Il cobra e lo sciacallo ⇝ Superbia ⌇ SakuAtsu

Superbia

Radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri; il Superbo è quella persona che sovrastima sé stesso all'ennesima potenza e che quindi reclama per sé  posizioni di grande privilegio e di potere superiore agli altri. 


Credits to @y_kabara (Twitter)


SHIP: Sakusa Kiyoomi x Miya Atsumu

PAROLE: 5.329

RATING: 🟨 light nsfw

TW: Yaoi Lime  Spoiler (post Time-Skip)


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* * * ATTENZIONE * * *

QUESTA STORIA CONTIENE SCENE E LINGUAGGIO ESPLICITI

- - - ADATTA PER UN PUBBLICO ADULTO - - -

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- Era dai tempi del liceo che non mi abbuffavo così di Yakiniku! Cazzo, aveva ragione Samu. Non voglio vedere più carne alla griglia per un mese! – ma Atsumu non lo avrebbe mai ammesso così apertamente davanti a suo fratello.

- A chi lo dici! Sto scoppiando! – gli fece eco Hinata continuando a camminare lungo la strada deserta, illuminata solo da pochi lampioni.

- Sho-kun, non so davvero dove la metti tutta la roba che mangi! – osservò Bokuto dandogli una pacca sulla spalla.

- Faccio tanta cacca! – rispose Hinata, suscitando l'ilarità del gruppo.

- Shhh! – cercò di zittirli Inunaki – È notte fonda, non vorrei che qualcuno ci tirasse in testa un secchio d'acqua! –

Inspiegabilmente la sua ammonizione scatenò altre risate; la voce tonante di Bokuto rimbalzava tra i palazzi seguita da quella gracchiante di Hinata, in una cacofonia stridente e importuna.

- Peccato che Sakusa-san non sia venuto. – commentò Hinata dopo un po', osservando Miya di sottecchi.

Atsumu sollevò il sopracciglio prima di replicare.

- Non avrebbe mangiato nulla, lo sapete. –

- Non è che invece lo hai fatto incazzare, Miya-kun? – domandò Bokuto sbattendo gli occhioni con candore. O forse erano le cinque birre che si era scolato a rendergli difficile la messa a fuoco.

- Già! Vi ho visti che discutevate oggi agli allenamenti. – Tomas gli diede manforte.

- E quale sarebbe la novità? – domandò Inunaki.

Atsumu abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe e non replicò.

Avevano ragione loro. Lo aveva fatto incazzare. Capitava sempre.

Non riusciva a capacitarsi del perché la sua linguaccia riuscisse a dire sempre la cosa sbagliata. Con tutti, in effetti, ma con Sakusa in particolar modo. O forse era solo Omi che non perdeva occasione per rispondergli a tono.

Non ricordava nemmeno come fosse iniziato il loro battibecco, o forse preferiva non pensarci, ma una volta innescato il meccanismo entrambi volevano sempre avere l'ultima parola, e di solito era una parolaccia.

Sakusa aveva calamitato la sua attenzione sin dal primo momento in cui era entrato in squadra. Si rendeva conto di essere infantile, Atsumu, nel suo modo di dimostrare interesse dando fastidio alle persone. Ma era più forte di lui.

Samu gli faceva sempre notare il suo atteggiamento del cazzo. Ma Samu non c'era. Troppo occupato a lanciare la sua attività per ricordarsi che suo fratello aveva bisogno di lui.

- Beh, ragazzi, sono arrivato. Buona notte! – Atsumu si richiuse il portone alle spalle, ma nemmeno quello riuscì ad attutire gli schiamazzi di Hinata e Bokuto che si allontanavo lungo la via.


❂˜°•°˜❂


Atsumu si svegliò di colpo, la bocca secca e arida, e una morsa che gli stringeva il cranio. Allungò la mano e accese la luce su comodino.

- Ecco, bevi. – seduto sul bordo del letto, Osamu gli allungò un bicchiere colmo d'acqua e cubetti di ghiaccio.

Atsumu si tirò a sedere con un secco colpo di reni.

- Che cazzo ci fai qui? – domandò confuso.

- Ti porgo l'acqua. – Osamu avvicinò ancora di più il bicchiere alla bocca del fratello.

Atsumu lo prese con un movimento brusco, i cubetti tintinnarono e qualche goccia d'acqua gli bagnò la maglietta mentre si scolava metà bicchiere.

- Che cazzo stai combinando? – chiese Samu, accondiscendente, dopo che il fratello ebbe posato il bicchiere sul comodino.

