I want it all ⇝ Avidità ⌇ BokuAka
Avidità
Cupidigia, costante senso di insoddisfazione per ciò che si ha già e bisogno sfrenato di ottenere e accumulare sempre di più; è un desiderio smodato e incontrollabile che sembra non placarsi neppure se soddisfatto.
Credits to @ummm_mmma (Twitter)
SHIP: Kōtarō Bokuto x Keiji Akaashi
PAROLE: 4.654
SONGFIC: I Want It All - Queen
RATING: 🟧 semi nsfw
TW: ✶ Yaoi ✶ Lemon ✶ Smut ✶ Spoiler (post Time-Skip) ✶
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* * * ATTENZIONE * * *
QUESTA STORIA CONTIENE SCENE E LINGUAGGIO ESPLICITI
- - - ADATTA PER UN PUBBLICO ADULTO - - -
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Kuroo camminava avanti e indietro sul marciapiede, si era scostato un po' dall'ingresso principale per non essere travolto dalla fiumana di ragazzi e ragazze che si accalcavano e spintonavano per entrare.
Non aveva ancora capito perché Bokuto gli avesse dato appuntamento proprio lì, davanti al nuovissimo locale di tendenza inaugurato pochi giorni prima.
"Sei uno studente universitario, adesso! – gli aveva detto – Non possiamo andare al solito pub, dobbiamo cominciare a frequentare i posti dove gira la gente bene...".
Era piuttosto dubbioso sul fatto che il suo concetto di "gente bene" coincidesse con quello dell'amico, pensò Kuroo, osservando le macchine costose parcheggiate nello spiazzo davanti al locale.
Un paio di ragazze vestite con esigui scampoli di stoffa luccicante, passarono oscillando sui loro tacchi vertiginosi e gli gettarono occhiate davvero audaci.
Non era sicuro di sentirsi a suo agio, in fondo era stato un liceale fino a pochi mesi prima, e anche se vivere a Tokyo lo aveva sicuramente aiutato a emanciparsi più velocemente rispetto ai suoi coetanei di Sendai, sentiva che quel mondo gli era ancora estraneo, alieno.
Il via vai di macchine e motociclette costose si stava intensificando, e Kuroo prese il cellulare dalla tasca per chiamare Bokuto e spostare il luogo dell'appuntamento al loro vecchio pub, dove si sentiva sicuramente più a suo agio.
Non fece in tempo a inviare la chiamata che la sua attenzione fu catturata da una motocicletta nera che sfrecciava a tutta velocità nella sua direzione; quando fu a pochi metri, piantò una frenata improvvisa che stridette sull'asfalto facendola "scodare" sul fianco. La moto si fermò a pochi centimetri dal marciapiede davanti lui.
Era già pronto ad insultarlo, che il pazzo sfilò il casco rivelando una ben nota chioma bicolore sparata da tutte le parti.
- Ma sei scemo?!? – gridò Kuroo all'amico che si stava sbellicando con la sua solita risata tonante.
Aveva ovviamente attirato l'attenzione di tutti i ragazzi e le ragazze davanti al locale, che si erano girati per assistere all'incidente che doveva sicuramente essere accaduto, visto il rumore di freni.
- Tranquilli! Tutto a posto! – gridò sollevando in aria il casco e agitandolo come un trofeo in direzione della folla di curiosi, che si dileguò dopo un istante, delusa e rassegnata al fatto che non ci fosse nulla da vedere.
Kuroo lo osservava preoccupato, Kōtarō era davvero su di giri, e glielo confermò ripartendo con una sgommata senza nemmeno infilarsi il casco, che oscillava pericolosamente infilato sul suo avambraccio.
Parcheggiò la moto e finalmente raggiunse l'amico, fissandolo con uno sguardo raggiante.
La preoccupazione di Kuroo crebbe a dismisura; conosceva l'amico abbastanza da sapere che quegli occhi spiritati e quel sorriso eccessivo non significavano niente di buono.
