25. Ti porto con me.
Sono nel panico.
Davvero, non riesco a fermare tutte le mie paranoie e la mia ansia.
Continuo a tremare. Sono seduta sul bancone della cucina, tra le mani un bicchiere di acqua.
Osservo il liquido trasparente che si muove all'interno del bicchiere e poi mi concentro su Mattia che è appoggiato allo stipite della porta.
Anche lui, come me, sembra assorto in chissà quale tipo di pensieri.
Se ne sta lì, le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nel vuoto.
Non dice una parola.
E mi sta mettendo ancora più ansia.
«A cosa pensi?», sento a malapena la mia voce.
Adesso punta i suoi occhi scuri nei miei e fa una smorfia, «A niente»
«Niente?»
«Niente», conferma, una strana calma addosso.
Come fa a rimanere così rilassato in questo momento!?
Molto probabilmente mi stanno minacciando di morte e lui sta lì a fissarmi senza dire nulla.
«Non penso sia stato il veterinario a scrivere quel biglietto», parla piano, nessuna espressione sul volto.
«Non lo so, Mattì. Non lo so. Lui stesso ha detto di avere mandato i fiori»
«Appunto», mormora, «Pensi sia così scemo?»
«No», ammetto, una profonda agitazione nello stomaco, «Ma non so cosa pensare. Non so di chi fidarmi, non so cosa fare. Forse dovrei parlarne con i miei genitori. O forse no. Hanno già così tanti pensieri per la testa! Magari è uno scherzo di cattivo gusto, Mattì. Si annoierà, chiunque lui sia», poggio il bicchiere d'acqua sul tavolo e comincio a camminare avanti e indietro.
Mi sta scoppiando il cuore.
«Adè»
«Sto impazzendo, giuro. Mi manca l'aria, dannazione. Che devo fare, Mattì? Che devo fare?»
«Adè», mi chiama ancora.
«Vado alla polizia. Loro lo troveranno e gliela faranno pagare. Lo faccio marcire in carcere»
«Adè», adesso afferra il mio polso e mi giro di scatto a guardare il suo viso, «Fermati», sussurra, «Fermati», ripete ancora.
E poi, con calma e senza aggiungere altro, mi attira a sé e mi stringe in un caldo abbraccio.
Infila una mano tra i miei capelli e lascia un bacio sulla mia testa: «Si risolve tutto, okay? Sta tranquilla. Non tremare».
Affondo la testa contro il suo petto ed inspiro il profumo dolce che emana la sua pelle.
«Non dare a nessuno il potere di farti a pezzi. Mai. Non farlo mai», continua, il tono di voce calmo e al tempo stesso rassicurante.
E forse mi sbaglio, ma proprio qui, proprio ora, capisco che posso fidarmi di lui.
Mi aiuterà, mi dico.
Mi sta già aiutando.
«Mattì»
«Dimmi»
«Ti voglio bene», cerco di nascondere le guance che vanno a fuoco, ma lui afferra il mio viso tra le sue mani e mi rivolge un sorriso mozzafiato.
«Che cosa sono queste dichiarazioni improvvise?», mi prende in giro e assesto un pugno contro il suo petto.
«Ecco. Mi sono già pentita di averlo detto», sbraito e lui ride.
Cerco di allontanarmi, ma il moro torna a stringermi e ancora una volta bacia la mia fronte: «Non ti arrabbiare, Adè. Ti voglio bene anch'io».
Rimaniamo in silenzio per diversi istanti, poi è sempre Mattia a parlare: «Si è fatto tardi»
«Hai ragione», mugugno, «Dovresti andare a dormire»
«Dovrei», conferma, «Ma non voglio. Non ci riuscirei, comunque», sospira e passa nervosamente una mano tra i capelli, poi fa un cenno col capo in direzione della terrazza: «Ho un'idea»
«Che idea?»