- Eh? Cosa ci fai TU in casa mia nel cuore della notte, e con... questa roba addosso?!?– si rese conto solo in quel momento che Osamu indossava la casacca da cuoco, ma non era la sua solita giacca nera con cui preparava gli onigiri. Questa aveva una doppia fila di bottoni dorati, e complicati arabeschi d'oro ricamati sui polsini.

- Sono venuto per aiutarti. – rispose Osamu. Allungò una mano e la strinse attorno al polso del fratello.

Atsumu scattò e si ritrasse, il tocco di Samu come una violenta scossa che gli risaliva lungo tutto il braccio.

Alzò lo sguardo e si accorse di essere seduto al tavolo della mensa scolastica delle medie. Samu, di fronte a lui, sorrideva alla sua espressione sbalordita.

- Forte, eh? –

Atsumu non riuscì a ribattere, ancora troppo scosso.

- Ok, sto sognando. Fanculo lo Yakiniku! – disse dopo un istante.

- Può darsi. - Rispose Samu. – Ma già che siamo qui, prova ad ascoltare. -

La loro versione tredicenne acquistò lentamente consistenza al tavolo accanto: i loro corpi acerbi ricalcavano la stessa posa di quelli adulti, seppur in divisa scolastica. Ma l'immagine non era completamente formata; restavano impalpabili e imprecisi, come un film proiettato su una parete scabra e ruvida.

"Tsumu, tu non piaci agli altri."

"E allora?"

"Ho deciso che non diventerò mai come te. Io sarò un bravo ragazzo."

"Ma che stai dicendo?"

"Che stai dicendo tu!?! Ti sei arrabbiato con tutti perché abbiamo perso."

"Le mie alzate erano perfette. Quindi sì, cazzo, mi sono arrabbiato."

"Non esisti solo tu..."

Parole e immagini sbiadirono nuovamente nel passato lasciando i due ragazzi ventitreenni a fissarsi alla inclemente luce dei neon.

- Che cazzo significa? –

- Che tu sei ancora così, Tsumu. - rispose Osamu con dolcezza allungando di nuovo la mano per afferrare il polso del fratello.

Un'altra scossa li proiettò sugli spalti, era il secondo giorno del Torneo Primaverile, al loro secondo anno di liceo.

La banda suonava, un eco ovattato nelle loro orecchie, come la musica trasmessa da un grammofono. Anche la consistenza delle persone era tremolante e indefinita, come poco prima in mensa.

Le uniche sagome solide erano loro due, Tsumu in boxer e maglietta, e Samu con la strana divisa nera e oro.

In campo, stava per iniziare il match con la Karasuno.

- Perché cazzo mi hai portato qui? – Atsumu fece per alzarsi, ma Samu lo prese per il polso e lo rimise a sedere.

Atsumu Miya diciassettenne si stava preparando a servire. Alzò la mano e, quando chiuse il pugno in un gesto stizzito, la banda smise immediatamente di suonare.

Prese la rincorsa ed eseguì un ace perfetto. O quantomeno, lo era secondo i suoi canoni da diciassettenne, pensò, osservando, non senza una punta di compiacimento, quanto in realtà fosse migliorato da allora.

Due ragazzine appoggiate alla balaustra urlavano per l'eccitazione, incitando il loro idolo.

Atsumu in campo si voltò verso gli spalti e le trafisse con uno sguardo di fuoco.

Come in un fermo immagine, la scena si congelò attorno a loro.

- Ti ricordi cosa avevi detto? – chiese Osamu al fratello seduto accanto a lui.

- No, Samu. Sono passati più di cinque anni, come potrei ricordarmelo...? - ma era una bugia.

Atsumu ricordava perfettamente quanto fosse infastidito da quelle "brutte scrofe moleste".

Quella partita era stata un punto cardine nella sua carriera pallavolistica, l'aveva rivissuta nella sua mente un milione di volte. E quel servizio sbagliato, dopo la loro interruzione, era tornato a tormentarlo per anni nei suoi incubi. Si era chiesto decine, centinaia di volte, cosa sarebbe successo se non si fosse deconcentrato; probabilmente quel secondo servizio sarebbe stato un altro ace, che avrebbe potuto cambiare le sorti della partita.

Si chiedeva anche se una vittoria lo avrebbe stimolato a migliorarsi come aveva invece fatto la sconfitta.

Un sorrisino sul volto di Osamu confermò che lo sapeva anche lui, ma non infierì.

Spostò invece l'attenzione del fratello sullo striscione della tifoseria. Anche se dagli spalti non poteva leggerlo, ricordava quella frase che veniva ripetuta come un mantra dalla Inarizaki del 2013: "Non abbiamo bisogno dei ricordi".

- Questo è il tuo problema, Tsumu. L'hai sempre presa troppo alla lettera. –

Atsumu fissò il fratello con espressione interrogativa.

