Capitolo 22-ΩALEXANDROSΩ
Canti.
Voci maschili intonavano litanie cupe e solenni che rimbombavano nella sua testa, come una mazza sbattuta ripetutamente contro uno scudo di metallo il cui suono satura l'aria.
I druidi erano ben lontani da lui, eppure il suo altro io, quello affamato e inquieto, gli riportava quei suoni come se il cerchio magico fosse lì, nella sua celletta umida e buia.
Era come se gli stesse gridando di raggiungerli, disperato e agonizzante nel suo anelare il potere che si sprigionava in quei raduni.
Un potere che cresceva di volta in volta, fortificando l'esercito dei druidi-guerrieri di Neith che lo invocava.
Tanto quel mostro selvaggio che viveva dentro di lui ne era così morbosamente attratto, quanto lui stesso ripugnava coloro che lo avevano strappato alla sua pace per arruolarlo nelle file del dio della guerra.
Quel giorno tutto il suo mondo, il suo equilibrio, il suo vero io erano andati in pezzi.
La magia, quell'arte oscura che i druidi coltivavano fino allo sfinimento per asservirla agli scopi di Neith, si era insinuata sotto la sua pelle, risvegliando le brame di quello sconosciuto con cui aveva imparato a convivere in tanti anni.
Una goccia d'acqua gelida cadde sul dorso della sua mano da una delle pietre del basso soffitto, portandolo ad alzare istintivamente lo sguardo.
Dopo cinque inverni trascorsi lì, era ormai abituato alle rigide temperature di Dùn Dùchathair, ma non rassegnato.
Attendeva con ansia il momento in cui le truppe avrebbero finalmente marciato sulle terre oltre il mare tempestoso che circondava l'isoletta.
A quel punto avrebbe potuto tentare la fuga e tornare nei boschi dove era cresciuto, dove il calore della terra si confondeva con il ricordo più dolce che avesse mai avuto.
Madre.
Quel pensiero aizzò maggiormente il mostro selvaggio contro di lui, costringendolo a sbattere la testa e i pugni contro le pietre bagnate e levigate delle pareti per tentare di metterlo a tacere.
Era più confuso e agguerrito che mai quel giorno, lo sentiva.
Qualcosa stava accrescendo la sua fame e lo portava a tirare fino all'estremo le catene che con fatica gli aveva imposto.
Non voleva cedere ai suoi desideri malsani.
Non era quell'essere a dover dominare lui.
Si staccò dal muro con i biondi capelli zuppi d'acqua e tirò un sospiro di sollievo.
I druidi-guerrieri avevano finalmente smesso di cantare.
Libero da quel tormento, uscì dalla celletta dirigendosi verso l'ultimo livello, i camminatoi del forte.
Poco importava che fuori imperversasse, come al solito, una tempesta.
Aveva bisogno di respirare, di lasciare che il vento e la pioggia, l'ultimo contatto che gli era rimasto con la natura e la sua vecchia vita, sferzassero la sua mente.
Persino il mantello grigio e l'odiosa uniforme blu e argento erano un ostacolo.
Raggiunse la cima della scala interna e venne investito dall'aria fredda mista a pioggia che turbinava attorno alla fortezza.
Dal parapetto in pietra riusciva a malapena a vedere la linea dell'orizzonte.
L'oscurità stava avvolgendo cielo e mare, le volute delle nubi e i cavalloni erano parte di una stessa vorticosa danza al cui centro svettava la tetra maestosità di Dùn Dùchathair.
Chiuse gli occhi inspirando profondamente l'odore salmastro che saliva fin lassù.
C'era qualcosa di strano, forse nell'aria, o forse nell'acqua.
Agitava il suo altro io, lo eccitava in una trepidante attesa.
Non si accorse della presenza del suo superiore finché questi non fu ad un passo dalla sua spalla, facendolo girare di scatto.
Il generale Stariat era un uomo sulla quarantina, dai capelli color platino e gli occhi chiari, come tutti gli altri druidi-guerrieri.
La mascella eternamente contratta in una dura smorfia trasmetteva la sua costante insoddisfazione per i progressi, a suo dire insufficienti, dei suoi sottoposti da cui pretendeva sempre di più.
Mordendosi la lingua, chinò il capo in segno di rispetto, come gli era stato insegnato dal primo giorno in cui aveva messo piede su quell'isola.
"Chi ti ha autorizzato a non presentarti alla chiamata serale?" chiese il generale minaccioso.
"Nessuno, signore. Ho solo seguito l'awen."
Stariat sollevò un sopracciglio, scettico.
"E l'awen ti ha condotto qui?"
"Sì, signore. Qualcosa...si muove."
Non trovò parole migliori per definire quanto percepiva. E neanche voleva sforzarsi.
Il fatto che i suoi carcerieri sfruttassero le sue abilità bastava a fomentare il segreto senso di ribellione dentro di sé.
Era convinto che il suo superiore lo avrebbe punito per l'insubordinazione.
I raduni giornalieri nei cerchi magici erano il fulcro della loro attività, da cui ci si aspettava i risultati che avrebbero portato alla conquista che Neith preparava da anni.
Nessuna assenza passava impunita.
Lo aveva messo in conto quando aveva deciso di rinchiudersi nella sua celletta. Ma i suoi demoni interiori erano troppo forti quel giorno e lui sapeva che non sarebbe riuscito a resistergli.
Stariat si voltò verso il mare, accigliato.
"Il nostro signore ha ordinato di raddoppiare i pattugliamenti e di avvertirlo di qualunque cosa giunga sull'isola" annunciò infine.
Poi si volse nuovamente verso di lui.
"Raggiungi l'entrata principale, ti unirai al secondo gruppo in turno stanotte. Vai."
Non se lo fece ripetere due volte. Chinò nuovamente il capo e scese velocemente fino al punto d'incontro con gli altri druidi.
Volente o nolente, era uno di loro. E avrebbe fatto quello che facevano gli altri, poiché era l'unico modo per ottenere una possibilità di fuga.
La squadra si era già radunata.
Si accodò silenziosamente, ma il suo arrivo non sfuggì all'enorme comandante baffuto che si apprestava a guidarli, il quale gli lanciò un'occhiata torva e iniziò a marciare fuori dal portale, conducendoli nel buio verso il lato opposto dell'isola.
Raggiunta la costa, vennero smistati in gruppi e assegnati a postazioni di sorveglianza.
Gli uomini con cui condivise il turno rimasero silenziosi per un paio d'ore, prima di decidere che era sicuro osare scambiarsi qualche parola sottovoce.
Sotto la pioggia nulla si muoveva, a parte il mare, e il comandante doveva aver scelto una posizione molto distante dalla loro, perché nessun ordine, nessuna annotazione venne dai gruppi più vicini.
I suoi compagni non commentarono il nuovo ordine di pattugliamento di Neith.
Erano forse troppo accorti, o più semplicemente abituati alle manie del dio, per farlo.
I loro discorsi volsero, invece, sulla festività di Lughnasad da poco trascorsa e sul nuovo carico che presto sarebbe arrivato da Dúlainn.
Disgustato dai toni che assunse la loro conversazione subito dopo, chiuse gli occhi e si addormentò.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top