- Da quando hai una moto? – chiese di getto, senza peraltro ottenere risposta.
Bokuto prese l'amico sotto braccio e lo trascinò letteralmente fino all'ingresso, saltando la coda che si era formata sul marciapiede. Ma il buttafuori lo bloccò sbarrandogli la strada con un bicipite così grosso che quello di Kōtarō, in confronto, sembrava esile e pronto a spezzarsi.
Alzando gli occhi al cielo, Bokuto si sentì autorizzato a protestare.
- Amico, tu non sai chi sono io. –
- No e non mi interessa. Fai la coda. – rispose calmo il gigante.
- Scommettiamo che tra un anno, quando passerò di qua, mi saluterai con un inchino e mi farai passare davanti a tutti? – lo provocò ancora Bokuto.
Il buttafuori non rispose e fissò un punto immaginario sopra la sua testa.
In preda ormai alla vergogna più profonda, Kuroo trascinò l'amico in fondo alla fila.
- Si può sapere che cazzo ti prende, stasera? – gli sussurrò poi, cercando di tenere la voce bassa.
- Bro, devo raccontarti un sacco di cose! – gli rispose Bokuto col solito timbro stentoreo.
- Le vuoi raccontare anche a noi? – la ragazza che era in coda davanti a loro si voltò e si infilò nel discorso con un sorriso seducente, a cui Bokuto rispose allo stesso modo. Kuroo non poté fare a meno di notare che si trattava della ragazza discinta dai tacchi vertiginosi che, insieme all'amica, lo aveva squadrato poco prima.
Erano entrambe bellissime, una mora e una bionda, accumunate da un fisico mozzafiato così evidentemente scoperto da non lasciare comunque spazio all'immaginazione. E con buona probabilità, avevano almeno dieci anni più di loro.
La mora catturò subito l'attenzione di Kōtarō facendogli i complimenti per la moto e scendendo in dettagli tecnici sui tempi di frenata che Kuroo faticava a comprendere.
Nel frattempo, la fila era avanzata e riuscirono a entrare nel locale.
Evidentemente le ragazze erano già state lì, perché li condussero subito dalla parte opposta della pista da ballo, dove si accedeva al giardino interno.
Kuroo fu salvato dal telefono, e si allontanò per cercare un posto appartato per rispondere.
Quando tornò, una decina di minuti dopo, trovò Bokuto su un divanetto con la mora in grembo e la sua lingua in bocca.
Era una scena a cui Kuroo aveva già assistito diverse volte. Bokuto aveva innegabilmente una serie di caratteristiche che le ragazze, così come i ragazzi, trovavano irresistibili. Un fisico da paura, forte e muscoloso, un carisma inebriante, una solarità contagiosa, e quei due occhioni così languidi e ingenui che semplicemente ammaliavano tutti i cuori che le precedenti caratteristiche non riuscivano a catturare. E il guaio era che l'incredibile bontà di Bokuto non gli consentiva di rifiutare apertamente i o le pretendenti, e si ritrovava spesso in situazioni di quel genere semplicemente perché non voleva offendere nessuno. Toccava quasi sempre a Kuroo tirarlo fuori dagli impicci.
Andò al bar e prese due birre, quindi tornò da Bokuto e si sedette tranquillamente sul divanetto di fronte, sorseggiando la sua birra e aspettando che i due si staccassero almeno per respirare. Forse così si sarebbe un po' calmato e avrebbe potuto finalmente spiegargli cosa stava succedendo.
- Grazie Kōtarō. Ci vediamo dopo. – la ragazza lo salutò ammiccando, quando finalmente si staccò dal bacio per allontanarsi in cerca dell'amica.
Kuroo si sedette accanto a lui, gli mise in mano la sua birra e restò a fissare lo sguardo trasognato con cui stava seguendo quelle curve che si allontanavano ondeggiando. Aveva fatto bene a non interrompere.
- Quindi...? – lo incalzò dopo un istante.
