella mia mente.
Essi suonano ormai come vuote scuse per giustificare il mio comportamento.
Demetrios lo aveva messo in discussione; la mia strada è stata piena di segnali a cui avrei dovuto dare ascolto.
Non l'ho mai fatto.
Eppure non può essere frutto dell'orgoglio se un uomo che non conosco si manifesta nei miei sogni e se è proprio qui che lo trovo. Aiutata da...
Kronos.
Non può essere una coincidenza.
Tra le lacrime ho persino rimpianto il suo bacio e tutto ciò che in esso era riuscito a racchiudere. Qualcosa che avrei voluto trovare nello straniero di Dùn Dùchathair, al posto del suo micidiale gelo.
Ma adesso il dubbio che ogni cosa sia parte di un piano ben congegnato da anni è agghiacciante.
Come può aver ordito una cosa del genere?
Fisso le mie dita infreddolite.
Quello che vuole Kronos deve valere molto più di quanto pensassi, se ha veramente architettato un piano così articolato per ottenerlo.
Ma perché non se l'è preso con la forza?
Avrebbe potuto uccidermi facilmente.
Invece ha fatto in modo che io credessi a qualcosa che in realtà non esiste.
E lo straniero...
Lascio cadere lentamente la testa sulle ginocchia.
Dentro regna la confusione.
O forse è il delirio di una folle visionaria rinchiusa in una cella isolata, senza speranza di uscirne.
Dalla grata della feritoia una pallida luce inizia a riempire l'aria.
La tempesta sembra aver sfogato la sua rabbia, ma la pioggia continua a cadere.
La mia cella si affaccia sulla scogliera.
I lastroni di pietra scura su cui sorge la fortezza mi sono familiari.
E' lui che me li ha mostrati.
Mi ha preso in giro.
Fin dall'inizio.
E' una consapevolezza difficile da accettare, oltre che da contenere.
Mi aggrappo alle sbarre e grido con tutta la voce e le energie che mi sono rimaste, scagliando verso il mare rabbia e frustrazione, finché la stanchezza mi costringe a cercare il sostegno della parete, e a sedermi nuovamente.
Anche se non so come, non gli permetterò di vincere un gioco di cui lui stesso ha creato le regole.
Non finirò schiava di Kronos.
In questo vortice che mi sta trascinando giù, questa è l'unica certezza che mi è rimasta e alla quale devo tenermi ben salda.
La luce azzurrina torna a scaldare le punte delle mie dita.
***
Ciao a tutti!
Capitolo di riflessione per Alyssa, non solo sulla sua situazione ma anche su tutto il percorso che l'ha portata fin qui.
Ma i pensieri che nascono da certi contesti possono essere pericolosi e la verità non è sempre ciò che sembra...
E adesso lascio riflettere voi!
Buon weekend!
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