31.

Adesso che aveva capito tutto, che aveva finalmente compreso il motivo della sua prigionia, i suoi pensieri su Allan vennero alterati dalla compassione.
Anche se non si ricordava di averlo visto una sola volta affianco a suo papà, si ricordava benissimo della prima volta che lo vide nel suo furgone davanti alla sua scuola, se chiudeva gli occhi riusciva ancora a rivivere quei momenti di paura e terrore come un piatto surgelato riscaldato.
Non era un padre che aspettava la figlia o il figlio da scuola, né tanto meno un uomo di pubblicità a cui piaceva girare senza bici.

Era un uomo che serbava dolore e rabbia, un rancore che non faceva altro che crescere giorno dopo giorno, e in quel dodici aprile, quel dolore si sprigionò, fiorì ed emerse fuori con tutti i suoi rivi spinosi.

Ai suoi occhi Meredith non era solo una  bambina qualsiasi da sfruttare per i propri piaceri, non tramava di rapirla, violentarla, ucciderla e gettarla in un fiume. Per lui quella bambina tanto bella e vivace era la reincarnazione di sua figlia Meredith White, deceduta per annegamento in un lago.


Anche se aveva compreso il dolore dell'uomo, Meredith non poteva dimenticare tutto ciò che le aveva fatto passare in quella casa. Se lui la vedeva come qualcosa di speciale e prezioso, lei lo guardava con gli stessi occhi con cui vegliava l'armadio di camera sua, i vestiti sulla sedia e il buio in fondo al corridoio. Allan non solo l'aveva privata di libertà, ma le aveva anche dimostrato che i mostri esistevano realmente, le aveva fatto capire che le creature nascoste negli armadi c'erano davvero, che in fondo ai corridoi c'era sempre un demone e che sotto il letto ci stava  l'uomo oscuro.

Se ne stava seduta in camera sua a pensare a tutte queste cose, rifletteva seduta nella stessa stanza da cui il primo giorno cercò di scappare, se lo ricordava così bene.

Allan non si era fatto vivo da parecchie ore ed era come se nella casa ci fosse solo lei, era così curiosa di sapere dove fosse e perché non ne avesse avuto notizia per così tanto tempo. Non poteva essere ancora a letto e non poteva essersi dimenticato di lei, non lo avrebbe mai potuto fare.

Per la noia, Meredith si alzò e cominciò a girare per la stanza per l'ennesima volta.

La guardava con occhi diversi e più maturi ormai, osservò la lampada accennando un sorriso e si chiese come mai avesse così tanta paura del buio. Poi guardò l'armadio a testa alta, i cari giocattoli che le avevano tenuto compagnia e il suo soffice letto con le coperte sempre stirate e colorate. Era proprio la stanza di una bambina con tanti sogni, sogni che però non si erano mai realizzati, quella era la camera di Meredith.


La chiave della porta si girò e voltandosi Meredith attese che Allan entrasse, se fosse stato tempo fa a quell'ora si sarebbe già rifugiata nell'angolo della stanza con le ginocchia raccolte al petto. Ma ora, conoscendolo di più, sapeva quando averne paura o no.

Aprì la porta ed entrò nella stanza, ma stranamente a malapena il suo sguardo s'incrociò con quello della ragazza, la sua mano stringeva con vigore la chiave ormai anch'essa arrugginita con il passare del tempo, non era più viva e ornata di giallo ocra.
«Ciao» salutò lei guardandolo con titubanza, e lui annuendo rispose con un silenzioso cenno della testa.

Camminò dentro la stanza senza preoccuparsi troppo della porta aperta alle sue spalle, dopotutto, come sarebbe scappata di lì? Camminò seguito dagli occhi di Meredith e si sedette su quel soffice letto. Sospirò, si voltò verso il cuscino e con un debole sorriso tra le guance prese in mano una bambola riccioluta e rossa come la sua bimba, come la ragazza nella stanza assieme a lui.

«Facciamo una passeggiata...»



Tempo dopo...

Si chiedeva quale fosse il motivo e lo scopo di quella improvvisa uscita, era una persona imprevedibile sì, ma Allan non si era mai atteggiato così. Infatti Meredith lo guardò per tutto il tempo del tragitto con occhio attento e cauto.