«Adesso vai lì fuori, ti concedi due o tre respiri profondi, guardi un po' le stelle, apparecchi il tavolino e mangi un hamburger insieme a me»
«Un hamburger? Adesso? Sono quasi le due di notte»
«E allora? Ho fame», scrolla le spalle e strizza l'occhio, «Dai, aspettami in terrazza. Arrivo subito».
Io, con uno stupido sorriso sulle labbra, faccio proprio come mi dice.
Raggiungo la terrazza, apparecchio il piccolo tavolino tondo, guardo le stelle e cerco di placare i battiti del mio cuore. Il cielo è scuro, le stelle brillano e le mie mani tremano.
Mi ritrovo a pensare ai miei genitori, a Salvo, ai post-it, all'ultima velata minaccia che ho ricevuto, a Mattia.
Ecco, Mattia.
Occupa gran parte dei miei pensieri.
E non penso sia una cosa positiva.
Proprio per niente.
E' come il fuoco, lui. Meglio non avvicinarsi troppo. Si corre il rischio di bruciarsi.
Io, sinceramente, non voglio procurarmi una brutta ustione.
I miei pensieri vengono interrotti dall'arrivo del mio bel coinquilino. Con una mano tiene tre piatti, mentre con l'altra due birre. Sistema tutto sul tavolo con estrema facilità e corrugo la fronte quando si gira a guardarmi.
«Io avrei avuto difficoltà a portarne anche solamente uno», ammetto, riferendomi ai piatti.
Il moro accenna una risata e si siede proprio davanti a me: «Non era facile nemmeno per me, all'inizio», stappa le birre e me ne porge una, quindi lasciamo che le bottiglie si scontrino e ci concediamo qualche sorso.
«Come hai imparato?»
«Ho lavorato come cameriere per un po' di anni. Lo faccio ancora, in realtà. D'estate, soprattutto»
«Non lo sapevo», afferro una patatina e la mastico in fretta.
«Adesso lo sai», sorride ancora, i suoi occhi scuri sembrano brillare.
Mi si mozza il fiato, ma cerco di mantenere una certa disinvoltura.
Bevo ancora un po' di birra per riuscire nell'impresa.
«Mi sono sempre piaciuti i camerieri», dico di getto.
«Smetti di provarci con me, Adè»
«Non stavo parlando di te. Parlavo dei camerieri in generale. Sono sempre così eleganti e composti», stringo l'hamburger tra le mie mani e lo addento con calma, ma un po' di maionese riesce a sfuggire dal panino e finisce sulla mia maglietta, «Eh ti pareva», sbraito, «Che palle»
«Composti ed eleganti, dicevamo», mi prende in giro, porgendomi in fretta dei tovagliolini.
Arriccio il naso e alzo gli occhi al cielo, «Bah. Lasciamo stare. Come mai hai cominciato a fare il cameriere?»
«Sai, Adè, non vorrei scioccarti. Quindi preparati, okay?», si sporge in avanti ed io faccio lo stesso, «Sei pronta?»
«Sì», confermo.
«Per fare la spesa, per pagarsi le rate dell'università, l'affitto, i vestiti... Servono delle cose chiamate soldi. Forse non te ne accorgi quando strisci la tua carta perché non li vedi».
Rimango a fissare la sua espressione divertita in silenzio.
Si prende gioco di me.
Continuamente.
«Ti viene spontaneo o hai fatto un corso per essere così scemo?»
«Tutta natura», beve un po' di birra e morde il suo hamburger.
Io rimango in silenzio per diversi istanti, ma poi decido di approfittare di questo momento per conoscerlo un po'.
In fondo, non so praticamente niente di lui.
«Cosa fanno i tuoi genitori? Non mi hai mai parlato di loro o della tua vita privata, in realtà».
La sua espressione sembra diventare gelida e mi mette i brividi. Porta la bottiglia alla bocca senza mai smettere di inchiodarmi con lo sguardo: «Cosa ti fa credere che io voglia parlarti della mia vita privata, Adè?», il suo tono di voce è severo.
«Oh, beh, pensavo che fossimo amici. Insomma, per conoscerci. Volevo solo sapere qualcosa in più sulla tua famiglia», farfuglio e gesticolo animatamente.