L'attenzione di Bokuto tornò a Tetsurō accanto a lui. Ingollò un lungo sorso di birra e finalmente spiegò.
- Ho firmato! – il suo sorriso era abbagliante.
- Cosa? – chiese Kuroo ancora confuso.
- Il contratto. Con i MSBY Black Jackals! –
Bokuto era raggiante. I suoi occhi splendevano enormi e luminosi alle luci delle lanterne che rischiaravano il giardino. Scolò d'un fiato il resto della birra, quindi si alzò in piedi sul divanetto e spalancò le braccia.
- Ho firmato! – gridò al mondo, che nel suo caso era composto da una cinquantina di ragazzi e ragazze che si voltarono per capire cosa stesse succedendo.
- Hey! Hey! Hey! Gente mi ascoltate? Datemi un segno che ci siete! Il contratto è mio! Mio! – i suoi occhi brillavano esaltati e la sua voce era così potente che riusciva a sovrastare anche la musica proveniente dall'interno del locale.
La notizia fu accolta con un'ovazione, qualsiasi motivo era buono per fare festa e tutti cominciarono a fischiare e a battere le mani mentre Kōtarō ruotava su sé stesso a braccia spalancate, guardando le stelle e sorridendo beato.
Quando gli applausi e i fischi scemarono, balzò a terra, e con un'espressione soddisfatta e gongolante, tornò nuovamente a condividere la sua gioia con il suo migliore amico.
Kuroo sorrise, si congratulò e gli diede il cinque; riusciva finalmente a capire il perché di quella esaltazione, ed era davvero contento per lui. La loro amicizia era sincera, la sana rivalità come capitani di due tra le più importanti squadre liceali del Giappone li aveva sempre stimolati a crescere e migliorarsi, senza che mai l'invidia e la gelosia inquinassero il loro rapporto.
- Sono davvero contento per te, bro. Te lo meriti. Ma non sapevo nemmeno che avessi fatto il provino... -
- Mi dispiace, amico, ma non l'ho detto a nessuno. Akaashi mi ha suggerito di non farlo, dice che porta sfortuna parlarne prima. Ma adesso ho firmato, e mi hanno già dato un anticipo. Hai visto che moto figa che mi sono comprato? Ho sempre desiderato una moto. La stretta allo stomaco che ti dà sfrecciare sulla strada non si può spiegare. Dopo te la faccio provare... –
Kōtarō parlava, gli occhi pieni di meraviglia e di aspettativa per tutto quello che la sua vita gli stava regalando.
- Ci sono così tante cose da fare che non so da dove cominciare! Ma una cosa la so. Voglio vivere fino in fondo! Sono giovane e voglio tutto, amico! Io voglio tutto! E lo voglio adesso! –
Continuava a parlare, come se non riuscisse a fermarsi, come se quella brama di avere e di fare dovesse in qualche modo uscire da lui per non annientarlo.
- Voglio fare un viaggio! Certo, quando la stagione sarà finita, ovviamente. Voglio portare Akaashi in Italia, gli faccio il regalo per il diploma. – gongolò.
- E poi voglio comprare una casa nuova per mia mamma. Vicino al mare, magari. Akaashi dice che l'aria del mare le farebbe bene per i suoi problemi di salute. –
- Devo anche cominciare a prepararmi per le interviste, per quando sarò famoso, bro. Chiederò ad Akaashi di scrivermi lui cosa devo dire, io non sono molto bravo. -
Bokuto continuava a parlare a ruota libera di tutto quello che avrebbe fatto, visto, comprato, grazie a questo nuovo contratto con i Jackals. Teneva lo sguardo fisso alle stelle sopra di sé, come se la carrellata dei suoi desideri che venivano realizzati uno per uno, stesse davvero scorrendo nel cielo sopra le loro teste.
- Ci pensi amico? – concluse tornando a guardare Kuroo – È la vetta. È la V.League! La fottutissima stramaledettissima V.League! Ho appena finito il liceo e ho già un contratto con loro! –
Kuroo sorrideva, sinceramente felice per l'amico che quel posto nei Jackals se lo era sicuramente meritato, per il suo incredibile talento, e guadagnato, con ore e ore di estenuanti allenamenti.
