Capitolo 16
L'ultima cosa che mi sarei mai sognata in Arkadia era che un giorno sarei finita prigioniera dei centauri.
Mi riesce ancora difficile credere che quanto accade davanti ai miei occhi sia reale.
Eurytios e la sua banda sono usciti dall'acqua e ora bevono vino attorno al fuoco, ridendo e gridando ancor più sguaiatamente del solito. Non è difficile capire che sono già ubriachi dopo i primi sorsi.
Il loro capo, invece, dopo avermi fatto entrare nella sua tenda, continua a girarmi intorno e ad osservarmi con espressione distaccata.
Mi spaventa quando le sue dita si avvicinano per accarezzarmi le braccia, ma mi impongo di rimanere immobile. D'altronde la paura non mi permetterebbe di fare molto altro, a parte tentare una inutile e disperata fuga.
Un senso di disgusto inizia a farsi strada nel mio stomaco quando mi annusa i capelli.
"Tu sei stata al cospetto dell'Oracolo" sentenzia infine.
Suppongo che mentire non servirebbe a molto.
"E' vero" confermo, fissando un punto della tenda.
"Qualcosa è accaduto a Delphi. Forze divine si sono scatenate."
"Come lo sai?"
"La terra vibra, la terra ci parla. Noi centauri siamo gli unici capaci di ascoltarla."
Parla in maniera strana, come se non fosse la sua lingua.
Compie ancora qualche giro attorno a me.
"Ho conosciuto molti umani e studiato una varietà infinita di persone. Eppure mi meraviglia ogni volta scoprire che potrei non finire mai."
Con una mano solleva il mio mento, poi mi afferra per la nuca e avvicina la sua fronte alla mia, costringendomi a fissare il nero profondo e imperscrutabile dei suoi occhi inumani.
Il suo odore e il suo aspetto, così eccessivamente vicini al mio viso, sono ripugnanti.
Dopo qualche istante mi lascia finalmente andare.
"Tu nascondi qualcosa, piccola umana."
Mi indica un piccolo fuoco che arde al centro della tenda e mi spinge ad avvicinarmi.
Solo ora che posso scaldarmi mi accorgo di quanto gelido fosse diventato il mio corpo.
Il centauro si accomoda di fronte a me, dall'altra parte del fuoco.
"Io sono Pholus. Sono uno studioso."
"Di esseri umani?"
"Anche. Io anelo alla conoscenza di ogni cosa. Gli esseri umani sono una fonte inesauribile di idee e notizie. E a volte anche di piacere."
Non so bene cosa intenda, ma sono sicura di non volerlo scoprire.
Afferro un tizzone ardente dal fuoco e lo avvicino alla tenda, mandandola in fiamme nel giro di pochi attimi.
Il centauro scatta in piedi e tenta di fermarmi mentre mi lancio a testa bassa contro la parete di fronde costruita per chiudere uno dei lati, e la abbatto graffiandomi le braccia.
Lo sento gridare parole incomprensibili agli altri centauri che accorrono in suo aiuto, ma ho deciso di sfruttare questo tizzone fino in fondo per tenerli impegnati, appiccando fuoco ad ogni rametto, sterpaglia e ovunque possa attecchire, e creando una barriera che mi consenta di guadagnare tempo. Poi abbandono il tizzone e inizio ad inerpicarmi sul fianco di un'altura per sparire nel buio tra gli alberi.
I centauri raggiungono la tenda di Pholus, corso fuori dalla trappola di fuoco, ma le fiamme che ho sparso li innervosiscono: si lanciano in una direzione, si impennano, tornano indietro.
Nella confusione delle loro voci sento risuonare un corno.
Mi volto per controllare: è Pholus che richiama tutti all'ordine e dirige l'inseguimento nella mia direzione.
A differenza della pianura, però, i centauri ora non riescono a tenere il passo. Avanzano lentamente, distribuendosi nella macchia per ridurre il rumore degli zoccoli sul terreno.
Dalla cima che ho raggiunto posso vedere le fronde muoversi sotto di me al chiaro di luna.
La mia fuga continua per tutta la notte.
Lontano dal bivacco dei centauri, i boschi qui sono immersi in un sovrannaturale silenzio.
