Capitolo 24

Ho lasciato il villaggio cinque giorni fa e non c'è stata una notte in cui non abbia rimpianto l'ospitalità della sua gente.
Quando ho ripreso il mio viaggio per Dùn Dùchathair ho assistito ad un pellegrinaggio di donne che in religioso silenzio mi hanno donato cibo, coperte, armi e suppellettili. Ma quello che più mi ha colpito è stato il loro sguardo compassionevole nel salutarmi.

Sono ogni giorno più confusa.
Lo straniero che visita i miei sogni è sempre più nitido, vero e ammaliante, i segnali che mi arrivano dal mondo reale sempre più intimidatori.

Il territorio che attraverso diventa più ostile ad ogni passo.
Le pianure verdi e rigogliose hanno lasciato spazio ad un bassopiano di roccia bianca in cui serpeggiano profonde spaccature colmate dalla rada vegetazione.
Il peso del bagaglio che mi porto addosso mi avrà rallentato, ma senza di esso non sarei mai riuscita a sopravvivere.

Senza alberi o caverne in cui rifugiarsi, mi sento esposta ad un pericolo ancora senza nome e le notti all'addiaccio hanno scalfito la mia resistenza e la mia lucidità.

Se dall'altura su cui mi sono inerpicata non potessi vedere la distesa di acqua scura all'orizzonte, penserei che l'odore salmastro che solletica ora le mie narici sia solo uno scherzo della mia mente esausta.

Invece laggiù, di fronte ad un esteso villaggio recintato, si agita minaccioso il mare.
Le sue onde si infrangono spumeggianti contro una lunga e alta scogliera che si snoda a sud.
E' una scogliera diversa da quella del mio sogno.
Ricoperta di prati, scende dolcemente verso l'interno.
Nessuna traccia del tavolato di rocce scure e piatte o dell'imponente costruzione circolare.

Non è questo il posto.

Cammino fino alla costa, raggiungendo il centro abitato poco prima che faccia buio.
Il mio aspetto non è dei migliori, ma nessuno si preoccupa di fermarmi quando mi accodo a uomini e donne di ritorno dai campi ed entro dal varco della palizzata che circonda il  villaggio.

All'interno lo scenario non è molto diverso da quanto già visto cinque giorni fa, è solo più ampio.
E forse questo mi permetterà di passare inosservata.
Gli abitanti si radunano attorno ai focolari centrali da cui proviene il profumo della carne cotta e della zuppa.

Mentre gironzolo per le vie alla ricerca di un angolo dove accamparmi, scorgo due uomini vestiti in maniera nettamente diversa dagli altri.
Sono alti, portano lunghi mantelli grigi ed una corazza argentea su abiti blu come il mare.
I loro capelli sono così chiari da sembrare bianchi.

Il mio cuore si ferma per un attimo infinito.
Continuo a ripetermi che non può essere, che è solo un sogno, eppure io sono sicura di essere sveglia.
Mi avvicino il più possibile, rasentando lentamente i muri delle case e lasciando che i bassi tetti spioventi e le ombre del crepuscolo mi nascondano, finché non riesco a distinguere i tratti dei loro volti.

Nessuno dei due è l'uomo che cerco.
Gli abiti e le fattezze, però, mi rivelano che potrei essere sulla strada giusta.
Si fermano entrambi davanti ad un grosso pezzo di carne che rosola sul fuoco in quello che sembra uno spiazzo frequentato solo da guerrieri.

Cerco di portarmi più vicino nascondendomi dietro ad una costruzione.
La loro lingua continua ad essere per me incomprendibile, ma distinguo chiaramente il nome di Dùn Dùchathair.

Loro sanno dov'é.

Devo seguirli se voglio raggiungerla.

All'improvviso un grosso paio di ruvide mani compare dal nulla tappandomi la bocca e trascinandomi via.

"Hey, tha thu a 'mèirleach!"
Un omone dalla lunga barba rossa mi carica sulle spalle e mi fa sparire dentro una casa prima che le mie grida di protesta raggiungano qualcuno.
Contro la sua stazza sono vani tutti i miei sforzi.
In breve mi ritrovo legata ed imbavagliata, seduta in un angolo dell'unica stanza della casetta.

L'uomo che mi ha rapita cammina avanti e indietro trasportando ceste di pesce, curando il piccolo focolare e impartendo ordini ad una vivace, ma obbediente, ragazzina dai capelli rossi come queli del padre.
Veloce come una lepre, la giovane mi spoglia del mio mantello per poi drappeggiarmene sulle spalle uno bianco.
Infine stende a terra una spessa coperta e mi fa cenno di dormire.

Sono troppo stordita per capire cosa succede, ma per mia sfortuna ho un'intera notte per pensarci su e sprecare energie tentando inutilmente di liberarmi.
Al mattino seguente rimanere dritta in piedi ha il sapore di un'impresa eroica.

Non oppongo, quindi, alcuna resistenza quando il cappuccio del mantello viene calato sulla mia testa e vengo scortata fino alla riva del mare, dove altre ragazze con lo stesso mantello bianco salgono a bordo di un battello.

A terra rimangono coppie che si stringono tristi, mentre tra loro si fanno strada giovani paesani recanti ceste di cibo e merci di vario genere.

Tutto viene caricato sul battello.
Anche io.
Scortata fin dentro all'imbarcazione, prendo posto sottocoperta accanto alle altre e ne scruto i volti e le espressioni nella speranza di carpire qualcosa che con le parole non capirei.
In tutte dominano paura e sconforto.
Sono giovani quanto me, alcune ancora ragazzine.

La mia sensazione di spaesamento dura il tempo di scoprire che sul battello ci sono anche i due guerrieri incontrati ieri.
Forse sono esattamente dove dovrei essere.
Ma non oso gioire, perché al di là della scaramanzia, tutto questo mi spaventa, anche se forse mi sta portando nel luogo che cerco da anni.

Una schiera di marinai ci conduce al largo a suon di remate e di canti che dettano il ritmo.
Il tragitto richiede diverse ore di battaglia col mare mosso, durante le quali sono costretta a salire in superficie per tentare di domare i conati che minacciano di impadronirsi del mio stomaco.

La pioggia ci ha graziati, ma già in lontananza, all'orizzonte, banchi di nuvole nere avanzano velocemente, sospinti dal vento freddo.
Dopo aver superato due isole piccole e strette, l'imbarcazione attracca in un'insenatura di un'isola più grande.

Non ho bisogno di scendere a terra per avere la conferma di ciò che speravo e temevo allo stesso tempo.
La nera costruzione a picco sulla scogliera che si intravede da qui non lascia spazio ad alcun dubbio.

Sono finalmente arrivata a Dùn Dùchathair.

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