Comincio a sentirmi in imbarazzo.
«Non ti parlerò della mia famiglia», taglia corto.
«Okay. Non ti scaldare. Rilassati».
Non mi risponde nemmeno. Torna a mangiare e non mi rivolge più la parola.
Che ho fatto?
Bah.
Anch'io decido di finire il mio hamburger senza aggiungere altro.
Odio questo suo umore altalenante.
Un attimo prima è il ragazzo più simpatico e dolce del mondo, mentre quello dopo è arrogante e stronzo.
Davvero dovrebbe farsi curare.
«Adè», mi chiama.
«Cosa?»
«Non volevo essere sgarbato»
«Lo sei stato»
«Lo so», mormora, «E non volevo»
«Okay», mastico una patatina e la ingoio, «Non vuoi parlare della tua famiglia. Ricevuto. Non farò più domande del genere. Lo capisco»
«Non è che io non voglia-»
«Lo capisco», ripeto, «Non c'è bisogno di aggiungere altro. Probabilmente, se mi chiedessero ora dei miei genitori, scoppierei in un pianto disperato».
Mattia sospira e si concentra sulle luci della città che si intravedono: «A proposito... Come va?»
«Come va?», mi scappa una risata, «Cosa ti fa credere che io voglia parlare con te della mia vita privata?», lo imito.
«Dai, Adè»
«Mio padre è andato a vivere nella casa al mare, mia madre dorme fino alle tre del pomeriggio e Salvo non mi parla. Ottimo, direi. Va tutto a meraviglia. Adesso aggiungiamo alla mia vita anche delle minacce di morte e uno stalker. C'erano troppe gioie, non ti pare?».
Il moro rimane in silenzio per diversi istanti, poi picchietta nervosamente le dita contro la superficie del tavolo: «Troveremo questo figlio di puttana. Te lo giuro»
«Lo spero»
«Intanto, per favore, non andare in giro da sola»
«Con chi dovrei andare in giro? Ho una vita. Lezioni da seguire, danza, vita sociale»
«Con me», dice in fretta, «Chiederò di stare con te anche a Luigi e ad Andrea, nei momenti in cui non potrò esserci. Sono le uniche persone di cui mi fido, qui».
Mordo l'interno della mia guancia e faccio segno di no con la testa: «Non se ne parla»
«Non ti piace Andrea? Gli spezzerai il cuore, Adè», mi prende in giro.
«Non c'entra nulla con Andrea», sospiro, «Solo... Non voglio vivere così. Continuerò a fare le mie cose. Da sola. Non darò a nessuno il potere di fottermi la vita»
«Come preferisci», mi dice, ma non sembra molto felice della mia decisione.
«Domani chiamerò Marco», continuo, «Questa sua improvvisa scomparsa mi puzza un po'. Anzi, sai che ti dico? Lo chiamo ora», tiro fuori il cellulare e cerco il suo numero tra i contatti.
«Adè, sono le tre del mattino»
«Hai ragione», sbotto, «Lo chiamo domani», e mentre blocco lo schermo del mio iPhone, lo smartphone di Mattia comincia a vibrare sul tavolo, provocandomi un mezzo infarto.
Chi lo chiama a quest'ora della notte?
Il moro deglutisce e assottiglia gli occhi mentre legge il nome sul display, poi scuote la testa e risponde alla chiamata: «Gran figlio di puttana», esordisce, un sorriso stampato sulle labbra, «Ti pare l'ora adatta per fare una telefonata?».
Io fingo di non ascoltare la conversazione, guardando altrove.
«No, non mi preoccupo per te. L'erba cattiva non muore mai», continua.
Rimane in silenzio per qualche istante prima di parlare ancora: «A Palermo? Domani? Okay, certo. Mh-mh», i suoi occhi si posano su di me e mi sento rabbrividire, «Senti... Porto un'amica».
Tira fuori una sigaretta dal pacchetto e la sistema tra le labbra, «A domani. Dai un bacio a Selene da parte mia», detto questo, termina la conversazione e cala il silenzio.
