PROLOGO
Arderà il mare.
Sprofonderà la terra.
All'avvenire dell'Era terza,
piangeranno i cieli
e il mondo sarà tempesta.
Per sette volte
sette saranno i re,
una sola la corona,
Sette per sette re avrà la Terra,
prima che il Sole scompaia nell'eterno.
E da sette per sette verrà uno.
Uno per la rovina,
uno per la fortuna.
La profezia era tramandata di padre in figlio da generazioni e generazioni, inscritta su quella pergamena ormai consumata che tenevano protetta in una teca di vetro negli archivi della Biblioteca Reale di Ravania. Erano secoli che si trovava lì, mai estratta, mai visionata se non dal sovrano e dal suo erede designato. Erano trascorsi gli anni, dinastie regnanti erano cadute e altre avevano preso il loro posto, eppure la profezia rimaneva al suo posto. Come se attendesse. Come se la disgrazia più terribile di tutte dovesse ancora avvenire.
Tiberios rammentava ancora perfettamente la prima e sola volta prima di allora che aveva messo piede in quel luogo. Era buio e polveroso, come era stato al tempo, e tremendamente silenzioso. Allora come oggi, non c'era nessuno oltre a lui nella stanza, vuota eccetto per quel singolo foglio di pergamena. Nessuno ne era a conoscenza, a nessuno era concesso conoscere i suoi contenuti salvo al re. Neppure gli studiosi dell'università cittadina avevano il permesso di stare lì.
"E per una buona ragione," gli aveva detto suo padre, al tempo in cui gli aveva trasmesso il segreto.
All'epoca, il principe aveva avuto appena otto anni. Eppure era il solo figlio maschio del re, ultimogenito dopo sei sorelle. Suo padre aveva già avuto ormai una cinquantina d'anni al momento della sua nascita, e nessuno poteva sapere quanto ancora sarebbe vissuto. Col senno di poi, avrebbe potuto attendere prima di posare il fardello sulle sue spalle, ma Tiberios non lo biasimava. La ruota della fortuna sapeva essere imprevedibile, e non era raro che a quell'età uomini apparentemente in perfetta salute crollassero morti dopo pochi giorni.
Suo padre lo aveva portato di fronte alla pergamena, illuminando la via soltanto con una lanterna, e gli aveva letto quelle parole tracciate con il nero inchiostro sulla carta rovinata dal tempo e dai topi.
"Questo," gli aveva detto, "è un segreto. Nessuno altro sa dell'esistenza di questa profezia. Se la voce si diffondesse, si creerebbe il panico fra la gente. È per questo motivo che la custodiamo qui, dove nessuno potrà mai pensare di trovare qualcosa del genere. Noi siamo i custodi della pace, figlio mio, pace che non può essere minata dalla paura di una fine imminente."
Re Caius, quarto del suo nome, sesto della Casa Deravon a divenire Sommo Re delle Terre Emerse, era stato un uomo grande, indomito, saggio e coraggioso. Le parole della profezia, lette con riverenza e tanto custodite, in lui non avevano mai evocato timore.
"Non vi sarà alcuna fine del mondo," gli aveva spiegato, con tutta calma. "Stirpi si sono susseguite, schiere di re che mai hanno visto simili rovine. Non è neppure chiaro come si debba contare il tempo per arrivare all'era di cui è scritto, né come si debbano interpretare i numeri dati. Non abbiamo niente di cui temere. Se lo avessimo, i segni ormai si starebbero manifestando."
Tiberios non era mai stato alla sua altezza. Anche se allora aveva annuito alle parole di suo padre senza protestare, anche se ora aveva imparato a conviverci, il dubbio non lo aveva mai del tutto abbandonato.
Io sarò il settimo re. Il settimo re della settima grande famiglia che arrivava a sedere sul trono delle Terre Emerse. In qualche modo, anche se il vero significato della profezia non gli era chiaro, questo gli era parso abbastanza.
E se la profezia non fosse stata un qualcosa di incerto e di lontano? Se si fosse trattato invece del preannunzio di una sventura ormai vicina? Incubi di morte e distruzione, della sua bella terra ricoperta di tenebra e cenere lo avevano tormentato da allora, quasi ogni notte.
Eppure nulla mai era accaduto. Proprio come re Caius aveva sostenuto, nessun segno apparve che una crisi fosse imminente. Il popolo e l'aristocrazia erano felici, il regno prosperava. Ogni cosa sembrava florida e lieta, e il mondo era in pace. Ma la pace era flebile, andava intessuta e mantenuta con cautela. Il principe lo aveva imparato osservando le azioni di politica e diplomazia alla corte reale. Per cui, qualsiasi cosa potesse destabilizzarla andava nascosta.
Vent'anni dopo, Tiberios si trovava esattamente dove era stato suo padre, ora con la corona dorata del Sommo Re fra le mani, e il regno che lo attendeva.
Suo padre era morto quella notte, soccombendo agli anni e alla fatica. Era stata una morte naturale e pacifica, eppure chi mai era pronto a dire addio ad una persona cara? Forse per questo motivo, non appena suo padre aveva chiuso gli occhi per l'ultima volta, Tiberios aveva sentito il bisogno di tornare lì, in quel polveroso archivio dove per la prima volta gli era parso di capire cosa significasse davvero essere re.
Ora doveva essere pronto. Non aveva altra scelta. Non poteva aver paura.
"Prometti che manterrai il segreto. Tramandalo solo a colui che ti succederà, figlio mio, e poi portalo nella tomba. Il mondo non deve sentire la paura, o si distruggerà nel tentativo di salvarsi."
Erano state quelle le parole di suo padre, tanto tempo prima.
Il mondo non doveva percepire che ci fosse alcun motivo per cui temere, e questo significava che nessuno mai avrebbe dovuto scoprire le sue paure. Doveva rinchiuderle nel suo cuore, come la profezia, solo per lui da conoscere. Tutti gli altri avrebbero visto la certezza, avrebbero visto la promessa di una continua pace.
Quel giorno Tiberios Deravon, terzo del suo nome, settimo della sua Casa a divenire Sommo Re delle Terre Emerse, giurò a se stesso e allo spirito dei sovrani passati, di fronte a quel cimelio che li legava, che così avrebbe fatto: "Che il fato stesso ne sia testimone. La pace regnerà ancora a lungo sulle Terre Emerse."
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