Le colline sono diventate monti, una barriera protettiva verde a guardia dell'Olympos, che è ora molto più vicino di quanto avessi programmato di arrivarci all'inizio.
Lo osservo meravigliata. Sotto questo tetto di stelle, illuminato dalla luna, sembra un gigante di pietra accovacciato che dorme.
Invece lassù, da qualche parte, io so che si nascondono gli Immortali. Anche quello che mi ha messo questo maledetto bracciale.
Ripensarci mi irrita.
La rabbia mi spinge persino a considerare di scalare quel massiccio. Qualcosa mi pulsa nella testa e cresce, come a voler esplodere.
Un rumore secco di rami spezzati mi fa voltare di scatto.
Mi appiattisco dietro un tronco e resto ad osservare.
Se fosse un centauro, lo avrei già visto.
Ma niente si muove finché non decido di andare nella direzione da cui proveniva il rumore.
All'improvviso una creatura non più alta di un bambino salta fuori da un cespuglio e inizia a correre via.
La scena mi è troppo familiare per rimanere qui e lasciare che scappi.
Lo inseguo a perdifiato tra gli alberi, schivando i rami e gli ostacoli che la creatura sembra scegliere appositamente per me e che salta senza apparente difficoltà.
Nel buio non riesco a distinguere di cosa si tratti.
La piccola testa ricciuta ha due evidenti corna ricurve, mentre il corpo è storto, sgraziato e peloso.
Senza accorgermene, mi conduce all'interno di un fitto banco di nebbia che mi costringe a rallentare.
Non riesco a vedere i tronchi fino a quando non gli sono letteralmente addosso.
Perdo subito di vista la creatura.
Da dove arriva questa nebbia?
Mentre procedo con le braccia protese scopro che gli alberi sono spariti.
Persino il terreno sembra non avere più neanche un filo d'erba.
Attorno a me si estende solo una coltre bianca e impalpabile.
Senza punti di riferimento, cerco di contenere il senso di disperazione che si affaccia nella mia mente. Vorrei cercare di tornare indietro, ma non sono più sicura della direzione da cui sono venuta.
Poi, di fronte a me, una forma leggermente più scura sembra delinearsi in lontananza.
Mi blocco in posizione di difesa, i muscoli tesi allo spasmo, la fronte madida di sudore.
In questo silenzio senza dimensione, il battito convulso del mio cuore che mi rimbomba nel petto e in testa è amplificato al punto che sono sicura sia udibile anche all'esterno.
La figura avanza senza fretta. Riesco ora a capire che si tratta di un uomo incappucciato.
Quando finalmente me lo ritrovo davanti, rimango senza parole.
"Benvenuta, Alyssa."
Conosco quella voce.
Conosco quel volto oscuro e intenso.
Ma soprattutto conosco quei bracciali.
E' venuto a prendermi.
Lo fisso, muta e immobile.
I miei pensieri rimbalzano frenetici tra la rabbia, la paura di non poter continuare la mia ricerca e del destino che questo dio ha in mente per me, mentre vaglio tutte le possibilità di sfuggirgli, come se ce ne fossero, o di contrastarlo.
"Non temere, non voglio farti del male" continua in tono calmo.
La sua voce è suadente nonostante sembri riempire prepotentemente l'aria.
"E' per non farmi del male che mi avete messo al braccio questo?" chiedo sferzante.
Lui ride.
"Quello era un dono per ricompensare il tuo coraggio e il tuo altruismo" risponde infine con sguardo benevolo.
Non riesco a trattenere un'espressione palesemente scettica.
"Da quando la schiavitù è considerato un dono?"
Il dio scoppia nuovamente a ridere.
"Schiavitù? No, il dono che ti ho fatto è molto di più, se vorrai accettarlo."
"Non mi sembrava di avere altre possibilità" ribatto mimando l'inutile tentativo di togliere il bracciale.
Lui non si scompone davanti alle mie provocazioni.
"Vieni con me, ti mostrerò la mia offerta."
Tende la mano sorridendo.
"Chi siete?"
Lui mi guarda con gli occhi che brillano mentre dice a voce bassa:
"Io sono Kronos, il tuo dio."
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