Capitolo 13 _ Ω KRONOS Ω _

Hibernia

La burrasca che imperversava sul mare rendeva impossibile distinguere i contorni dell'isola di fronte alla costa.
La pioggia scrosciava senza sosta, sbattuta da un vento gelido e impetuoso a destra e a manca, come vele strappate dall'albero di una nave.

Avvolto nel suo mantello nero, con i bordi sfilacciati sferzati dalla tempesta, attese finché una piccola barca prese forma silenziosamente all'orizzonte. Scivolò lentamente fino alla riva e lì si fermò. Dentro non c'era nessuno.
Non molto sorpreso, salì a bordo.

La barca riprese il largo addentrandosi nella cortina di pioggia e onde come se non ne fosse toccata.
Attraversò la tempesta e il braccio di mare che la separava dall'isola rocciosa.

Le sue scogliere a picco sul mare emersero dalla schiuma e dall'oscurità sovrastandolo, imponenti e nere.
La barca attraccò in un punto dove le lunghe scogliere digradavano per terminare in un basamento sconnesso di rocce lisce e scure.

Il buio e il freddo sembravano avere lì la loro dimora.
Un lampo rischiarò il cielo brevemente, ma a sufficienza da delinerare le mura di pietra di un forte circolare in cima alle scogliere.

"Ben arrivato, straniero. Seguimi."
Un essere piccolo e sgraziato gli era comparso dinanzi, coperto solo da lunghi capelli crespi che si fondevano con un'altrettanto lunga barba e da un panno avvolto attorno ai fianchi.

Illuminando la strada con una torcia dal fuoco verdognolo, lo condusse fino al forte zoppicando tra una roccia e l'altra e borbottando imprecazioni nella sua lingua barbara.

L'alta costruzione sorgeva su una lingua di pietra sospesa a strapiombo sul mare, al limite estremo di un vasto e piatto tavolato di roccia nera che si interrompeva bruscamente.

Due guardie sostavano ai lati dell'entrata, il volto quasi interamente coperto dal cappuccio del mantello grigio scuro ad eccezione della mascella, scolpita in un'espressione marziale.
La loro armatura argentea brillò al crepitare dell'ennesimo fulmine.

Il nano lo condusse attraverso il lungo portale di entrata fino ad uno spiazzo centrale da cui diverse scalette in pietra salivano fiancheggiando le spesse mura costellate da aperture su tutti e cinque i livelli. In cima correvano i camminatoi per il pattugliamento.
Il cortile era vuoto e illuminato da torce simili a quella della sua guida.

Finalmente entrarono in una delle aperture dell'ultimo livello.
L'interno era grigio e spoglio quanto l'esterno e le torce dovevano servire solo per l'illuminazione, poichè il freddo non allentava la sua morsa nemmeno lì dentro.

Percorsero pochi metri, poi il nano si fermò davanti ad una porta di legno massiccio e gli fece cenno di entrare.
Non se lo fece ripetere due volte.
Aprì la porta spingendola con tutto il braccio.

La stanza che trovò oltre era adorna di corna di cervo e armi.
Un caminetto acceso illuminava le pietre delle pareti con la prima luce calda che vedeva da quando era partito dall'Ellade.

Il padrone di casa era lì, fermo davanti al fuoco, con gli occhi bianchi spalancati e fissi nelle fiamme come se volesse assorbirne tutta l'energia.
I lunghi capelli color platino scendevano come un mantello sul corpo possente del dio-guerriero, vestito con abiti blu.

"Ti do il benvenuto a Dùn Dùchathair, Kronos, dio dell'Olympos" lo salutò voltandosi verso di lui con un ampio sorriso da sotto i grandi baffi e aprendo le braccia.
"Ti ringrazio per l'ospitalità, Neith" replicò lui in tono cortese.

Non avrebbero potuto essere più diversi.
All'imponenza del rude Signore degli Eserciti dell'Hibernia si contrapponeva il fisico asciutto e muscoloso dell'oscuro dio del Tempo ellenico, baciato dal sole del sud e decorato da simboli rituali impressi sulla sua pelle.
Occhi neri e occhi bianchi si fissarono per un istante.