«Dodici aprile 2007, ricordo quella data come se fosse ieri...» disse lui, poi si voltò «Tu?» chiese a Meredith. «Ricordo anch'io» rispose annuendo e alzando gli occhi verso qualche albero.
«Sai Meredith, quando una bambina scompare dalla faccia della terra in misteriose circostanze, senza lasciare alcuna traccia, è strano... non si direbbe che sia scappata di sua spontanea volontà»

Aggiunse, ma la mente della ragazza distava dalla realtà, era talmente affascinata dalla grandezza titanica di quei alberi, che non ci sentiva più. Le parole di Allan non le solleticavano neppure di un po' l'orecchio, erano chiuse dai bisbigli del vento e il fruscio delle foglie. Ma poi la gravità della voce di Allan la scosse, la richiamò al mondo reale.

«Ma adesso lasciamo questo discorso, non volevo parlarti di questo...» disse.
«Dopo che una persona scompare per molto tempo si comincia a pensare che sia morta, o che sia rinchiusa in qualche luogo lontano. Ci sono stati molti casi di rapimenti, ma tutti loro hanno avuto la stessa e identica tragica fine.
Il primo giorno la notizia si sparge da città in città, ma in pochi si preoccupano davvero.
Il secondo giorno partono le vere ricerche, salgono i dubbi, si formulano teorie e si prega.
Il terzo giorno si perde la speranza e si comincia a credere che quello che si cerca è un cadavere sepolto da qualche parte del terreno.
Il luogo più inaspettato è sempre quello più vicino a te, come i lupi vestiti da pecore.
Il quarto giorno si trova il cadavere decomposto o irriconoscibile, mutilato o anche no, oppure piegato in una valigia sulla sponda di un fiume.»

Più il suo discorso disegnava termini loschi e raccapriccianti, e più Meredith lottava dentro di sé per convincersi che Allan non avesse cattive intenzioni quel pomeriggio.

«Sono molti i luoghi in cui puoi trovare un cadavere, io ne ho molti, li vedo e li sento.
Tu per il mondo sei inesistita per sette anni, sette lunghi anni.
Tua madre, tuo padre e i tuoi amici ti hanno scordata ma io no. Io non potrei mai dimenticarti, dimenticarci. Io ti venero, ti amo»

Dopo un paio di passi si fermarono nel bel mezzo della vegetazione, talmente fitta e piena di verde che neppure la luce del giorno era in grado di toccare il terreno.
Era tutto talmente ombrato che in quel cerchio di alberi le loro ombre li abbandonarono, morirono mangiate dal buio.

«A volte mi chiedo cosa dovrei fare con te» l'uomo prese per mano Meredith e guardandola la condusse verso una roccia da cui dietro di essa sorgeva il manico di una pala incastrata sopra un cumulo di terra e foglie, Meredith per la curiosità alzò il collo, aggirò la roccia e con i propri occhi vide quella profonda e buia buca.
Sconvolta e terrorizzata guardò Allan negli occhi ma nessuna parola uscì dalle sue labbra.

«Mi dispiace Meredith, ma ormai non c'è più nulla che io possa fare per farmi perdonare. Sei morta a causa mia, mi hai dato una seconda possibilità e io ho fallito comunque. Magari se moriremo insieme sentirò meno dolore, anzi, potrei riportarti al lago se vuoi...»

dopo aver pronunciato quelle frasi malinconiche e colme di colpa, la ragazza realizzò la tremenda intenzione di Allan. Cadde in preda al panico, cercò di liberare il suo polso dalla mano dell'uomo usando tutta la forza che aveva in corpo. Ma si arrese quando lo vide sfilare dalla tasca una pistola.

«Se solo tua madre fosse qui... ahah. "Ma che diavolo fai? Allan smettila, no non farlo!" »

Farneticò puntando al centro della fronte di Meredith l'arma, entrambi tremavano ma per ragioni totalmente diverse.
La sua era solo tristezza, quella della ragazza puro terrore.

Era la prima volta che vedeva una pistola così da vicino, ne aveva una letteralmente puntata sulla fronte, bastava una leggera pressione sul grilletto e il suo cervello sarebbe schizzato fuori.
Anche se quel pensiero la disturbava, a differenza di Allan non versò nessuna lacrima.
Non era così che voleva morire, se proprio doveva accadere in quel giorno, allora voleva andarsene lottando. Quei sette anni dovevano concludersi gloriosamente e non tragicamente, voleva varcare le porte del paradiso con l'alloro in testa e la cinta dorata alla vita.

