27.

Erano trascorsi giorni, ma Meredith non lo sapeva con precisione dal momento che non ne teneva più molto conto.
A dire la verità, non sapeva nemmeno quanto tempo avesse trascorso sotto l'ala di Allan.

«Alzati Meredith, non vorrai stare a letto tutto il giorno?»

Domandò Allan svegliando la ragazza che dormiva con la testa sul suo braccio.

«Ora mi sveglio» disse sbadigliando,  in realtà non aveva per niente dormito quella notte, i suoi occhi erano stati aperti a custodire il telefono di Allan appoggiato al comodino. Si chiedeva ripetutamente se ne valesse la pena di rischiare nel prenderlo, ma ogni volta proprio all'ultimo momento, la paura prevaleva su di lei come un'ombra.

«Ha dormito bene?» domandò Allan.

Non era casuale il fatto che il telefono si trovasse esposto sopra il comodino, lo aveva appositamente lasciato lì per  vedere se la ragazza sarebbe stata tentata di prenderlo durante la notte.

Si alzò dal letto, Meredith lo seguì ed entrambi prima di uscire dalla stanza sistemarono le lenzuola.
Una volta sistemato il letto, e dopo una lesta rinfrescata in bagno, i due scesero al piano di sotto per preparare la colazione e iniziare la giornata.

«Devi soffiare, scotta un po'» avvertì l'uomo servendo la tazza di tè alla giovane.

Meredith lo ringraziò e posò la tazza sulle sue gambe per goderne il calore.

«Bella giornata» disse Allan guardando fuori dalla finestra, e in effetti la giornata era veramente bella. Il cielo era minaccioso e grigio come un quarzo tormalinato, sarebbe piovuto di lì a breve e l'odore della pioggia faceva impazzire le narici di Allan.

«Giornata perfetta per una passeggiata» aggiunse «Davvero?» chiese Meredith, non cogliendo il sarcasmo dell'uomo.
«Sì, perché no?»

«Ma Allan, farà freddo» ribattè lei, cominciando a credere che stesse bleffando, ma temeva che da qualche parte desiderasse davvero uscire.

«Tranquilla» senza aggiungere altro se non delle varie occhiate, la giovane sorseggiò il suo tè guardando un po' la stanza, e i suoi occhi vennero colpiti dalla vastità di coloro che regnavano sugli scaffali della libreria.
Erano presenti molti libri, ma non aveva mai avuto la possibilità di guardarli.

«Ti piace leggere?» domandò.
«No» rispose lui scuotendo il capo. «Allora come mai così tanti libri?» «Per bellezza, il mio salotto senza tutti quei colori muore»
«Ma come? Non ne hai letto neanche uno?»
«Non mi piace leggere, non mi è mai piaciuto»

Rispose, poi bevve un po' dalla sua tazza e aggiunse «I libri non fanno per me.» Poi guardò la ragazza e disse.

«E a te? Ti piace leggere?»
«Io preferisco la televisione»
«Preferisci avere un'immagine di fronte giusto?»
«Mi annoia leggere, tutto qui»

Allan calò lo sguardo al riflesso di Meredith disteso sulla superficie del tè, per un secondo dentro di sé venerò quell'immagine, l'adorò e l'ammirò. Meredith si sentiva appesantita dallo sguardo di quell'uomo eppure non la stava guardando, stava ammirando il suo riflesso e non lei.

«È una bella giornata, perfetta per una passeggiata all'aperto...»

Ripeté, e fu in quel momento che Meredith realizzò che Allan stava dicendo sul serio.
Ma che poteva dire?

Un'ora più tardi...

«Venivo spesso qui da piccolo, mi ci portava mio padre» disse Allan osservando il paesaggio, nei suoi occhi si dipinse una scintilla, una scintilla che in un lampo gli mostrò la sua infanzia.

«Davvero?» domandò Meredith «Sì, era il mio luogo di culto, di pace... venivo qui per riflettere» rispose lui. «Vieni qui spesso?» «Non più come una volta»

C'era qualcosa nella sua mente e la ragazza lo sapeva, il cielo non aveva ancora scatenato la sua furia contro la terra, perciò c'era ancora tempo.

«Ora a cosa pensi?» gli domandò «A molte cose Ford, alla mia vita, alle scelte che ho fatto e soprattutto a te. Spesso mi domando come mandare avanti la nostra vita insieme, mi chiedo se ne vale la pena...» lasciò la frase spezzata in un sospiro.

«Avanti andiamo, camminiamo un po'» riprese aggravando il tono di voce.
Si presero per mano e Meredith si accorse che la sua presa rispetto quella di Allan era molto più calda, più viva della sua.

«Allan, io ho freddo» balbettò, ma non ottenne risposta. Nel frattempo il vento le alzava la gonna e si divertiva a giocare con i suoi capelli spazzandoli in dietro o in faccia. «Allan, torniamo a casa per favore, ho freddo» ripeté infastidita dalle maniere perverse del vento, ma l'uomo la ignorò e non si mostrò geloso nei confronti del vento.

Magari stava pensando, oppure era troppo preso a fissare la vasta vegetazione davanti a loro, oppure voleva solo ignorare i capricci della ragazza. Dopotutto il vento era come un bambino, non sapeva quello che stava facendo.

Dopo una breve camminata si sedettero sull'erba, anch'essa gelata quanto le gambe di Meredith, ogni filo d'erba era rivestito di una brina leggera ed elegante, come se pronto per un ballo. «Hai la pelle d'oca» disse lui guardandole le gambe vacillare una contro l'altra.

«Sì» rispose lei, ipotizzando che le avrebbe dato la sua giacca per coprirsi. Ma invece le sue intenzioni sembravano essere totalmente diverse.
La prese delicatamente per i capelli portandola a stendersi con la schiena a terra, dopodiché si avvicinò al suo fianco.
«Che vuoi fare?» chiese lei.
«Shh...» sibilò portando il dito sulle sue labbra, mentre con l'altra mano cominciò ad alzarle il vestito fino ai fianchi, poi guardandola negli occhi fece lentamente scivolare la mano tra le sue esili cosce, riscandandole entrambe semplicemente con il proprio tocco.
Meredith irrigidì le gambe per permettergli meno libertà di movimento, ma poi cominciò ad avere caldo, le sue gambe iniziarono a scaldarsi come se dinanzi un camino.
Così rilassò le gambe, distolse lo sguardo da quello di Allan e chiudendo gli occhi si godette le carezze.

«Ora non hai più la pelle d'oca»

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