4.

«Avanti svegliati.»
Pronunciò una voce e tetra, essa giunse all'orecchio della bambina come olio e questa si svegliò confusa strofinando l'occhio.
«Hai dormito bene?»
Aggiunse l'uomo accompagnandola ad alzarsi, posando la mano dietro la sua schiena, e lei, impaurita dal suo tocco, annuì tenendo a bada con la coda dell'occhio la mano poco desiderata.
Egli, notata la paura sul volto di Meredith, decise di mostrarle subito il motivo per cui si trovasse lì, dopodiché da dietro la schiena tirò fuori i panni che la bambina avrebbe dovuto indossare.

«Togliti i vestiti e mettiti questi.»
Le sue parole scossero Meredith e infatti non esitò a scuotere il capo, era pur una bambina ma conosceva i desideri perversi su cui un uomo poteva meditare,  sua madre gliene parlava molto spesso e le ore notturne passate a guardare la televisione, le aveva mostrato parecchie volte la natura immorale degli uomini.

«Non sarò qui mentre lo farai.» disse l'uomo cogliendo il disagio della ragazzina, così lasciò i panni sulle sue ginocchia e uscì dalla stanza.
La sua andata sollevò di poco Meredith la quale però, temendo il suo improvviso ritorno, cominciò a spogliarsi e a cambiarsi i panni il più presto possibile. Si chiedeva cosa avrebbe fatto se egli fosse tornato cogliendola nella sua nudità, tuttavia l'imbarazzo e la paura le avrebbero coperto il corpo.

I nuovi capi che ora indossava profumavano di lavanda e freschezza, come se fossero appena stati presi dallo stendino dopo una bufera primaverile. I colori anche se vivi e accesi la deprimevano, forse perché non le appartenevano e la paura di chiedersi a chi appartenessero la rabbrividiva. "Erano di qualcun altro o li aveva già pronti per me?" Si chiedeva una volta tornata a sedersi sulla copertina su cui aveva dormito, entrambe le risposte alle due domande la intomorivano, preferiva restare nel dubbio e pensare che fossero già nel suo guardaroba, piuttosto che credere che fossero di un'altra bambina rapita prima di lei.

Mentre meditava nel silenzio su queste idee, attendeva di udire qualche passo dall'altra parte della stanza in cui era rinchiusa. Curiosava  con gli occhi per la stanza e notò che la finestra a bilico era ancora aperta ma da essa non entrava più un intero raggio di sole bensì esili spaghi luminosi.

Infatti durante la notte l'uomo si era recato sul retro della casa per incastrare un quadro di cartone sulla finestra per impedire a chi passasse di lì di vedere cosa ci fosse nella stanza, infine per permettere un po' di aria e raggi di luce di entrare, forò una serie di buchetti con la punta di una forbice.
La luce naturale in quella stanza era molto scarsa e soffocata, quei fili di luce, come la speranza della bambina, morivano prima di baciare il pavimento, l'unica luce viva che manteneva Meredith abbastanza calma era quella emessa da una lampadina prossima a perire di vecchiaia.

La bambina osservò tutti questi elementi e sperava dentro di sé che la lampadina reggesse ancora per un po', non voleva trovarsi nella bocca della sua più grande paura, il buio.
Fissava con insistenza la luce che danzava dentro la pallina di vetro pensando che se l'avesse vegliata con fermezza questa non si sarebbe mai spenta, lo aveva fatto molte volte, dalla pentola d'acqua per la pasta al coricarsi di una margherita sul giardino del retro di casa sua.

Ma fu costretta a distogliere lo sguardo dal soffitto quando udì i soliti passi avvicinarsi alla porta, la chiave girare e la maniglia abbassarsi.
La porta si aprì spinta dalla mano dell'uomo che come entrò puntò subito lo sguardo sulla bambina, tuttavia era l'unica cosa da poter contemplare in quelle quattro mura. Meredith lo guardò con più coraggio dal momento che la sua vista era offuscata dall'alone blu provocato dal contatto visivo con la lampada, perciò guardarlo in faccia era molto più semplice e meno spaventoso.

«Dove sono i vestiti di prima, Meredith?» domondò, senza sapere che pronunciando il suo nome provocava in Meredith una doccia fredda di brividi. La piccola tese il braccio tremolante e indicò il punto esatto dove aveva piegato la sua divisa scolastica, l'uomo si avvicinò e li raccolse lasciando nuovamente la porta alle sue spalle aperta.