« PAPÀ NO!»

Esclamò, e il dito di Allan si sollevò subito dal grilletto.

«Non commettere lo stesso errore di anni fa»
aggiunse fissando dritto negli occhi Allan.
«Non ti ho mai perdonato, perché non ho mai serbato alcun rancore verso di te...»
«Come?» domandò lui, sconvolto dalle parole della ragazza.

«Perché ti voglio bene, papà. Ti ho sempre voluto tanto bene e continuerò a farlo»

Improvvisamente le sue mani cessarono di tremare, l'arma calò dalla fronte al petto, la sua espressione si rilassò come l'animo di Meredith.

Ma come un fulmine a ciel sereno, qualcosa entrò in lui, forse un demone, ma una scintilla di lucidità lo colpì in volto.

«Meredith, smettila!» sbraitò sollevando nuovamente la pistola alla fronte della ragazza.

«Papà che dici? Così mi fai paura, per favore, mi spaventi!» ribattè disperata compiendo un passo in avanti verso di lui, aveva l'intenzione di abbassargli l'arma e se ci sarebbe riusciva gliel'avrebbe anche presa.

«No, non ti avvicinare, aspetta...» balbettò.
«Papà, lo sai che ti voglio bene» pronunciò teneramente con la mano posata sulla pistola, che finalmente stava cominciando a puntare verso il basso.

«Ho fallito... io ho sbagliato» disse Allan calando lo sguardo verso la buca scavata.
«Non hai fallito in niente, ti sei sempre preso cura di me, mi hai investito d'amore e fatto sentire a casa» rispose lei accarezzandolo in volto,e cogliendo tutte quante le sue lacrime.

«Papà, non uccidermi un'altra volta, ti prego...»

portò entrambe le mani alle sue guance arrossate e bagnate dalle scie di lacrime, poi posò la fronte sulla sua e chiudendo gli occhi cercò di condividere con lui lo stesso pensiero.

«Che sto facendo?» si domandò Allan allontanando la fronte da quella di Meredith, e guardandola sconcertato indietreggiò confuso farfugliando frasi tra sé e sé.
Poi riprese di nuovo la mira, puntò la pistola verso la ragazza e senza alcun tremolio la guardò con occhi nuovi.
Solo Dio sapeva cosa sarebbe accaduto, solo lui sapeva dove si sarebbero trovati i loro corpi, e solo lui sapeva dove Meredith avrebbe accolto quel proiettile.

Sulla fronte, grembo di ogni suo pensiero? Sul cuore, tempio di ogni emozione provata? Oppure sullo stomaco, nidata di tutte le parole mai dette?

Meredith era disperata, rassegnata, non sapeva che altro fare per guadagnare tempo e salvarsi da quella situazione. Se si fosse messa a correre egli l'avrebbe colpita alla schiena, perciò, che poteva fare se non attendere di morire?

Era giunta la sua ora, era arrivato il momento per lei di dire addio per la seconda volta.
Chiuse gli occhi e attese inerme il colpo che l'avrebbe uccisa.

«Corri»

Pronunciò Allan.

Meredith aprì gli occhi incredula per ciò che aveva appena udito, si chiese se avesse sentito male, se il vento le avesse giocato un brutto scherzo. Ma poi Allan ripeté.

«Ho detto, corri!»

Le sue orecchie avevano sentito bene, poteva correre, ma le sue gambe non si erano ancora riprese, esse erano piantate al suolo come le fondamenta di quei alberi attorno a loro.

«Cazzo, se non cominci a correre giuro che ti sparo!»

L'aggressività nella voce di Allan scosse la gamba destra della ragazza, poi quella sinistra, poi di nuovo la destra e così via.

«Corri cazzo! Corri!»

In un attimo si trovò a correre controvento tra le foglie e i rami che vestivano il terreno, sotto il suono morbido delle foglie calpestate udiva gl'impeti di Allan rimbomare da un tronco all'altro.

«Corri! Vai via da me, vattene!»

ogni muscolo del suo corpo ardeva, il vestito azzurro le svolazzava come un soffione al vento, le sue gambe si allungavano per conquistare maggior terreno.
Le maledette radici cercavano di trattenerla dal correre libera, ma lei si rifiutava di cedere a quei piccoli diavoli, continuò a correre e a correre verso la luce.

E sorrise.

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