Non capiva però perché l'espressione di Bokuto, pian piano, da raggiante si faceva sempre più apatica e distante, come se fissasse un punto più in là, ben oltre le stelle dove fino a un attimo prima stava ammirando i suoi sogni diventare realtà uno per uno.
- Che succede...? – gli chiese infatti Kuroo.
- Non lo so, amico, non lo so... – Kōtarō fissò Kuroo dritto negli occhi, un'espressione smarrita ora dipinta sul suo viso così espressivo – Mi è successo anche ieri, dopo che avevo ritirato la moto dal concessionario. Ero contentissimo. Ma appena ho parcheggiato davanti a casa mi sono sentito di nuovo strano. Come se... non lo so... non fosse abbastanza... –
Kuroo non era certo di capire cosa intendesse.
- Nel senso che non era il modello che volevi? –
- No, no, era esattamente la moto che ho sempre desiderato. Solo che una volta che è stata mia, non so, non sembrava più così bella. Cioè, è fighissima, poi te la faccio provare. Ma.... Non capisco, bro... -
L'espressione di Bokuto si era lentamente trasformata in una maschera di confusione e di tristezza; gli occhi umidi e le sopracciglia all'ingiù gli conferivano un'aria così affranta che Kuroo si sentì per la prima volta in difficoltà. Non capiva cosa gli stesse succedendo e non sapeva come aiutarlo.
- Forse devi solo abituarti alla nuova situazione, bro. – provò a dirgli.
- Sì, hai ragione. Non ci sono abituato. In effetti mi era successo anche al mattino, ora che ci penso. Ero andato a comprare un vestito nuovo. Sai, uno di quelli eleganti, grigio, da mettere con la cravatta... In negozio mi stava benissimo, c'erano delle clienti così gentili che hanno interrotto il loro shopping per aiutarmi a scegliere quale cravatta abbinare. E alla fine stavo davvero benissimo come dicevano loro. Ma poi, quando sono arrivato a casa e l'ho provato per farlo vedere alla mamma... boh, non mi sembrava più così bello. Cioè, era bello, ma non mi sembrava che mi stesse così bene come al negozio. –
Bokuto si fermò, fissando la bottiglia vuota che ancora teneva tra le mani.
- Forse sono solo troppe emozioni tutte insieme, amico. – Kuroo cercò di fargli tornare il buonumore – Insomma, è il successo! E che cazzo! È quello che hai sempre sognato, no? –
- Sì, sì, è vero! –
- Sei arrivato alla vetta, proprio come hai detto tu! –
- Sì, cazzo, sono alla vetta! – Bokuto sembrava riprendere un pochino di entusiasmo.
- Hai i soldi! – lo incalzò ancora Kuroo.
- Ho i soldi! –
- Hai comprato la moto dei tuoi sogni! –
- Sì cazzo! -
- Per non parlare delle donne, amico, ti guardano ancora più di prima... – gli fece notare, ammiccando nella direzione verso cui si era allontanata la ragazza.
- Eh, sì, hai ragione! Non credevo che bastasse una motocicletta per attirare subito così le ragazze... - sghignazzò.
- Hai davvero tutto! Cos'altro vuoi dalla vita?!? –
Bokuto si accigliò.
Stava davvero considerando la domanda di Kuroo con l'intenzione di rispondere, e non come una semplice frase fatta, a conclusione di quella escalation di conquiste.
- Già... Cos'altro voglio dalla vita? – domandò a sé stesso, fissando di nuovo il fondo della bottiglia.
Kuroo era seriamente preoccupato, ora. In tanti anni di amicizia aveva imparato da Akaashi, il sommo esperto degli umori altalenanti di Bokuto, come riportarlo su quando aveva una fase calante, e non si aspettava proprio che precipitasse nuovamente in un picco ancora più basso.