L'idea di scappare sfiorò nuovamente la mente di Meredith, ma spaventava dal fallimento si trattenne stringendo con rimorso e timore la lunga maglia che indossava, allora guardò l'uomo e con gentilezza gli chiese.
«Oggi posso tornare a casa?» 
«No.» la sua risposta le fu gettata come un secchio d'acqua da un balcone senza neppure guardare se ci fosse qualcuno sotto. Poi con i panni in mano camminò verso l'uscita  «E quando potrò tornarci?» aggiunse Meredith guardando la sua mano avvolta alla maniglia della porta.
L'uomo restò di spalle con le labbra dischiuse, voleva rispondere alla domanda sincera e innocente della sua vittima, ma allo stesso tempo non sapeva cosa dirle. Meritava di saperla sì o no?
Alla fine serrò la bocca e uscì dalla stanza chiudendola a chiave.

Quel silenzio penetrò nelle viscere della bambina, una lacrima le solcò la guancia e dopo di essa ne susseguirono molte altre, tutte prossime a schiantarsi sulla maglia. Poteva piangere ma il nodo in gola e la paura le impedivano di farlo per paura di provocare la sua pazienza, che fino a lì a lei parevano una semplice maschera.

La lampada lampeggiava provocando alla bambina continui colpi al cuore, l'ultima cosa che desiderava era restare nel buio.
Così dentro di sé cominciò a supplicare alla lampada di non abbandonarla nella sua paura, ma la luce dopo un paio di lampeggi ignorò la preghiera della piccola e morì sopra i suoi occhi.

Meredith fu subito colta da una cascata di terrore che neppure gli aggettivi imparati a scuola erano capaci di descriverlo, le sue spalle si appesantirono di sguardi curiosi e loschi, le sue orecchie udivano sussurri vicini e lontani e la sua schiena venne percossa da continue scariche di tensione.

Terrorizzata e in preda al panico si alzò e si fondò addosso la porta iniziando a percuoterla con calci e pugni.
«Apri la porta per favore, ho paura!»
Incessanti lacrime che sgorgavano dai suoi occhi le attraversavano le guance e il suo corpo vacillava come un rametto sbattuto dal vento in inverno. «Ho paura, c'è buio!» continuò a strillare anche dopo che le dita dei piedi le facevano male, l'unghia dell'alluce a forza di sbatter contro la porta si spezzò e il calzino assorbì il poco sangue che era uscito.
Non sentiva il dolore dal momento che fosse troppo concentrata a chiamare aiuto.
«Ti supplico ho paura! Ho paura!»
L'uomo non rispondeva e più i secondi si estendevano più i colpi della bambina s'indebolivano.
Arresa e amareggiata si trisciò con la schiena sulla porta fino a toccare  terra col sedere.
«Mamma...»
Farfugliò con voce tremante, se quella figura eroica e potente fosse stata lì con lei non avrebbe temuto nulla, né l'uomo né il buio. Ma giacché non fosse lì Meredith si sentiva come un soldato senza armatura piantato sul campo di battaglia.
Improvvisamente però udì la chiave entrare nella serratura e girare, a quel rumore metallico si alzò da terra e si allontanò dalla porta per non essere colpita da essa nell'apertura.
Una volta dentro l'uomo s'imbattè davanti alla piccola, lì, al centro della sua ombra in mezzo la sagoma di luce.
Il suo volto era porporino e bagnato, gli occhi gonfi e rubizzi come chi aveva pianto da giorni con la faccia sul cuscino e da entrambi defluivano ancora altre lacrime.
Meredith tirò su il naso e lo passò con la mano, era spaventata ma allo stesso tempo felice.
In mano l'uomo teneva per il collo una lampadina da scrivania che non passò inosservata agli occhi luminosi e rossi della bambina, si allontanò dalla porta e si piegò s'un angolo della stanza dove attaccò la spina della lampadina alla presa al muro.
La bambina fu abbracciata da un caloroso sollievo che le asciugò le lacrime e le restaurò il cuore, era felice che finalmente oltre ai gracili fili di luce ci fosse anche una lampadina. La luce emessa da questa era per lei un idolo d'adorare e lodare con gioia, grazie a essa non avrebbe temuto il buio.
L'uomo si alzò e camminò fino alla bambina, la guardò e si compiaque nel vedere il sollievo sul volto di Meredith. Poi con il polpastrello del pollice le asciugò una lacrima sull'orlo di finire di rigarle una guancia.
«Non avere paura, ci sono io qui con te, non ti accadrà nulla di male» pronunciò, e infine uscì nuovamente dalla stanza.
La luce che emetteva la lampadina allontanò i demoni del buio e calmò un po' Meredith, già, perché le sarebbe servita la presenza di sua mamma per esser pienamente calma. Solo quella voce soave e profonda sarebbe stata in grado di tranquillizzare l'animo agitato di Meredith e solo quell'abbraccio caloroso e colmo di amore poteva fermare il tremolio della paura sul suo corpo.