- Guardare al futuro è un'ottima cosa. Ma imparare dal passato è fondamentale. Ti sei sempre concentrato sulle cose sbagliate. Il passato non è solo fonte di rimpianti. È una grande scuola. E solo se ti poni con mente e cuore aperti, puoi fare tesoro delle esperienze e capire che cosa devi cambiare nel tuo futuro. -

- Ok Samu, basta, mi sono rotto il cazzo. Voglio tornare nel mio letto. –

Atsumu si alzò e imboccò le scale che portavano giù dagli spalti.

Come scese l'ultimo gradino, si ritrovò negli spogliatoi dei MSBY Black Jackals.

Sakusa entrò come una furia sbattendo la porta della palestra e cominciò a rovistare nella sua borsa.

Il volto paonazzo e lo sguardo spiritato, infilò la giacca della tuta senza nemmeno cambiarsi. Senza doccia! Sakusa!

Atsumu fece marcia indietro ma le scale erano scomparse. A braccia conserte, Osamu sogghignava mentre lo raggiungeva.

Hinata arrivò trafelato dalla stessa porta di Sakusa, che sbatté una seconda volta.

"Sakusa-san. Non fare così. Lo conosci, sai com'è fatto."

"Non me ne frega un cazzo. Sono un professionista, io. Non ho intenzione di stare qui a farmi prendere per il culo da un arrogante presuntuoso spocchioso..." si incespicò, non trovando altri insulti da indirizzare verso colui che lo aveva fatto incazzare così tanto.

Atsumu comprese di essere lui quella persona.

Il pomeriggio precedente aveva avuto un battibecco con Sakusa durante gli allenamenti, e Kiyoomi se n'era andato dalla palestra, seguito poi da Hinata. Stava assistendo alla loro conversazione.

Lui era rimasto in campo ad allenarsi ancora con gli altri, e poi a fare delle alzate a Bokuto. E poi erano andati fuori a cena.

Sakusa, nel frattempo, era arrivato alla porta e stava indossando la mascherina che aveva estratto dalla sua borsa.

"Sho-kun, mi dispiace, non ce l'ho con te. Ma io e Miya non possiamo giocare nella stessa squadra. Non siamo compatibili."

Il sangue si gelò nelle vene di Atsumu, che impallidì sgranando gli occhi.

Sakusa uscì dagli spogliatoi mentre Hinata si accasciava sulla panca, lo sguardo mesto e un'espressione affranta.

- Domani gli sarà passata... – provò a dire ad Osamu, ma non convinse nemmeno sé stesso.

Non aveva capito che Sakusa fosse così arrabbiato, né che lo ritenesse davvero così pessimo come aveva detto a Hinata.

Senza lasciargli il tempo di riflettere ulteriormente sulla scena a cui aveva appena assistito, Osamu lo prese sotto al braccio e lo guidò dentro la palestra dove si stava svolgendo una partita: MSBY Black Jackals vs Schweiden Adlers.

Ma c'era qualcosa di strano, di sbagliato, qualcosa fuori posto.

Miya al servizio, prese la rincorsa e batté quello che aveva tutte le carte in regola per essere un ace.

Ushijima ricevette il suo servizio perfetto, una bomba di potenza e precisione, come se fosse la palla più facile del mondo.

Un passaggio preciso sotto rete, Kageyama alzò in maniera impeccabile in favore di... Sakusa. La schiacciata di Kiyoomi si abbatté ancora su Miya in campo, le braccia allungate in un bagher scomposto che mandò la palla sugli spalti.

Atsumu era in piedi dietro la panchina. Osamu al suo fianco guardava con tenerezza suo fratello che fissava sé stesso in campo.

La divisa dei Jackals gli stava larga, evidentemente era dimagrito, o più probabilmente aveva perso massa muscolare. Profonde occhiaie violacee cerchiavano i suoi occhi, e una sciatta ricrescita scura spiccava sui suoi capelli troppo lunghi.

Ma la cosa che più sconvolse Atsumu fuori dal campo, fu il ghigno sul volto di Kiyoomi.

Kiyoomi che era passato agli Adlers.

Kiyoomi che giocava contro di lui.

Kiyoomi che si diede il cinque con Kageyama, trattenendo le loro mani unite un secondo più del lecito. Sicuramente ben oltre la soglia di sicurezza con cui Sakusa consentiva agli altri di addentrarsi nel suo spazio personale.

Con le lacrime gli occhi, Atsumu si voltò verso Osamu.

- Ok. Basta. –

Tutto si bloccò attorno a loro, vibrando e tremolando come un fermo immagine di una vecchia VHS.

- Questo è il futuro? – chiese ancora Atsumu.