Provò quindi a giocarsi la carta del "maestro", con il quale immaginava che avesse già condiviso il proprio disagio.
- Akaashi che dice? Ne hai parlato con lui? –
Bokuto si voltò di scatto, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta.
Kuroo cominciò a sudare freddo, non aveva mai visto Bokuto così instabile, in balia di quella folle altalena umorale che lo aveva preso e che non sapeva davvero come fermare.
- Akaashi... – disse piano Bokuto, fissando ancora Kuroo come se si aspettasse che si trasformasse da un momento all'altro nel suo ex alzatore.
- Akaashi! – riconfermò dopo un istante. La sua espressione mutò di nuovo in una maschera di gioia e di esaltazione. Gli occhi erano diventati così grandi e così rotondi che Kuroo riusciva a specchiarcisi e a vedere la sua stessa espressione sbigottita, mentre la bocca di Bokuto si allargava in un incredibile sorriso ammaliante.
- Ecco cosa voglio! Akaashi! -
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La città brillava sotto di loro, distesa al buio come una magnifica donna adornata di pietre preziose che scintillavano alla luce della luna piena.
Il rumore delle macchine arrivava lontano e ovattato, la sirena di un'ambulanza di tanto in tanto trasportata dalla brezza di quella calda notte di fine maggio.
- Bokuto-san, ora mi dici che succede? Mi stai facendo preoccupare... -
- Scusa Akaashi, so che è tardi e domani hai scuola, ma avevo assolutamente bisogno di parlare con te. –
La chiamata di Bokuto lo aveva sorpreso proprio mentre stava per andare a letto. Non aveva capito granché di quello che diceva, vuoi per il vociare e la musica di sottofondo, vuoi perché le sue stesse parole non avevano molto senso. Parlava di motociclette e di vestiti, e ancora di stelle e di vette.
Così gli aveva dato appuntamento al loro solito posto, il tetto in cima al palazzo dove abitava Akaashi.
Bokuto era rimasto silenzioso per tutta la salita in ascensore, con le sopracciglia aggrottate e la bocca semi aperta, con quell'espressione, a tratti assente, che aveva sempre quando si perdeva ad analizzare i misteri del mondo.
Si erano seduti sul vecchio materasso che avevano trascinato come sempre fino al bordo del tetto, da dove si poteva ammirare tutta Tokyo.
- Ero fuori con Kuroo. – Bokuto riprese a parlare dopo un istante - Gli ho detto dei Jackals. Volevo festeggiare. Ma ho capito che non va bene... -
Akaashi aspettò un attimo prima di parlare, stava ancora analizzando il grado di confusione di Bokuto per capire quale delle sue trentasette debolezze si fosse risvegliata e decidere che tipo di intervento avrebbe dovuto mettere in atto.
- Akaashi... ma tu lo sai che i Jackals sono a Osaka? –
Gli chiese, lasciando perdere il filo del discorso precedente, come se quella domanda si fosse palesata improvvisamente nella sua mente, oscurando tutto il resto. Ruotò piano la testa spostando lentamente lo sguardo dalle luci della città verso quelle riflesse negli occhi cerulei dell'amico, e restò così a fissarlo, con gli occhi sgranati e la testa lievemente inclinata, come un gufo grande e spennacchiato.
- Certo che lo so. – rispose Akaashi mentre un sorriso mesto si apriva sul suo viso. A fatica si sganciò dagli occhi ipnotici di Bokuto per rivolgere la sua attenzione alla Tokyo Tower che brillava in lontananza.
- Ma allora io non ci posso andare. – Bokuto lo disse piano, come se parlasse con sé stesso.
Keiji tornò con lo sguardo al suo ex capitano.
