Capitolo 25
Di tutti i modi in cui avevo fantasticato di arrivare qui, questo è proprio l'unico che non avevo contemplato.
Da prigioniera.
Eppure è proprio l'unico che mi permette di entrare nella fortezza di Dùn Dùchathair senza destare sospetti e senza dovermi nascondere.
Procediamo in fila risalendo un sentiero roccioso che conduce dalla bassa costa a cui siamo approdati alle alte scogliere che si stagliano orgogliose contro il mare, dall'altra parte dell'isola.
Il colore della pietra che ci circonda riflette la coltre disomogenea di nubi che ci hanno ormai raggiunto.
In mezzo a tale ostentazione di nudità da parte della natura, le poche macchie verdi che fanno capolino tra le rocce spiccano come se brillassero di luce propria.
La colonna arriva finalmente alle porte dell'inquietante costruzione, sorvegliate da due guardie.
Sono sicura che ci siano delle differenze tra di loro, così come tra i due guerrieri che ci scortano, ma mi ci vorrebbe troppo tempo per identificarle. Per quanto ne so, potrebbero essere tutti gemelli.
L'entrata della fortezza è in realtà un lungo tunnel che attraversa la spessa muratura fino al cortile interno, un vasto spazio circolare in cui veniamo lasciate per alcuni minuti, sempre sorvegliate dai due guerrieri.
Mi guardo intorno, diffidente. Un posto del genere dovrebbe brulicare di soldati per la sua difesa.
Invece sembra quasi deserto.
Nonostante siano tutte donne, persino un gruppetto di prigioniere come questo potrebbe averla vinta su un totale di quattro uomini, per quanto armati.
Gli altri devono essere nascosti.
A meno che, per qualche motivo, la fortezza non sia veramente inespugnabile.
Faccio correre lo sguardo sulle altre.
Sono veramente prigioniere?
La paura non è sparita dai loro occhi, ma neanche la rassegnazione.
C'è però qualcosa che parla definitivamente per loro: le loro schiene dritte, la testa alta, il corpo volto ad affrontare qualsiasi cosa le aspetti entro quelle mura.
Queste ragazze non fuggirebbero nemmeno se potessero.
E' il loro orgoglio che stanno tenendo alto.
E' l'onore delle loro famiglie che stanno salvaguardando.
E forse anche la loro sicurezza.
Nella mia mente, parte della trama della tela comincia a prendere forma.
Le mie riflessioni si interrompono quando, da una scala esterna, scendono decine di guerrieri incappucciati al seguito di un uomo di mezza età che avanza a volto scoperto.
A differenza degli altri, i suoi capelli sono rossi e la sua barba scende intrecciata lungo il petto.
Passa in rassegna le ragazze in prima fila.
Si avvicina alla prima e, strattonandola per un braccio, la tira fuori dal gruppo urlando "Conand!"
Due guerrieri dal mantello grigio la raggiungono e la scortano all'interno delle mura circolari del forte.
Anche la seconda riceve lo stesso trattamento al grido "Morc!"
La scena si ripete con ognuna delle altre, ogni volta con un'esclamazione diversa, ad una velocità che non mi lascia neanche il tempo di realizzare l'arrivo del mio turno.
L'uomo si avvicina, ma sembra esitare nel pronunciare il suo verdetto.
Con la mano mi afferra per la mascella, studiandomi.
Infine proclama "Stariat!"
Tre soldati si portano al mio fianco.
Due di loro mi afferrano per le braccia, il terzo resta alle mie spalle.
Il tragitto che percorriamo è breve.
Una volta dentro, una stretta scala in pietra sbuca su un corridoio dal soffitto basso, ai cui lati si aprono diverse piccole celle.
Il buio qui sarebbe totale se non fosse per le piccole fenditure sbarrate che fungono da finestre e per le poche torce dal colore innaturale che bruciano ai lati di qualche cella.
Il terzo guerriero afferra una di queste, scostando il cappuccio.
La torcia getta una luce verdognola sul suo volto, rivelandone i tratti.
Non posso sbagliarmi. Ne sono sicura.
E' lui. Finalmente!
E' quel viso che è comparso nei miei sogni tutte le notti, bianco come la luna, con gli occhi di ghiaccio.
Potrei riconoscerne i lineamenti in mezzo ad un esercito.
Ma qui non è come nel mio sogno.
Nessun sorriso mi accoglie.
Lo fisso immobile, mentre un calore incontenibile spazza via la sensazione di freddo, ma non il tremore delle mie gambe.
Sono tentata di seguire l'impulso che mi spinge a cercare riparo e sostegno tra le sue braccia, a rispondere a quella mano tesa che mi ha cercato per anni e che mi ha richiamato fino a qui.
Eppure lui non accenna a muoversi.
Continuo a cercare in lui una traccia di quello che ho visto per anni, resto in attesa di un segno, di qualsiasi cosa che mi dica "Ora che sei qui ce ne andremo insieme."
Ma, col passare dei secondi, il suo sguardo impassibile e marziale si insinua come una crepa che corre inarrestabile nelle mie sicurezze, persino nei miei sogni, mandandoli in frantumi.
Le poche parole che riesco a rivolgergli mi richiedono uno sforzo che rischia di lasciarmi senza fiato.
"Sono io...Alyssa. Mi hai chiamato."
Lo vedo sgranare gli occhi, incredulo. O forse spaventato.
Il suo viso diventa una maschera di rabbia, mostra i denti quasi volesse ringhiarmi contro.
La sua reazione scatena in me una paura che non ho mai provato prima.
Istintivamente indietreggio, ma vengo fermata dagli altri due soldati.
Poi accade tutto in fretta.
A grandi passi mi guidano verso una delle celle più lontane, in cui vengo spinta senza troppe cerimonie.
La pesante porta di legno viene chiusa alle mie spalle, seguita da un rumore metallico che sancisce la mia prigionia.
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Ciao a tutti!
Dopo tanto peregrinare, è arrivato il fatidico incontro.
Ma devo ammettere, ahimè, che non è quello che né Alyssa né io avevamo sognato.
Hibernia riserva più sorprese del previsto...
E voi cosa ne pensate?
Buona settimana!
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