- Probabile. – rispose Samu.

- In che senso? –

- Dipende da te, Tsumu. Questo potrebbe essere il futuro per come stanno andando le cose nel tuo presente. Ma sei ancora in tempo per cambiarlo. Impara dai ricordi. Io lo so che non sei così stronzo come vuoi sempre far credere agli altri. – Samu mise un braccio attorno alle spalle di suo fratello e lo riportò verso spogliatoi.

- Ora sta a te decidere cosa vuoi fare. –

Atsumu spinse la porta.

Una luce abbagliante lo colpì, un senso di vertigine profondo lo travolse, un vortice lo avviluppò; non riusciva più a distinguere il sotto dal sopra, il passato dal futuro. La luce lo inghiottì, e non ci fu più nulla.


❂˜°•°˜❂


Il suono del citofono risuonò insistente e fastidioso, interrompendo il suo sabato mattina di pulizie.

Kiyoomi sfilò i guanti di gomma e si avvicinò all'ingresso dove si fermò restando di sasso all'immagine sgranata sullo schermo del videocitofono.

Atsumu guardava nervoso intorno a sé, spostando il peso da una gamba all'altra, in una danza nervosa e irrequieta.

Sakusa schiacciò il bottone dell'audio.

- Che cosa vuoi? – chiese senza preamboli.

- Se mi fai salire te lo dico. – rispose Atsumu, guardando l'unica macchina che passava in strada come se fosse la limousine di una celebrità. Tutto pur di non volgere lo sguardo alla telecamera.

- Perché dovrei farti salire? – chiese ancora, davvero irritato.

Atsumu piazzò davanti alla telecamera un barattolo gigante di umeboshi*. Quindi avvicinò il viso e per la prima volta guardò nell'obiettivo.

- Un'offerta di pace. – disse con il suo sorriso più affascinante.

Kiyoomi ebbe un sussulto proprio in mezzo allo stomaco, ma il sorriso di Miya non c'entrava niente. Era più come una premonizione, una sensazione subdola e strisciante, la certezza quasi assoluta che se ne sarebbe pentito.

- Secondo piano. – e aprì il portone.

Atsumu salì i gradini due per volta, e in un attimo era davanti alla porta socchiusa. La spinse piano, ed entrò nell'ingresso in penombra. Si richiuse la porta alle spalle e tolse le scarpe.

Dal soggiorno arrivarono alcuni rumori, quindi le istruzioni di Sakusa.

- Alla tua destra c'è il bagno. Puoi prendere una salvietta dalla pila sulla vasca, dopo buttala nel cesto. –

Atsumu si lavò le mani con cura e attenzione. Quasi non si capacitava di essere davvero nell'appartamento di Sakusa.

Si era svegliato con la nausea, la testa dolente e le lenzuola un disastro.

Era stato un incubo, un terribile incubo davvero allucinante. Un incubo così realistico da avergli lasciato un groviglio opprimente in mezzo al petto che gli bloccava il respiro. Sentiva le palpebre pesanti e continuava a sbatterle senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione di stare ancora sognando. Aveva vagato per casa come uno zombie per tutta la mattina, finché si era deciso ad agire.
In effetti si era sentito meglio solo dopo aver preso le chiavi della macchina, e aveva ricominciato a respirare davvero mentre guidava verso la sua destinazione.
Il konbini sotto casa di Sakusa gli aveva suggerito l'idea che presentarsi con un dono avrebbe ammorbidito Kiyoomi e forse gli avrebbe reso meno difficile quello che stava per fare.

Uscì dal bagno e si guardò intorno con curiosità mentre si dirigeva verso il soggiorno da cui ancora provenivano strani rumori.

Sakusa stava finendo di lavare il pavimento davanti alla finestra; rimise a posto un complicato portafiori di ferro, su cui facevano bella mostra almeno una decina di orchidee variopinte.

In pantaloncini neri e t-shirt bianca, indossava con estrema eleganza un paio di guanti gialli di gomma.

- Come hai avuto il mio indirizzo? – esordì, mentre appoggiava lo spazzolone al muro e sfilava i guanti con movimenti che Atsumu trovò incredibilmente sensuali.

- Suna. Komori in realtà... - rispose piano mentre si addentrava nell'ambiente pulito e scintillante.

La sua attenzione era ancora completamente catturata dal movimento delle mani di Sakusa che, sfilato il secondo guanto, li aveva appoggiati con cura sul bordo del secchio.

- Lo ammazzo. – sentenziò gelido, per poi continuare - Siediti. – gli indicò il divano, mentre a sua volta si andò a sedere sulla poltrona di fronte.

Miya si sedette nervoso, e finalmente alzò lo sguardo sul volto del padrone di casa.

