3. Non finisce qui
Valentina si accorse a malapena del campanello.
Asciugò le lacrime e si alzò in piedi. Prese un profondo respiro, poi un altro, e i battiti del cuore iniziarono finalmente a rallentare. Il campanello suonò ancora. Sistemò il vestito, controllò allo specchio che il trucco fosse intatto e aprì.
Marco Tecchi, il receptionist, era fortemente a disagio sulla soglia di casa sua. «Signorina Rocca, mi spiace disturbarla ma c'è qualcuno che la cerca in modo piuttosto insistente». Il personale sapeva che odiava essere cercata quando era nel suo appartamento, a meno che non ci fosse un motivo davvero valido.
«Chi?»
«Non si è presentato, ma l'ho riconosciuto come il signor Foti. È qui da ieri, nella Stanza 15. Per questo ho ritenuto...»
Stanza 15, la suite. Valentina sospirò e uscì di casa, chiudendo la porta. «Dov'è?»
«L'ho fatto accomodare nel suo ufficio.»
«Grazie, Marco. Puoi andare». Lungo il tragitto le spiacevoli sensazioni che i ricordi le avevano lasciato addosso vennero sostituite dalla fredda calma professionale che l'aveva sempre contraddistinta in queste situazioni. Abbassò la maniglia del suo ufficio, pronta a tutte le eventualità possibili, eccetto quella che si trovò davanti.
L'ospite guardava qualcosa alla finestra, girato di spalle. Lo riconobbe dal completo grigio, prima ancora che lui si voltasse: era l'uomo con cui aveva incrociato lo sguardo al bancone del bar. Tutte le difese che aveva costruito stavano crollando come un castello di sabbia. Cercò inutilmente di tenere a bada le emozioni, di riordinare i pensieri, e si riscosse per agire in modo razionale. «Signor Foti, dico bene? Sono Valentina Rocca, la proprietaria. Prego, si accomodi». Girò attorno alla scrivania e prese posto sulla sedia, invitando l'uomo a fare altrettanto.
«Deve avere un personale molto efficiente per conoscere il mio nome. Non ricordo di essermi presentato». Aveva una voce profonda e calda, il suo volto era animato da uno splendido sorriso.
«Ho scelto ognuno di loro personalmente.»
«Non posso che farle i miei complimenti. Questo posto è... Semplicemente straordinario. Mi hanno riferito che ha fatto tutto da sola.»
«È così. La ringrazio». Valentina sentì un vago rossore colorarle le guance quando i loro sguardi si incontrarono di nuovo. Aveva occhi molto scuri, i capelli castani e nella sua barba si scorgeva più di qualche striatura di bianco. «Posso fare qualcosa per lei? Ha riscontrato un problema?»
«Oh no, no, nessun problema. In realtà mi sento alquanto ridicolo, ora», disse, agitandosi sulla sedia. «Vede, questa mattina al bar non ho avuto l'occasione di presentarmi e mi è sembrata un'idea sconveniente rincorrerla per tutto l'albergo, così ho fatto qualche domanda in giro ed eccomi qui. Spero lei possa perdonarmi se ho insistito per vederla». Toccò a lui arrossire a sua volta.
Lei, dal canto suo, sentiva il cuore martellare nella cassa toracica. «È un uomo piuttosto determinato», riuscì ad articolare.
«Mi piace pensarlo». Nel suo tono non c'era alcuna presunzione. Qualcosa di quell'uomo la mandava in agitazione. E non erano le lusinghe, sapeva bene come gestirle. Da quando era entrato nella stanza mai una volta aveva lasciato vagare i suoi occhi sul corpo di Valentina, cosa che accadeva spesso quando rimaneva sola con altri uomini. Lui la guardava in faccia, dritto negli occhi, con una sincerità disarmante. Quella sincerità, quel suo fascino, la sua signorile gentilezza la stavano mandando in tilt. «Sarebbe sfacciato da parte mia chiederle un invito a cena?»
Non se lo aspettava. La paura le artigliò lo stomaco e le impedì di pensare con lucidità, paralizzandola. Rispose con qualche secondo di ritardo. «Sono piuttosto impegnata con il lavoro di questi tempi.»
Lui dovette accorgersi che quello era un rifiuto perché si alzò, sorridendole in modo gentile. «Lungi da me volerla distogliere dal suo lavoro». Le tese la mano in segno di resa e lei sorrise impacciata, ricambiando la stretta. L'uomo le voltò le spalle e si diresse elegantemente verso la porta. Solo sulla soglia si voltò e promise: «Non finisce qui, signorina Rocca.»
La porta si chiuse e lei ricadde sulla sedia, nascondendo il volto tra le mani. Non le succedeva da anni di provare delle simili emozioni per un uomo. Avrebbe voluto lasciarsi andare ma la paura di cadere vittima degli stessi meccanismi era troppo forte, la teneva in scacco.
Non riuscì a non pensare, però, che lei non era più una ragazzina e che la situazione non sarebbe potuta essere più diversa.
È sera. Non è nemmeno sicura di ricordare la strada, ma a guidarla è la disperazione. Non fa altro che pensare a lui da una settimana, ormai. È perennemente eccitata, distratta... Deve vederlo. Le sembra di riconoscere la porta. Una targa dell'ultimo piano recita "V. Luz". Suona. Un minuto di interminabile attesa. Un ronzio.
«Chi è?»
Lei riconosce all'istante il suono della sua voce. «Valentina.»
Un attimo di silenzio e il ronzio si interrompe. Sta quasi per andarsene, quando la porta si apre. Entra, sale le scale a due alla volta e lui è lì ad aspettarla, sulla soglia di casa sua. T-shirt nera, jeans slavati e il solito sorriso languido stampato in faccia. La afferra per un braccio e la tira dentro casa.
«Siediti.»
Lei affonda sul divano mentre lui resta in piedi, vicino, molto vicino.
«Perché sei qui?»
Valentina non risponde, ha paura di dire qualcosa di sbagliato e abbassa lo sguardo. Vicktor le solleva il mento con la mano. Il volto di Valentina si trova all'altezza del suo inguine e il suo sguardo indugia, incontrollato, sul rigonfiamento nei jeans. Il ricordo di lui nudo la fa fremere.
«Fallo.»
Lei esegue di nuovo senza fiatare. Slaccia i pantaloni, abbassa i boxer neri e con la lingua lecca il suo membro. Vicktor trema mentre lo accoglie in bocca con movimenti lenti, troppo lenti. Sente delle mani calare sulla sua testa e spingere. Si sta eccitando anche lei. Allarga le gambe, scosta il tanga sotto il vestito e si tocca. Lui lo nota e spinge più forte, indugia più a lungo, soffocandola quasi. Le ritmiche pulsazioni del piacere di Vicktor fanno esplodere anche lei, in silenzio stavolta, per dimostrargli che sa imparare dai propri errori. Lui si riveste, guardandola.
«Togli l'intimo». Un brivido la scuote mentre esegue il suo ordine. «Torna domani a quest'ora». Si china per raccogliere il tanga di cotone dalle sue mani. «Questo lo tengo io. Adesso vai.»
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