Mattia accende la sigaretta, inspira il fumo e poi lo soffia via dalle labbra. I suoi occhi scuri non smettono di fissarmi nemmeno per un istante.
«Hai impegni per domani?»
«Oh, uhm, potrei averne. Devo controllare la mia agenda. Perché me lo chiedi?», farfuglio e lui ride.
«Hai impegni o no?»
«No», ammetto.
«Allora ti porto con me», si alza ed inspira il fumo prima di spegnare la sigaretta dentro il posacenere. Armeggia un po' con il suo cellulare e corrugo la fronte quando lascia partire una canzone e mi porge la mano.
Mi fissa dall'alto, un sorrisetto divertito aleggia sulle sue labbra.
«Che stai facendo?», trattengo una risata.
«Ci rilassiamo un po'», mormora.
Fisso le sue dita affusolate, quindi stringo la sua mano e mi alzo.
Un'ondata di calore invade il mio corpo nel momento in cui i nostri corpi si avvicinano e preme le mani sui miei fianchi.
Circondo il suo collo con le braccia e deglutisco rumorosamente nel vedere quanta poca distanza ci sia tra i nostri volti.
Potrei allungare il collo, accarezzare le sue guance, osservare quei suoi occhi scuri e baciare le sue labbra.
Ci dividono pochi millimetri.
Ed il mio cervello, ovviamente.
Adele Costa, non fare scemenze.
Non pensarle nemmeno.
Okay, l'atmosfera è piuttosto romantica, lui è piuttosto affascinante e tu sei piuttosto cotta, ma non fare scemenze.
Mattia si muove lentamente e canta a bassa voce, senza mai smettere di inchiodarmi con lo sguardo.
La sua voce è molto bella.
Ed è intonato.
E ti pareva. Troverò mai un difetto in lui?
Disturbo della personalità a parte, ovviamente.
«Canti molto bene», gli dico, «Dimmi, sai anche suonare il pianoforte? Non mi stupirei»
«No, il pianoforte no»
«Sai suonare uno strumento?»
«Ovviamente», conferma, un sorrisetto divertito gli increspa le labbra.
«Il violino? Amo il violino. O forse... La chitarra. Ogni figo che si rispetti suona almeno la chitarra».
Mattia schiocca la lingua sotto il palato e mi lascia fare un piccolo casqué, poi torna a stringermi tra le sue braccia: «Non è la chitarra», ammette, «E nemmeno il violino»
«E allora cosa?»
«Il flauto. Lo suono egregiamente», sta trattendo una risata, «Non voglio vantarmi, ma riesco a suonare l'Inno alla gioia a memoria».
Scoppio in una risata e anche lui adesso ride.
«Il flauto, eh?»
«Proprio così»
«Sei un ragazzo dalle mille risorse», lo prendo in giro, «Cos'altro sai fare?»
«Ho molti talenti nascosti», continua, il suo tono è divertito.
«Tipo?»
«In questo momento non me ne viene in mente nemmeno uno, ma li scoprirai. Il talento non può essere nascosto», parla con fierezza ed io torno a ridere.
«Ecco, vedi? So farti ridere», le sue labbra sfiorano il mio orecchio e la mia pelle si riempie di tanti piccoli brividi.
«E so farti ballare», mi fa fare un giro su me stessa.
«So farlo anche da sola», lo informo.
«Mi piace di più quando lo fai con me».
Ah.
Ringrazio il buio della notte che riesce a nascondere le mie guance in fiamme.
Il mio cuore, intanto, sta battendo ad una velocità inaudita.
Continuiamo a muoverci lentamente, attaccati l'uno all'altro e accompagnati solo dalla musica e dalla voce del cantante.
Chiudo gli occhi e assaporo questo momento, la calma, il suo tocco, il suo profumo.
«Perché tremi, Adè?», parla piano e sento il suo fiato sul collo, «Smetti di pensare a quello psicopatico del cazzo. Non devi avere paura. Non qui, non con me».