- Ovvio che ci devi andare, Kōtarō. Tutta la fatica che hai fatto, i sacrifici, gli allenamenti... Finalmente ti hanno notato. Sei forse il primo del tuo anno ad avere firmato un contratto da professionista. Credo che nemmeno Ushiwaka abbia ancora un contratto con qualche squadra. –
Kōtarō scrutò per un istante gli occhi blu di Keiji, quel blu così particolare che cambiava col suo umore e che in quel momento appariva scuro e profondo, una fossa abissale in cui sentiva l'istinto viscerale di tuffarsi.
- Ma tu lo sai quanto ci vuole da Osaka a Tokyo? – la domanda di Bokuto era forse retorica, e non si aspettava certo la risposta di Akaashi.
- Due ore e diciannove minuti con lo Shinkansen, e poi un'altra oretta di treno. –
Gli occhi di Akaashi si velarono per un istante, e sbatté le lunghe ciglia per rimettere ogni cosa a fuoco.
- È stata la prima cosa che ho controllato quando mi hai parlato dei Jackals. – aggiunse piano.
- Ma io non posso andare a Osaka... - ripeté ancora Bokuto, con un tono mesto e sconsolato – Come faccio senza di te... -
Akaashi deglutì e volse di nuovo la sua attenzione allo skyline di Tokyo.
Ecco che Bokuto c'era arrivato.
Erano giorni che Akaashi ci pensava, sin da quando avevano parlato del provino: i manager dei Jackals avevano organizzato le selezioni per le nuove leve della squadra a Tokyo, e forse era proprio per quello che Bokuto non aveva realizzato subito dove fosse la loro sede.
Conosceva Bokuto talmente bene da essere sicuro che il suo incontenibile entusiasmo per quella nuova opportunità, la sua esaltazione, la sua gioia, fossero del tutto spontanei e sinceri, vissuti con l'incoscienza di chi è troppo preso dal vedere realizzati i propri sogni, per rendersi conto di tutte le implicazioni che immancabilmente comportano.
Bokuto non aveva assolutamente realizzato che avrebbe dovuto trasferirsi a Osaka.
Keiji si decise a rispondere e quando si voltò, i suoi occhi restarono imbrigliati in quelli dell'amico, sgranati e confusi, due pozze di oro liquido che luccicavano nel buio.
Deglutì a fatica e si fece forza.
- Bokuto-san, noi saremo sempre amici. Verrò a trovarti. E ci sarò sempre per te, in qualsiasi momento. Potrai chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. – sapevano entrambi che non era una frase fatta, che Bokuto avrebbe davvero chiamato ad orari improponibili per i motivi più futili, e Akaashi avrebbe sempre risposto con pazienza e dedizione.
Ma non erano la pazienza e la dedizione che Bokuto voleva da Akaashi, e se ne rese conto in quel momento, arrivando finalmente al termine di quel lento e tortuoso processo di epifania che era cominciato poco prima parlando con Kuroo.
Bokuto prese la mano di Akaashi tra le sue, e la osservò, così famigliare e allo stesso tempo meravigliosamente nuova. Sottile, elegante, dalle dita lunghe e affusolate, che spiccava chiara ed eterea tra le sue mani scure e robuste.
- Akaashi, quello che cercavo di dirti prima, al telefono, è che ho capito una cosa importante. Ho iniziato a realizzarlo parlando con Kuroo. Non riuscivo a capire perché mi sentivo così male. Avrei dovuto essere felice, eppure mi mancava sempre qualcosa. Sono andato a fare shopping, ma non mi bastava, allora ho comprato una moto, ma ancora non mi bastava. E al locale i ragazzi mi applaudivano, e le ragazze mi volevano, eppure era sempre come se mi mancasse qualcosa. –
Akaashi lo lasciò parlare, un unico movimento impercettibile delle sopracciglia quando aveva menzionato il successo con le ragazze. Ma non capiva dove volesse arrivare.
- E quello che mi mancava... eri tu, Akaashi. –
Bokuto pronunciò quest'ultima frase abbassando timidamente lo sguardo.
- Ecco perché non posso andare a Osaka. –
Il cuore di Keiji ebbe uno spasmo doloroso, come se una mano invisibile lo stesse stritolando, spremendone fuori tutto il sangue.