Leggermente arrossato sulle gote, leccò dalle labbra una gocciolina di sudore. Aveva fermato il lungo ciuffo riccio con una minuscola pinza, di quelle che i fioristi usano per sostenere le orchidee, e agli occhi di Atsumu non era mai apparso così bello.

Sakusa notò la direzione dello sguardo di Atsumu, e tolse velocemente la pinza attaccandola al bordo inferiore della t-shirt. I riccioli scuri ricaddero sulla fronte, e lo stomaco di Atsumu fece una capriola.

- Che cosa vuoi, Miya? Cosa ti porta a interrompere la mia mattina di pulizie? – arrivò subito al punto, alquanto seccato per l'interruzione.

Atsumu si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia, e si costrinse a fissare i suoi occhi in quelli del suo compagno di squadra.

- Volevo scusarmi per ieri. – disse lentamente, la fatica di pronunciare quelle parole davvero palpabile.

- Vai avanti. – lo incalzò Sakusa mentre si appoggiava con la schiena alla poltrona, assumendo una posizione più comoda e rilassata ora che aveva scoperto il motivo della visita.

- Mi dispiace, non so bene cosa sia successo ma mi dispiace. – aggiunse Atsumu, l'imbarazzo che cresceva e coloriva le sue guance. Non era abituato a scusarsi. Forse non lo aveva mai fatto in vita sua.

- No. – rispose Sakusa, senza aggiungere altro, continuando a fissarlo dalla poltrona a braccia conserte.

- No? – chiese Atsumu sollevando un sopracciglio.

- No. Non puoi scusarti se non sai per cosa. Non ha valore. – spiegò paziente Sakusa, un accenno di divertimento a stendere la sua bocca carnosa.

- Ok. Non ci siamo coordinati e abbiamo sbagliato il colpo. – provò a spiegare Atsumu. All'imbarazzo si stava aggiungendo anche una punta di irritazione. Possibile che volesse rendergli le cose ancora più difficili?

- No. Non sono stato IO a sbagliare il colpo. – puntualizzò Sakusa ormai palesemente divertito.

Atsumu restò quasi folgorato da quel sorriso; in campo non poteva osservarlo come voleva, e nelle altre situazioni indossava sempre la mascherina, togliendola velocemente solo per mangiare e bere. Ma forse era meglio così, pensò Miya in una frazione di secondo. Quel sorriso era illegale, sfacciatamente sexy e sentiva senza ombra di dubbio che avrebbe potuto chiedergli anche la luna e lui gliela avrebbe donata.

- Ok. Hai ragione. La mia alzata era imprecisa, mi dispiace, non sono perfetto... – si riscosse Atsumu, deglutendo a fatica, e cercando di arrivare velocemente alla fine di quella scena imbarazzante.

- Le tue alzate sono sempre perfette. Ma quella di ieri era sbagliata nei tempi. –

Atsumu rimase per un attimo sorpreso; Sakusa, che lo criticava sempre, gli aveva appena fatto un complimento. Si guardò attorno per un momento, temendo di vedere ricomparire Osamu con la strana casacca dai bordi dorati.

- Hai ragione. Ero in ritardo. Non stavo seguendo il gioco con attenzione. – ammise infine, rendendosi conto in quell'istante di come realmente fossero andate le cose. O forse lo aveva sempre saputo ma non voleva ammetterlo nemmeno con sé stesso.

- Perché? – lo incalzò ancora il moro. Sembrava che sapesse dove voleva andare a parare, o semplicemente si stava divertendo un mondo a mettere Atsumu a disagio.

- Ero distratto. – confessò.

- Perché? -

- Perché non stavo guardando Hinata quando ha ricevuto. – Atsumu abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. L'espressione divertita di Sakusa era tremendamente irritante, e non sapeva se avrebbe voluto prenderlo a pugni o riempirlo di baci.

- Perché? -

- Ma che cazzo è, un interrogatorio? – si sentiva ormai con le spalle al muro. Stava per imboccare una strada senza ritorno, e non era davvero sicuro di volerlo fare. Un conto era andare a scusarsi, per evitare che lasciasse la squadra. Altro conto era mettersi a nudo così, rivelando i propri sentimenti e scoprendo il fianco ad un cobra velenoso che lo avrebbe sicuramente attaccato col suo morso letale.

- Perché? – insisté ancora Sakusa, spostando anch'egli il peso in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia, per sporgersi a fissare Miya dritto negli occhi.

- Perché stavo guardando te! – si arrese senza distogliere lo sguardo, ma arrossendo ormai fino alla punta dei capelli.