Il tempo affluiva come le esili dita della bambina tra i suoi capelli ramati, non aveva più lacrime da versare esse si erano tutte inaridite sulle sue guance, così si sfogò giocando con i suoi ricci.
Era seduta affianco alla lampadina in modo da rimanere nell'anello di luce che essa produceva, per restare il più difesa possibile dalle unghie del buio che incidevano graffi nell'oscurità, bremavano con fame che uno dei piedi della piccola finissero accidentalmente nel loro territorio oscuro e cieco.

Minuti dopo la porta si aprì, e l'uomo entrò nella stanza.

Meredith sollevò lo sguardo verso di lui e guardò la sedia di legno che si era portato dietro, la lasciò a pochi passi da lei e ci si sedette sopra.
L'occhio della bambina cadde per una sequenza di secondi sulla porta aperta alle spalle dell'uomo, ma come questo aprì bocca i suoi occhi tornarono a lui.
«Come stai?» Disse intrecciando le dita tra loro e guardando con piacere come la bambina gli stesse prestando attenzione, ella in realtà stava meditando sulla risposta da dare. Voleva essere sincera e coraggiosa, voleva chiederglielo di nuovo senza valutare la sua reazione.
«Voglio andare a casa.»
L'uomo anche se ferito, cercò di non mostrare il suo animo computo e offeso alla piccola e rispose senza dar sfumature al tono.
«Perché ti manca casa quando ci sei già? Inoltre non è l'ambiente che rende un luogo una casa, ma le persone. Io, Meredith, sono la tua casa, la tua famiglia»  Meredith lo guardò confusa, non comprese il linguaggio dell'uomo ed era curiosa di capirne il significato.
L'uomo sorrise e si alzò lasciando la sedia nella stanza con Meredith, e per lei risultò subito come una fonte di fuga. Pensò che se si fosse messa in piedi su di essa sarebbe riuscita a saltare fino alla finestra a bilico e rompere il cartone.
Ma poi guardò l'altezza della parete e si rassegnò, non sarebbe mai riuscita a saltare così in alto.

Le ore passavano senza che la bambina se ne accorgesse, la sua gola era asciutta come un terreno arido baciato dal sole e il suo stomaco vuoto come la stanza. Inoltre come se non bastasse la fame, sentiva di bisogno di usare il bagno.
Così si diresse verso la porta e cominciò a bussare freneticamente con il palmo aperto per intendere l'urgenza.
«Devo andare in bagno! Mi scappa!» poi attese per una risposta ma non sentendo nulla provò nuovamente.
«Devo andare in bagno!» Il suo eco era l'unica voce a rispondere alla sua chiamata.
«Mi scappa la pipì per favore apri la porta!» Presa dal panico cominciò anche a scalciare e ad alzare la voce.
«Apri la porta!»
Finalmente dopo un paio di secondi la chiave girò e la maniglia della porta si abbassò, la bambina indietreggiò per lasciarlo entrare.
«Cosa c'è?»
Chiese l'uomo stordito dagli schiamazzi della bambina.
«Mi scappa la pipì.» Disse lei unendo le ginocchia tra loro per trattersi, l'uomo rimase per breve tempo a pensare su come risolvere la cosa senza far uscire dalla stanza la bambina «Va bene.»
Meredith entusiasta prese cammino verso l'uscio della porta ma prima che la punta del suo piede potesse varcare la soglia dell'uscio, l'uomo la fermò dalla spalla e la spinse leggermente indietro.
«Aspetta qui, arrivo subito.» Le disse, e chiuse di nuovo  la porta a chiave.
Meredith attese un po' e quando l'uomo tornò rientrò nella stanza con in mano un secchiello da spiaggia, non bastò molto che la bambina ne intuì l'usanza e spaventata guardò l'uomo mentre glielo appoggiava accanto ai piedi. Meredith rimase in silenzio a fissare il secchiello in cui si sarebbe dovuta sedere, ma non ne aveva alcuna intenzione di farla sotto il suo sguardo.
«Che aspetti?» La bambina provò così tanto imbarazzo che avrebbe voluto farsela nella biancheria pur di non sedersi lì, ma la paura di che cosa avrebbe potuto fare l'uomo la rabbrividiva e così non avendo altra scelta cominciò ad abbassarsi le mutande.
Cercò di evitare d'incrociare lo sguardo con il suo, mentre si sedeva restò tutto il tempo a fissare il pavimento e i suoi calzini.
Una volta finito si alzò e si rimise le mutande.
«Questa sera te ne porterò uno più grande, così potrai usarlo più di una volta.»
Disse l'uomo prendendo il secchiello e avviandosi verso la porta, Meredith lo guardò mentre si allontanava verso quella che era l'unica entrata e uscita di quella stanza, desiderava di poter mettersi affianco a lui e di uscire anche lei. Ma poiché l'uomo le avesse detto che quella stessa sera le avrebbe portato un altro secchiello, stava a significare che da lì non sarebbe più uscita, era convinta che nessuno ormai sarebbe venuto a salvarla da quella situazione.

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