Neith lo invitò ad accomodarsi su un basso sedile ricoperto di pelliccia.
"Cosa ti spinge a varcare i confini dell'Olympos e ad arrivare fino in Hibernia?" chiese appoggiandosi comodamente allo schienale di un piccolo trono ricoperto anch'esso di pellicce.
"Un accordo che potrebbe rivelarsi particolarmente interessante."

Kronos si appoggiò su un gomito, lisciandosi con la mano il mento coperto dalla corta barba.
Il suo ospite sembrò soppesare le sue parole mentre lo osservava con gli occhi ridotti a due sottili lame.
"Ti ascolto" disse infine.

"L'Ellade è una terra ricca" iniziò Kronos.
La sua voce sembrò echeggiare sulle ultime parole.
Dalle pareti della stanza crebbero rami di ulivo, di fico e melograno carichi di frutti, vitigni, ma anche fronde di leccio e quercia spinosa.

Il pavimento si coprì di acque cristalline e pescose da un lato, mentre una rigogliosa vegetazione ospitava animali di ogni tipo dall'altra parte della stanza.
Un sole caldo illuminò la visione, accompagnata da profumi inebrianti.

"L'Ellade è una terra forte."
La nuova affermazione ruppe l'incantesimo precedente.
Eserciti e navi da guerra a perdita d'occhio ne presero il posto.
Città conquistate, fuoco, morte.

"L'Ellade è una terra prospera."
Di nuovo la visione cambiò.
Templi e palazzi sorsero intorno a loro, commercianti con la loro ricca mercanzia e nobili passeggiavano ignari, come se non potessero vederli.

Neith osservava tutto questo compiaciuto.
Ma non era ancora arrivato a considerare seriamente la questione.
Kronos si preparò a sfoderare l'ultima carta.

"L'Ellade è una terra potente."
L'Olympos stesso apparve davanti agli occhi del dio celtico.
La massiccia montagna si ergeva solenne lacerando la coltre di nubi e svettando orgogliosa verso il sole.

Lungo il fianco della sua cima appuntita e immacolata si ergevano solide colonne bianche che sostenevano templi maestosi. Dalle sue terrazze si dominava l'intera Ellade.
Gli dei davano sfoggio delle loro abilità, mentre dee dalla bellezza abbagliante danzavano leggiadre.

Poi, all'improvviso, Neith vide qualcosa che lo fece scattare.
Si alzò, fissando gli Olimpici che abitavano quel luogo luminoso ed etereo.

Infine apparve il Signore di tutto ciò che aveva visto finora: Zeus.
Disumanamente alto, dall'ampio petto e i folti capelli castano dorati. Nei suoi occhi brillava azzurra la folgore.

Kronos mostrò la potenza di Zeus, i suoi ricordi passati.
Dalla battaglia contro i Titani, ai fulmini scagliati contro chiunque osasse contrastarlo.
La sua forza inondò la stanza per poi dissolversi come fumo.

Neith si voltò verso Kronos, che era rimasto in disparte, appoggiato ad una parete a braccia conserte.
"E' un accordo con l'Ellade che mi stai proponendo?"
"E' un accordo con Kronos" rispose in tono grave il dio del Tempo.

Si sedette nuovamente guardando il fuoco che ardeva nel caminetto.
"Tutto ciò che hai visto... una volta era mio" disse lentamente.
Neith continuò a guardarlo con i suoi occhi bianchi, ma non parlò.