- Quindi ti stai scusando per esserti distratto a guardarmi? – chiese, sollevando un sopracciglio e sorridendo ormai apertamente a quella confessione.

- No. Non mi scuserò mai per quello. – ammise Miya con un impeto di coraggio, tornando a fissare le sue stesse scarpe – Mi scuso per averti addossato la colpa della schiacciata sbagliata. È stata tutta colpa mia. -

- Ok. – Sakusa tornò ad appoggiarsi alla poltrona e accavallò le gambe soddisfatto.

- Ok? – Miya alzò di nuovo gli occhi in quelli di Sakusa e si stupì di quello che trovò.

Divertimento, certo, ma anche ammirazione. Si aspettava il sarcasmo, era pronto con l'antidoto contro il suo morso velenoso, e invece il cobra si era di nuovo ritirato nel suo cesto, arrotolandosi quieto sul fondo.

- Ok. Scuse accettate. – riconfermò sorridendo apertamente.

- Ok. – anche Atsumu sorrise.

- Ok. Quindi puoi andare, così io posso continuare con le pulizie. – Sakusa si alzò lentamente dalla poltrona, dando l'esempio al suo ospite che invece non accennava ad alzarsi.

- Ma se la tua casa splende e profuma di già... - obiettò Atsumu indicando con un cenno del mento il salotto lindo e luminoso.

- Grazie per gli umeboshi. – disse a riconfermare il congedo, mentre indicava il barattolo che Miya aveva appoggiato sul divano accanto a sé.

- Veramente sono venuto anche per un altro motivo. – Atsumu non accennava a volersi alzare, ma spostava il peso da una chiappa all'altra come se il divano fosse cosparso di carbonella rovente.

- Cioè? -

- Volevo chiederti di uscire. –

Gli era uscito di getto. Non lo aveva premeditato come le scuse, ma non se ne pentì nemmeno quando un sorriso sarcastico distese le bellissime labbra di Kiyoomi.

- Con te? – Sakusa fece un passo indietro e si appoggiò allo stipite della porta incrociando le braccia al petto.

- Con me. – confermò Atsumu alzandosi finalmente in piedi e facendo un passo nella sua direzione.

- E cosa ti fa credere che uscirei davvero con te? – lo sfidò alzando il mento.

Miya lo osservò per un istante, l'indecisione leggibile chiaramente nel suo sguardo. Aveva invitato ad uscire centinaia di ragazze, e le poche che gli avevano risposto di no erano state quelle più divertenti da convincere. Perché alla fine, le aveva sempre convinte tutte.

Ma Kiyoomi Sakusa era tutto un altro discorso, e non riusciva ancora a spiegarsi perché fosse così ossessionato da quegli occhi scuri e da quei riccioli ribelli. L'invito gli era uscito spontaneo, e si stava giusto rendendo conto in quel momento di quanto disperatamente volesse uscire con lui. Ma non voleva nemmeno mettersi in ridicolo. Per il momento, era sufficiente che avesse accettato le sue scuse.

- Hai ragione. Ma dovevo comunque provarci. – Miya sorrise, un sorriso mesto e rassegnato mentre si allontanava dal divano in direzione della porta di casa.

- L'importante è che tu non esca con Kageyama. – aggiunse poi, quasi sussurrando.

- Cosa? -

- Niente, niente. Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato. Ci vediamo lunedì agli allenamenti. – concluse ormai in corridoio.

- Miya...? – Sakusa lo seguì.

- Sì? – Atsumu si voltò.

- Cosa ti è successo? – chiese di getto.

- Perché? -

- Sei cambiato. Sei diverso. – spiegò Sakusa avvicinandosi di un passo.

- In che senso? – chiese Atsumu confuso.

- Meno stronzo. – il sorriso sulle sue labbra carnose lo fece percepire ad Atsumu come il più bello dei complimenti e sorrise a sua volta.

- Colpa di Samu. Mi ha tormentato tutta la notte. – confessò ridendo.

- Eh? –

- Lascia stare... - Atsumu scese il gradino per mettersi le scarpe.

- Miya...? -

- Che c'è? – Atsumu si voltò, questa volta infastidito.

Perché continuava a torturarlo? Gli aveva chiesto di andarsene, aveva rifiutato il suo invito. Che lo lasciasse tornare a casa ad uccidersi di serie Tv sul divano, col barattolo gigante di Haagen-Dazs al caramello salato che teneva in freezer per le emergenze.

- Ok. – Sakusa distolse subito lo sguardo.

- Ok cosa? -

- Esco con te. – spiegò, fissando il pavimento luccicante del corridoio.

- Quando? – Miya salì di nuovo sul gradino, ma Sakusa fece un passo indietro senza ancora guardarlo negli occhi.

