9.
Uno strano fastidio la tormentò la notte, un dolore nuovo e pungente la trafisse al ventre.
L'uomo entrò presto quella mattina e notò subito che c'era qualcosa che non andava con la giovane, il suo volto era contorto in un muso addolorato e la mano si trovava stretta alla pancia «Che cosa ti tormenta?» domandò «Non riesco a dormire» rispose addolorata.
«Perché?» chiese Allan. «Mi fa male la pancia»
dichiarò , l'uomo camminò verso il letto, sollevò la coperta e guardò il materasso. Meredith lo squadrò offesa, pensando che lo avesse fatto perché convinto che avesse bagnato il letto.
La intimò di alzarsi dal materasso, e quando la ragazza lo fece, egli le ordinò di compiere un giro su sé stessa.
«Forse hai solo fame, vieni»
Uscirono dalla stanza e si recarono in cucina.
Meredith si sedette a capo tavola posando i gomiti e reggendosi la testa con i polsi, l'uomo nel mentre su mise ai fornelli, ma prima prese dal cassetto un oggetto ormai familiare alla bambina.
Ogni volta che abbandonava la stanza, era costretta a farsi mettere un collare munito di guinzaglio al collo, affinché potesse poi essere legato alla gamba di un tavolo o al pugno stesso dell'uomo. Durante i tre anni passati insieme la bambina aveva più e più volte cercato di scappare da quella casa servendosi di qualsiasi cosa, dalle finestre alle chiavi e persino provando a chiamare dal telefono fisso. Ma ogni volta che aveva tentato di spiegare le ali verso la libertà, l'uomo la coglieva al volo e per evitare simili episodi, aveva iniziato a fare uso del collare.
Si avvicinò, Meredith alzò il collo e si fece mettere il collare come un animale domestico, infine lo legò alla gamba del tavolo.
Tornò ai fornelli e prese a cucinare per la bambina, la quale nell'attesa iniziò a guardare ogni oggetto della cucina, specialmente il solito orologio a cucù, perché gli rammentava quello presente nella casa del nonno.
«Quell'orologio funziona ancora?» domandò curiosa «No, ormai è vecchio, non funziona più» disse restando di spalle verso ciò che stava preparando, e la bambina non sapendo più che altro dire, taque e attese in silenzio la colazione.
Nel frattempo passava la mano sul ventre sperando che quel dolore avrebbe cessato di tormentarla una volta finito di mangiare.
Quando la colazione fu pronta, l'uomo pose in un piatto le uova e la pancetta che aveva saltato, e lo servì di fronte alla bambina, che affamata com'era non esitò a prendere in pugno la forchetta e infilzarla nella pancetta.
L'uomo strisciò la sedia dallo scienale e si sedette accanto a lei per restare a guardarla mentre mangiava, ma la suoneria del telefono lo portò ad alzarsi da tavola e ad abbandonare la stanza.
«Pronto?»
Rispose una volta giunto in salotto, seguito dallo sguardo curioso e preso della bambina pronta ad ascoltare la conversazione. Raramente lo sentiva parlare al telefono, e non riusciva mai a capire quello diceva dal momento che si allontanava.
«Sì, sono Allan»
disse stando il piedi di fronte la finestra con la mano alla tenda e lo sguardo in guardia verso l'esterno.
«Allan?»
Replicò a bassa voce Meredith spalancando gli occhi, l'uomo aveva un nome, ed era Allan.
Calò lo sguardo verso la colazione e restò a fissarla a lungo, pensando ai tre anni trascorsi senza neppure sapere il nome della persona che l'aveva rapita.
Finita la conversazione, l'uomo tornò in cucina e si sedette nuovamente a tavola, Meredith lo guardò con occhi diversi e più sicuri, ora sapeva il suo nome e avrebbe potuto chiamarlo con quello.
«Domani io esco e tu starai a casa da sola, okay?» disse guardando lo schermo del suo telefono «Okay» «Starai in camera tua finché non farò ritorno, ti avrei lasciata libera di girare per la casa ma purtroppo non hai ancora ottenuto la mia fiducia» «Dove devi andare?» domandò lei, ma Allan non le rispose e restò fisso a guardare il telefono, Meredith colse il messaggio e non insistette.
«Non so quanto tempo ci metterò ma al mio ritorno ti voglio a letto» «Va bene» disse, e lui alzò gli occhi verso di lei e le sorrise «Brava» si avvicinò, portò una mano dietro il capo della bambina, e le diede un bacio sulla fronte. «Adesso andiamo a lavarci»
Slegò il nodo del guinzaglio dalla gamba del tavolo e le sciolse il collare, che le aveva lasciato una rosacea lividura attorno al collo, Meredith si accarezzò e sorpirò sollevata.
Si alzarono da tavola ed entrambi andarono in bagno dove si sarebbero lavati.
Tempo dopo...
Le piaceva fare la doccia, era l'unica cosa che le piaceva di tutta quella situazione in cui si trovava. L'acqua calda a differenza di casa sua non cessava mai, inoltre la cabina della doccia era l'unico luogo dove poteva pensare e rilassarsi allo stesso momento, purtroppo però, non le era concesso chiuderla, Allan la preferiva aperta.
Mentre lei si lavava, lui si curava la barba davanti lo specchio del lavandino, fischiettando un brano conosciuto anche da Meredith.
Ascoltava quel fischio con piacere e presa dal pezzo, le sue labbra cominciarono a cantare le frasi della canzone stessa.
«Il tuo tocco ferma il fiato mio, ma con un tuo bacio riprendo a restirare... dolore e rancore mi hanno sommersa, ero troppo cieca per crescere nell'amore. Il tempo guarisce ma io no, il tempo va avanti ma io no, se hai detto che mi vuoi allora da te ritornerò. La mia speranza è nulla poiché senza di te io sono niente...»
Si lavava servendosi della spugna passandola sulle braccia, sul petto, sulla pancia e le gambe. Ma come il suo sguardo cadde a terra, si accorse con orrore che tra suoi piedi usciva una scia di sangue di origini sconosciute, confusa cercò di capire da dove venisse, seguendolo con gli occhi. E man mano che saliva in alto, scorse la fonte di quel sangue.
Aprì leggermente le gambe e si chinò per guardare se si fosse accidentale ferita sfregando con la spugna, ma non c'era alcun taglio o nessuna crosticina grattata da cui poteva essere uscito il sangue, e quando lo realizzò, si agitò.
«Aiutami! Ti prego aiutami!»
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