- Non puoi rinunciare per me. Non me lo perdonerei mai. Vedrai, tra di noi non cambierà niente, te lo prometto. –
Bokuto reclinò indietro la testa per un istante, e le stelle brillarono nei suoi grandi occhi dorati prima di riabbassarli in quelli di Akaashi con un'espressione esasperata.
- Akaashi, di solito sei tu quello intelligente tra noi due. Possibile che non hai ancora capito? –
Questa volta fu lo stomaco di Keiji a sussultare, mentre Bokuto stringeva la sua mano con più forza tirandolo lentamente verso di sé.
- Io VOGLIO che le cose cambino tra di noi, Akaashi. Senza di te non ci sono soldi che tengano, e non mi interessano le donne nè i motori. Sei tu quello che voglio, Akaashi. –
Gli occhi di Kōtarō brillavano di mille scintille, le stelle del cielo e le luci di Tokyo che facevano a gara per riflettersi in quelle due pozze dorate che si facevano sempre più grandi man mano che si avvicinavano al volto di Keiji.
Il bacio di Kōtarō lo sorprese e gli rubò il respiro per una manciata di secondi. Ma poi i suoi occhi si chiusero e si abbondonò finalmente a quell'attimo tanto a lungo sognato.
Le labbra di Kōtarō erano calde e morbide, e avvolgevano le sue in una carezza sensuale. Sentì la sua grande mano appoggiarsi con inaspettata delicatezza sul suo viso, mentre la sua lingua lo invadeva con crescente impazienza.
Keiji si aggrappò con tutte le sue forze a quel torace possente, il cuore che cercava di frantumargli lo sterno per uscire e gridare al mondo la sua felicità.
Anche i suoi desideri stavano diventando realtà.
Kōtarō si staccò da lui ansimando, e lo guardò come se fosse la cosa più preziosa e meravigliosa che avesse mai visto. Tenendolo delicatamente per le spalle come se fosse di cristallo, lo sospinse sul materasso e lo sovrastò col suo corpo.
Keiji sbattè gli occhi, e il viso di Bokuto sopra di sé con dietro il firmamento, gli parve il miglior auspicio per quello che sarebbe accaduto nei giorni a venire.
Non gli diede il tempo di perdersi in elucubrazioni romantiche o filosofiche, Bokuto, perché aveva appena realizzato quello che provava per Akaashi, e il modo in cui Keiji aveva risposto al suo bacio lo aveva nuovamente galvanizzato ed esaltato.
Tornò a baciarlo con irruenza, trattenendo a stento la sua forza ma senza riuscire a nascondere l'impazienza, chiaramente evidente nei movimenti frenetici e convulsi con cui gli sfilò la maglietta e cominciò a baciare il suo torace asciutto.
Scese sempre più giù, tracciando una scia di baci voraci su tutto il suo addome, senza mai decidersi a fermarsi in un punto preciso ma volendo conoscerli e assaggiarli tutti.
Con le dita infilate tra le ciocche scomposte di Kōtarō, Keiji apriva gli occhi alle stelle sopra di sé, per poi richiuderli a tratti quando un bacio o un morso particolarmente passionale lo portava a gemere e rabbrividire.
Bokuto gli sfilò i pantaloni della tuta con un unico movimento, senza in realtà chiedersi fino a che punto potesse spingersi; il suo istinto lo guidava, la passione e l'amore a lungo nascosti in fondo al suo cuore che non chiedevano altro che di venire alla luce.
Un gemito acuto emerse dalla sequenza di ansiti, quando Kōtarō lo avvolse con le labbra.
Keiji gettò indietro la testa e si riempì ancora una volta gli occhi di quel cielo stellato, e il cuore di quelle emozioni che aveva temuto di non provare mai.
Kōtarō era impaziente, passionale, irruento e profondamente istintivo, ma amava e venerava Akaashi con tutto il suo essere, e non avrebbe mai voluto fargli male.