- Ehm... Stasera? – si appoggiò con la schiena al muro e alzò finalmente lo sguardo, mentre un sorriso incredulo si stava allargando sul viso di Atsumu.

- Ok, ma a una condizione. –

- Sei tu che mi hai invitato ad uscire, non puoi dettare condizioni. – rispose, divertito e sorpreso da quella richiesta.

- Voglio che mi chiami per nome. - ed eccolo ancora, il famoso sorriso Miya, affascinante e seducente, a cui nessuna ragazza era mai riuscita a resistere.

- Miya è meglio. –

Perché era chiaro che Kiyoomi non era nessuno, né tantomeno una ragazza.

- Miya è anche mio fratello. – provò a spiegare con tono paziente e divertito, facendo un altro passo avanti.

- Allora uscirò anche con tuo fratello. – lo provocò ancora Sakusa.

- Atsumu. – scandì avvicinandosi ancora, ormai ad un passo da Kiyoomi appoggiato al muro del corridoio con le braccia conserte.

- Miya. – insisté.

- Perché? – piagnucolò Atsumu ormai a pochi centimetri da quel corpo muscoloso ed invitante.

- Perché mantiene le distanze, quello che non stai facendo tu in questo momento. – spiegò Sakusa.

Atsumu si bloccò, lo guardò con attenzione per cercare di sondare il suo stato d'animo. Ma Sakusa non sembrava davvero infastidito; il sorriso che gli increspava le labbra, e soprattutto il modo in cui spostava lo sguardo alternativamente dai suoi occhi alla sua bocca, raccontavano tutta un'altra storia.

- A tal proposito, se davvero usciremo insieme, voglio che tu me lo dica se esagero, e io mi fermerò immediatamente. – promise Atsumu sorridendo, poggiando una mano sul muro accanto al suo volto e guardandolo negli occhi con attenzione, per capire se il suo movimento fosse, appunto, rientrato tra quelli da fermare.

- Ok. – rispose Kiyoomi mordendosi il labbro inferiore. A quel gesto, lo stomaco di Atsumu fece un'altra capriola, doppia questa volta.

- Mi fermo? – Atsumu si avvicinò ancora, poteva sentire il profumo del docciaschiuma speziato di Sakusa con un leggero sottofondo di disinfettante che lo rendeva unico e riconoscibile anche ad occhi chiusi. Ma li teneva invece ben aperti, per non perdersi nemmeno un dettaglio di quel magnifico sguardo di ossidiana in cui stava letteralmente affogando.

- No. -

- Ora? – il viso sempre più vicino, i due nei sulla fronte che catturavano il suo sguardo rischiando di distoglierlo dalla meta.

- No. – le ciglia di Sakusa tremolarono e le palpebre si chiusero da sole.

- Sto per baciarti. – sussurrò ormai vicinissimo.

- Ok. – rispose Sakusa aggrappandosi alla maglia di Atsumu e toccandolo così per la prima volta in assoluto.

Le labbra di Atsumu si posarono lentamente sulle sue, mentre appoggiava anche l'altra mano contro il muro per sorreggersi.

Aveva il cuore a mille, si sentiva uno stupido verginello alla prima cotta e, cazzo, se erano forti quelle sensazioni. Un groviglio caldo e vorticoso nel suo stomaco, le gambe di gelatina e il fiato corto, gli fecero venire il sospetto che, forse, il cobra lo aveva davvero morso senza che se ne rendesse conto.

Kiyoomi rispose al bacio, titubante e insicuro, e mille domande sfrecciarono nel cervello di Atsumu come uno sciame di meteoriti.

Sakusa aveva mai baciato qualcuno? Il suo carattere scostante e arrogante – non che il suo fosse molto meglio, ne era conscio - ma soprattutto la sua misofobia, gli avevano impedito di avere le normali esperienze di un adolescente? E soprattutto, perché gli interessava così tanto saperlo? Che tipo di ossessione morbosa stava diventando quella per Kiyoomi? E come faceva a farlo sentire così strano, come se fosse perfettamente giusto e totalmente sbagliato nello stesso tempo? Come faceva a farlo bruciare così, con un semplice bacio?

Il veleno stava entrando lentamente in circolo, pensò Atsumu, perché oltre ai pensieri sconnessi, non sentiva più alcune parti del suo corpo, mentre le sensazioni erano amplificate su altre. Le mani che scorrevano sulle spalle e sulle braccia di Sakusa erano come percorse dalla corrente elettrica, un formicolio azzurro che gli arrivava fino al cervello in un flusso scintillante e dal sapore metallico.

Riusciva a percepire ogni sensazione come ingigantita, mentre la sua lingua giocava a rincorrersi con quella del moro.

