13.
«Ci vediamo stasera, Meredith» pronunciò Allan portando le sue labbra fredde sulla fronte tiepida e liscia della ragazza «Ciao, ciao» salutò lei guardandolo mentre si avviava a passo lento verso la porta, e dopo un ultimo saluto e sorriso, Allan lasciò la stanza.
Adesso Meredith si trovava in completa compagnia di sé stessa, non sapeva per quanto tempo avrebbe atteso il ritorno di Allan, c'erano giorni in cui tornava presto e altri dove faceva rientro alle tre del mattino.
Per passare il tempo e colmare le ore di attesa, iniziava a fare ciò che tutte le bambine fanno quando annoiate: giocare.
C'era un quadro di vetro che l'uomo le aveva dato, l'oggetto al suo interno conteneva delle farfalle imbalsamate e a Meredith piaceva guardarle e dar loro dei nomi creativi e difficili.
Oltre le farfalle, ora la stanza era animata di giocattoli, pupazzi e bambolotti. Tutti quelli oggetti aiutavano la bambina a non sentirsi sola e lontana da casa, i pastelli colorati la riportavano nei banchi di scuola, le bambole nella casa della nonna e i giocattoli nella sua cameretta.
Ma tutti questi oggetti colorati e vivaci suscitavano in lei grandi dubbi, poiché non erano presenti altre bambine oltre a lei in quella casa, si chiedeva come mai ci fossero tutti quei giochi.
Ad alcuni orsacchiotti mancavano i bottoni all'occhio, ad alcune barbie erano stati colorati e tagliati i capelli e i pastelli colorati avevano l'etichetta del suo stesso nome.
"Che li abbia già usati lui?" Pensava la bambina, ma dubitava che un uomo come lui giocasse ancora con quelle cose, dovevano appartenere alla figlia...
Due ore dopo...
Il tempo passava senza che se ne accorgesse, d'altronde, come sempre. Ma non solo perché non sapesse bene contare le ore, ma perché i giocattoli le facevano compagnia.
Era talmente presa e cimentata a giocare a fare finta, che si era dimenticata di essere in una stanza non sua, in una casa sconosciuta, con un uomo.
Meredith era come una ragazza brilla nella notte, felice e spensierata in un mondo colorato che poteva vedere soli lei, i giocattoli parlavano e li poteva sentire.
«Principessa Sarah, posso venire al tuo matrimonio?» chiese alla bambola in abiti nozzuali, e la sposa con un sorriso timido rispose alla bambina. «Certo, puoi essere la mia damigella se vuoi»
Meredith lusingata, fece un elegante inchino dinanzi la sposa per mostrarle la propria gratitudine. «Ne sarei onorata principessa Sarah, ti terrò il velo»
La sposa sorrise a annuì.
Un'ora dopo...
Il matrimonio era finito e gli invitati erano sfiniti, lo stomaco di Meredith era colmo di dolci e roba fritta, adesso era stesa sul letto per riprendere le forze perse sulla pista da ballo. Tutti gli occhi erano su di lei, affascinati per sue doti di danza, persino gli occhi dello sposo erano attratti ai suoi movimenti. «Il prossimo matrimonio è mio» disse con il fiatone guardando la sposa, anche lei a terra accanto allo sposo.
«E tu sarai la mia damigella»
Due ore dopo...
Il sole era oramai calato, la stanza era fredda e buia, Meredith si mise sotto le coperte circondata dai suoi pupazzi preferiti con la lampada accesa. Teneva lo sguardo rivolto allo spiraglio di luce sotto la porta per cogliere l'esatto momento in cui Allan sarebbe passato, sapeva che avrebbe aspettato tanto ma l'attesa l'aiutava a prender sonno prima.
«State svegli» disse agli amici attorno a lei, i loro occhi non potevano chiudersi perciò potevano aiutarla a tenere d'occhio la luce. «Se mi addormento ditemelo»
Aggiunse, quando iniziò a sentire il peso del sonno sulle palpebre, gli sbadigli si facero più larghi e lunghi e gli occhi bruciarono come il polpastrello dell'indice sulla fiamma danzante di una candela.
La vista si annebbiava sempre di più, le palpebre cominciarono a cedere e finalmente dopo tanta resistenza opposta, il sonno vinse sulla bambina. Al contrario dei pupazzi, il sonno non avrebbe potuto colpirli, loro rimasero a vegliare al posto di Meredith la luce sotto la porta fino al ritorno di Allan.
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