"Io governavo quella terra prima di tutti loro. Ero lì prima che i templi sorgessero, prima che Atlantis sprofondasse, prima di tutti i tempi. Poi il dio ribelle dagli occhi azzurri venne dal nord dopo aver ottenuto, con l'inganno, il fulmine dagli Immortali del regno di Iperborea, seguito dalla sua famiglia di fratelli reietti. Essi si erano schierati con lui quando aveva tentato di prendere il potere nella casa dei loro padri, ed erano stati sconfitti e cacciati.
Arrivarono in Ellade con un esercito di uomini e stabilirono il loro regno, il regno del fulmine, soggiogando ciò che avevo sempre protetto: la natura, la libertà, gli uomini. Tutto, fino ad allora, aveva seguito l'ordine del Tempo. Ora tutto segue l'ordine di Zeus."
Pronunciò l'ultima frase con sarcastica altezzosità e rimase immobile a contemplare il fuoco.

"Asgard."
Kronos rivolse a Neith uno sguardo interrogativo.
"Asgard" ripetè quest'ultimo "è da lì che viene il tuo dio dagli occhi azzurri. E' così che la conosciamo noi. Si trova là dove il sole non tramonta mai per tutta l'estate e non sorge mai durante tutto l'inverno."
"Ed è lì che dovrà tornare."
Neith alzò un sopracciglio.
"E tu vorresti sfidare da solo un dio che possiede i fulmini di Þūnor di Asgard? Sei matto, amico mio" commentò ironico assestandogli una vigorosa pacca sulle spalle.
"E' per questo che sono qui."

La risata del dio-guerriero risuonò fragorosa.
Poi divenne improvvisamente serio.
"Non porterò i miei eserciti di Fomóraig a farsi arrostire vivi per te, Kronos, dio del Tempo. Quando finalmente saranno pronti e sufficientemente numerosi, io e Morrigan li condurremo alla conquista delle terre oltre il mare e chissà, potremmo persino arrivare alle porte dell'Ellade, ma non sfiderò Zeus e i suoi fulmini."

Kronos lo guardò con un sorriso astuto.
"Zeus potrebbe non averli più ormai."
"Che cosa stai dicendo?"
Il dio del Tempo rispose con espressione assorta.
"Il suo potere vacilla. La terra lo sente. Da quasi venti primavere nessuno lo ha più visto scagliare un fulmine."
"Il fatto che non lo faccia non vuol dire che non abbia più quel potere" contestò l'altro.
"E' quello che pensano tutti. Per questo nessuno ha osato sfidarlo finora. Ma Zeus è un dio irascibile e ha sempre sfogato la sua rabbia con la folgore."
"Perchè non ci provi tu stesso allora?" lo provocò Neith.
"Perchè tutti gli dei dell'Olympos mi si rivolterebbero contro prima ancora di arrivare alle pendici della montagna. Hanno sempre tollerato la mia presenza in quanto divinità, ma questo non li rende miei alleati."

Il padrone di casa gli voltò le spalle e iniziò a passeggiare intorno alla stanza.
Kronos incalzò.
"Aiutami a spodestare Zeus e a riprendermi l'Ellade."
"Tu mi chiedi di rischiare i miei eserciti alla vigilia di una conquista che pianifico da anni, nella lontana speranza che Zeus abbia perso l'unica cosa che gli ha permesso di regnare sull'Olympos e con la certezza di vedersi scagliare contro la furia di tutti gli altri dei. In cambio di cosa?"

"Non rischierai poi così tanto quando avrò ottenuto l'arma che ci porterà alla vittoria. Dopodiché potrai risiedere con me sull'Olympos, il palazzo sarà anche la tua dimora. Avrai tutti i guerrieri discendenti di Iperborea, armi, viveri, metalli preziosi, il libero passaggio verso sud e verso est e il sostegno dell'Ellade nelle tue guerre di conquista. Ti basta?"

"Aspetta, di quale arma stai parlando?"
Kronos lo fissò.
Sembrò trascorrere un tempo infinito.
Neith si accarezzò i baffi.
"C'è un'altra cosa che voglio in cambio."
"Cosa?"
"Le dee. Tutte."
Kronos strinse la mascella.
"D'accordo" concesse infine.
Si avviò verso l'uscita, ma Neith lo chiamò.
"Assicurati di avere l'arma. Senza di quella, niente accordo."
"L'avrò, non temere" mormorò allontanandosi.

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