Non stavo pensando a lui, vorrei dire.
Non tremo a causa della paura.
«Fate festa e non mi dite niente?», la voce di Michela ci fa sussultare entrambi. Batto la testa contro la fronte di Mattia e porto immediatamente la mano sulla parte lesa.
Aia.
Il mio coinquilino sbuffa e farfuglia delle parole sottovoce.
Non sembra felice di questa interruzione.
Lo ammetto, non lo sono nemmeno io.
«In questa casa non dorme mai nessuno?», è Mattia a parlare.
«Non avevo sonno», Michela scrolla le spalle e afferra una patatina da un piatto. Si siede e poi accende una sigaretta: «Fumo e poi provo a dormire. Voi che fate?»
«Stavo andando a dormire», annuncio. Recupero i piatti sporchi e rido nervosamente: «Lavo tutto domattina. Promesso», le schiocco un bacio sulla guancia e saluto Mattia con un cenno del capo.
Mi sento come se mi avessero appena scoperta durante un furto.
Abbandono i piatti nel lavandino e raggiungo la mia stanza, quindi mi concedo diversi respiri profondi prima di indossare il pigiama e mettermi a letto.
Il mio cuore non sembra avere intenzione di calmarsi.
Non può piacermi Mattia.
Dannazione.
Non posso prendermi una cotta per lui.
Chiudo gli occhi e scaccio via i miei pensieri. Riesco a mantenere la calma solo per pochi istanti, però.
Quando il mio sguardo si posa sui fiori sulla scrivania, il mio cervello riesce solo ad andare nel panico.
Deglutisco e affetto il mio cellulare per riuscire a distrarmi, ma quei fiori sono fermi lì.
Io li fisso e loro sembrano fissare me.
Ho i brividi.
E sono già nel panico.
🌻🌻🌻
«Ti prego, rallenta»
«È la giusta velocità»
«Ci schianteremo»
«Chiudi la bocca, ti prego»
«Oddio, quella signora sta attraversando!», chiudo gli occhi e mi stringo di più a Mattia che sembra abbia voglia di morire.
O di uccidere qualcuno, non l'ho ancora capito.
Guida la sua moto ignorando il codice della strada e le mie urla.
«Si può sapere dove stiamo andando!?», continuo ad urlare e Mattia ferma la moto di botto.
Inutile dire che ho sbattuto la faccia contro il suo casco.
«Siamo arrivati», annuncia.
Ah.
Mi guardo intorno e osservo il porticciolo che è davanti a noi.
«Che facciamo qui? Andiamo a pesca? È un altro dei tuoi straordinari talenti?», faccio un cenno col capo in direzione delle barche e lui alza gli occhi al cielo prima di sistemare una sigaretta tra le sue labbra.
Il mio cuore perde un battito quando afferra la mia mano e lascia intrecciare le nostre dita.
«Vieni con me», dice.
«Dove stiamo andando?»
«Quante domande fai?»
«Beh, sai, ieri sera mi hanno forse minacciata di morte, tu sei uno dei sospettati e ti aggiri circospetto in un porticciolo. Scusa se mi viene spontaneo fare delle domande. Potresti colpirmi in testa con un sasso, rubare una barca e abbandonare il mio corpo al largo».
Lui non mi risponde nemmeno.
Si ferma davanti ad una grande barca a vela e fa un cenno col capo in direzione di essa: «Saliamo»
«Oddio. Stai davvero rubando una barca»
«Non sto rubando niente»
«È tua?», mi aggrappo al suo braccio per camminare sul piccolo pontile in legno.
«No»
«Allora la stai rubando»
«Non la sto rubando», ripete, scocciato.
«È una bella barca, comunque», commento.
«Grazie! Anche tu sei una gran bella ragazza», una voce maschile che non conosco mi fa sussultare e alzo in fretta lo sguardo, trovandomi davanti un ragazzo dagli occhi color ghiaccio.