Si prese cura di lui con pazienza, procedendo per gradi e aumentando il ritmo con una lentezza quasi insopportabile per Akaashi, che, infine, ansimava e gemeva per l'insoddisfazione.
Quando fu il momento, Kōtarō si fermò.
Cercò la conferma negli occhi di Keiji, e quando la trovò senza alcuna esitazione, finalmente entrò in lui.
Akaashi sussultò per un istante, sgranando gli occhi e perdendosi ancora una volta nel cielo stellato sopra di loro. Quel cielo che osservava i loro giovani corpi fondersi in quell'amplesso sotto la luce brillante della luna, unica testimone di quel momento così intimo e importante per loro, perfetto nella sua semplicità, finalmente reale e vero.
Stretto tra le braccia di Keiji, Kōtarō ebbe un altro momento di epifania.
Perché prima di quel momento, Kōtarō voleva, desiderava, bramava. Voleva il successo, voleva la fama, voleva il denaro. E più aveva e più continuava a volere.
E poi aveva capito di volere Akaashi. Da quando erano saliti su quel tetto, aveva voluto le sue parole, il suo conforto, e poi si era reso conto di volere lui, di volere il suo corpo, di volere il suo amore.
Kōtarō adesso aveva Akaashi.
E questa volta, finalmente, aveva smesso di volere.
Era la summa dei suoi desideri, la più sfrenata delle sue fantasie, così sfrenata da non essersi mai concesso di ammetterla nemmeno con sé stesso fino a quel momento.
Dopo Akaashi, non c'era null'altro che volesse di più.
L'irruenza lasciò il posto alla pacatezza, un profondo senso di pace e di appagamento li avvolse; la loro reciproca appartenenza chiaramente svelata ai loro cuori dalla sensazione di perfezione che entrambi provavano.
Tutto era stato accelerato fino a quel momento, una corsa sfrenata al raggiungimento di qualcosa, le lancette impazzite che vorticavano per avere sempre di più. Più tempo. Più soldi. Più successo.
Ma in quel momento, fusi uno nel corpo dell'altro, il tempo rallentò, si adeguò al lento vorticare della sfera celeste, al battito pulsante dei loro cuori.
Kōtarō amò Keiji con la lentezza delle onde del mare sulla battigia, penetrandolo e avvolgendolo con tutto il suo amore e la sua folle passione. E Keiji lo accolse come la spiaggia, che assorbe le onde e si rimodella in nuove conformazioni per andare incontro alla marea, in una unione sempre nuova eppure ancestrale ed immutata nei secoli.
Finalmente la brama di Bokuto aveva trovato la sua realizzazione. Il corpo meraviglioso di Akaashi, la sua anima sensibile, il suo carattere generoso, avevano finalmente placato la sua sete. Il suo bisogno era stato sviscerato e appagato, e ora che aveva capito che l'unica cosa che davvero voleva era Akaashi, Bokuto non desiderava altro.
- Keiji. Ti amo Keiji. – lo sussurrò accanto al suo orecchio, mentre il vortice della passione li avvolgeva entrambi e li proiettava sempre più in alto, fino a gettarli ansanti e appagati in un naufragio dei sensi, l'uno tra le braccia dell'altro.
Nessuno dei due ebbe la forza di staccarsi.
Continuarono a stringersi e a baciarsi e a sussurrarsi piccole frasi sdolcinate e grandi progetti per il futuro.
La volta celeste aveva compiuto gran parte della sua corsa e, a oriente, un debole bagliore rischiarava il cielo facendo sbiadire le stelle; la notte era terminata, e l'alba di un nuovo giorno si affacciava sul loro amore.
Bokuto continuava a guardare Akaashi, ancora incredulo e confuso.
Un raggio del sole nascente li avvolse con la sua luce, riflettendosi negli occhi cristallini di Akaashi, e Bokuto ebbe l'ennesima epifania.
Quello era il tetto del mondo.
Quella era la vetta.
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