Il suo corpo era caldo e solido sotto lo strato leggero della maglia, i suoi pettorali erano perfetti e tonici, i suoi addominali scolpiti, ma non osò scendere più giù con le mani. Si accontentò di spingere il bacino contro al suo, e poté sentire che lo stato di incredibile eccitazione che lo stava invadendo, aveva preso anche Sakusa. La sua erezione spingeva impertinente contro la sua coscia.

Atsumu perse del tutto la ragione.

Nessuno gli aveva mai fatto quell'effetto, con nessuno si era mai sentito svuotato di ogni volontà, completamente perso nelle sensazioni e bisognoso solo e unicamente di abbandonarsi a quelle emozioni. Nessuno prima di Sakusa.

Come ubriaco, Atsumu rispondeva ormai solo all'istinto. Infilò una mano sotto la maglietta di Sakusa e la appoggiò delicatamente sulla parte bassa della sua schiena, appena scostata dal muro.

Kiyoomi si irrigidì per un istante.

Atsumu tremò al pensiero di aver rovinato tutto, ma poi Sakusa gli mise le braccia al collo e si spalmò contro il suo torace, baciandolo sempre più profondamente.

Miya lo avvolse anche con l'altro braccio sotto la t-shirt, potendo finalmente sentire la pelle rovente sotto le sue dita. Sakusa rabbrividì, e si strinse a lui con più forza, il bacio che diventava sempre più umido e profondo.

Forse non era la sua prima volta, dopotutto, pensò Atsumu, quando Kiyoomi stesso infilò le mani sotto la sua maglietta e risalì sui suoi pettorali; le sue dita erano bollenti e ruvide per i numerosi lavaggi, e quel tocco sui capezzoli lo fece sussultare.

Era il punto di non ritorno, realizzò Atsumu. Se non si fosse fermato immediatamente, non sarebbe più riuscito a farlo.

Con un estremo sforzo di volontà si scostò ansimando, gli occhi chiusi e la fronte appoggiata a quella di Sakusa.

Sapeva che era la cosa giusta da fare.

Teneva a Kiyoomi in una maniera che nemmeno lui riusciva a spiegarsi, e aveva il terrore di poter rovinare tutto in qualunque momento. Avrebbe dovuto andarci piano, senza bruciare le tappe. E non perché erano compagni di squadra. Non solo. Aveva la sensazione che fosse una cosa troppo importante per rischiare di mandare tutto a puttane come era sempre stato bravissimo a fare. E fare sesso in quel momento era esattamente il tipo di cosa che il vecchio Atsumu avrebbe fatto.

Il nuovo Atsumu, invece, stava imparando dal passato, e realizzava il vero valore delle piccole conquiste che stava facendo. Lui e Sakusa erano davvero vicini, vicinissimi. Non credeva che avrebbe mai consentito a chicchessia di avere un contatto così intimo con lui, e il fatto di poter esser penetrato così nel suo spazio personale lo riempiva di ottimismo per la prima volta da che aveva fatto quel maledetto, benedetto incubo.

- Omi... - sussurrò.

- Atsumu... - fu la sua risposta.

Atsumu!

Miya sorrise mentre riapriva gli occhi e si beava di quelle guance arrossate sotto alle lunghe ciglia scure ancora abbassate.

Sarebbe potuto restare a guardarlo per ore. Avrebbe davvero voluto restare a guardarlo per ore.

- Ti aspetto alle otto. – Sakusa aprì gli occhi e lo riportò alla realtà, distruggendo qualsiasi fantasia Atsumu stesse facendo in quel momento, ma ricordandogli comunque che avevano un appuntamento.

Il futuro non era ancora scritto, e Miya era più che intenzionato a fare le cose nel modo giusto.

Indietreggiò di un passo e si sentì cadere, perso senza il sostegno di quel corpo atletico

Indossò nuovamente il suo sorriso scintillante mentre faceva un altro passo indietro, tenendo però le dita ancora intrecciate a quelle di Sakusa, che lo guardava sorridendo a sua volta.

- A più tardi, Omi. –

- A dopo, Tsumu. -

Tsumu...

Miya scese le scale a due a due, con la testa leggera e il cuore gonfio di aspettativa. Per la prima volta era concentrato su qualcuno che non fosse sé stesso; era una sensazione nuova, spaventosa ed esaltante insieme.

Il futuro era mutevole davanti ai suoi occhi, ed era assolutamente intenzionato a plasmarlo secondo i suoi desideri, alla ricerca di quella felicità che, si era reso conto, non avrebbe mai potuto trovare da solo.


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*L'umeboshi è un popolare condimento della cucina giapponese a base di prugne (ume) salate (fonte Wikipedia).


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