Afferra la mia mano per aiutarmi a salire a bordo e poi sorride: «Io sono Dimitri, piacere», sto per rispondere, ma abbandona la mia mano e si fionda ad abbracciare Mattia.
I due si salutano tra risate e insulti coloriti.
Da quel che riesco a capire, per chissà quale motivo, i due non si vedono da molto tempo.
«Venite», Dimitri fa un cenno col capo in direzione di una borsa frigo , «Prendete una birra e mettetevi comodi»
«Selene dov'è?», Mattia si abbassa per recuperare due bottiglie e me ne porge una. Il vento scompiglia i suoi capelli e fa svolazzare un po' anche la sua t-shirt rossa.
È una visione.
«BUU!», urlo in modo vergognoso quando una bambina smette di nascondersi sotto una coperta e salta addosso a Mattia, riempiendolo di baci.
Il mio coinquilino non riesce a nascondere un sorriso mozzafiato e ricambia con altrettanto affetto.
«Fatti guardare!», le dice, «Sei alta quasi quanto me»
«Quasi», bisbiglia lei.
«Quasi», la imita, poi fa un cenno col capo verso di me, «Lei è Adele. Vuoi darle un bacino?».
Lei assottiglia gli occhi e punta le sue iridi azzurre su di me, gonfia le guance e annuisce timidamente.
Stringe la mano di Mattia e si avvicina piano.
«Avviciniamoci con calma, Selene», mormora il mio coinquilino, «A volte morde».
Ma tu guarda che stronzo.
La bimba, spinta da chissà quale coraggio, continua a camminare verso di me.
Sta per darmi un bacio quando il mio coinquilino urla, facendo strillare di conseguenza sia me che la piccola.
Lei salta in braccio a Mattia urlando.
Lui, invece, ride come un bambino.
«Mattì, dai, le blocchi la crescita!», è Dimitri a parlare.
Mattia non riesce a smettere di ridere.
E anch'io fatico a trattenere un sorriso.
Come sempre, del resto.
Quando c'è lui nei dintorni non riesco a rimanere seria.
Forse è questo quello che mi piace di lui.
Forse.
«Possiamo fare questo giro in barca o non hai ancora smesso di traumatizzare mia figlia?», Dimitri tira su l'ancora e Mattia viene a sedersi accanto a me, sistemando Selene sulle sue gambe.
«Ho tutta la giornata per farlo», dice.
«Adè», Dimitri mi lancia una veloce occhiata e trattiene è un sorriso, «Voglio metterti in guardia: sta lontana da lui. È un figlio di puttana», rimane in silenzio per qualche istante, poi arriccia le labbra per trattenere una risata: «Letteralmente».
Mattia diventa serio di colpo, poi però scuote la testa e inumidisce le sue labbra: «Tuo padre veniva spesso»
«Vaffanculo».
I due si scambiano delle occhiate complici e la conversazione finisce lì.
Mattia lascia un bacio tra i capelli di Selene e accarezza la sua guancia: «Tu non dire le parolacce, mh?»
«No»
«Dai un bacio ad Adele. È buona»
«No», ripete lei e il mio coinquilino ride.
«No?»
«No»
«Allora glielo do io», e non faccio in tempo a protestare che le labbra di Mattia si posano sulla mia guancia, facendomi avvampare.
Fingo di non sentire il formicolio allo stomaco e mi concentro sull'acqua sotto di noi.
Il vento tra i capelli, il profumo di Mattia addosso e un sorriso sulle labbra.
Così sto bene.
Anche troppo.
Buon pomeriggio! 😍😍
Come state?
Finalmente sono riuscita ad aggiornareeee.
Abbiamo delle New entry 😍😍😍
Sappiate che amo, amo, amo Dimitri.
Ancora non lo conoscete, ma io lo amo.
Anche Mattia lo ama.
Quindi niente, spero lo amerete anche voi.
Sapremo di più nel prossimo capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, intanto.
Ci tengo a ringraziarvi per tutto il sostegno che mi date e per il modo in cui seguite questa storia.
Grazie, grazie, grazie.
Un bacione e a presto. ❤️
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