CAPITOLO VII
Tiberios era poggiato all'estremità di una lunga tavola in marmo bianco, chino su una mappa delle Terre Emerse e delle acque circostanti—con i cerchi concentrici del Regno delle Sfere Celesti tutt'attorno—in quella che era stata adibita a sala della strategia reale. A quell'ora del mattino la luce illuminava appieno quell'ala del palazzo, che dava sul versante est della città. I raggi del sole si riversavano sulle spalle del re come un tiepido manto, e facevano luce sulla carta.
Ciononostante, un'ombra incombeva su di lui. O per meglio dire, tre ombre: attorno a lui difatti si erano affollati Drusiana, Lucretia e persino Castor.
Suo nipote, Tiberios ne fu certo, doveva essere venuto a conoscenza dei suoi piani da Lucretia.
E per quanto riguardava la principessa, ebbene, non si era stupito che avesse trascinato l'amico con sé di fronte al portone del salone circolare, dove egli li aveva trovati—facendo per uscire—senza che li avesse fatti chiamare. Lucretia era sempre stata più esuberante di quanto non fosse bene.
E Castor, venne fuori, non era da meno quando si trattava di questioni importanti. Aveva insistito per sapere tutto, e non gli aveva concesso la grazia di non rispondere. Né lui né Lucretia gli avevano permesso di allontanarsi senza stargli alle calcagna.
Oramai, il re si era rassegnato al fatto che la profezia non potesse più essere un segreto solo suo da portare. Lucretia aveva visto ormai troppo perché potesse nascondergliela, e se non fosse stato lui a dire la verità a Castor, sapeva che ella non avrebbe esitato a farlo al suo posto.
In quel momento, non aveva avuto neppure più la forza di opporsi davvero alle loro richieste.
Non aveva avuto altra scelta che permettere ai due di unirsi alla discussione.
E forse, dopotutto, non poteva andare diversamente. Nella sua visione del futuro, loro erano stati presenti. Forse a quello non vi era scampo, per quanto la cosa non gli piacesse.
Prese un respiro profondo, sollevando il capo dalle mappe. Quando si voltò a guardarli, trovò gli occhi di tutti e tre i suoi compagni puntati addosso.
"Allora qual è la meta, Tiberios?" gli chiese Castor, che sembrava ormai dare la sua partecipazione a quell'impresa come un dato di fatto.
Giovane era, e pieno di spirito cavalleresco. Credeva che seguirlo fosse una sorta di onore, come quando erano stati ragazzini e il più giovane si sforzava di imitare ogni sua mossa.
Venire a sapere della profezia non sembrava averlo turbato, o almeno non lo dava a vedere.
Castor pareva essere convinto che sarebbero riusciti a farvi fronte. Pareva essere convinto che lui avesse tutto sotto controllo, forse perché Tiberios era sempre stato attento a far passare quell'immagine di sé al mondo. Anche nel rivelare la profezia, d'altronde, non era stato in grado di gettare del tutto la maschera. Forse perché lui stesso cercava di convincersi della medesima bugia che aveva offerto a tutti gli altri. A Lucretia e a Castor inclusi.
Ma adesso, era vitale che comprendessero a che cosa sarebbero andati incontro.
"In questa missione, non vi sarà nulla di certo. Voglio che lo capiate," lì avvertì dunque. "Non posso garantirvi di sapere ciò che ci aspetterà. Posso solo dirvi che non è un gioco, non è un viaggio intrapreso per puro desiderio d'avventura."
Era un destino che non aveva mai chiesto, e a cui tuttavia era suo dovere adempiere. Ma non era il loro. Non doveva essere il loro peso da portare.
"So che se anche vi ordinassi di non venire, trovereste il modo di disubbidirmi," riconobbe, perché li conosceva sin troppo bene per potersi illudere altrimenti. "Per cui posso soltanto consigliarvi: restate. Non sprecate quelli che potrebbero essere i vostri ultimi giorni a cercare una salvezza che potrebbe non esistere. Non siete costretti a farlo. Non avrei mai voluto immischiarvi in qualcosa che è troppo grande per voi."
Lucretia scosse la testa, con un lieve sospiro. "Tu pensi soltanto a proteggere gli altri. Non credi che qualcuno potrebbe voler proteggere te allo stesso modo?"
È diverso, avrebbe voluto dirle.
Sapeva che le persone tenevano alla sua incolumità, certo. Aveva guardie e assaggiatori reali, parenti che si preoccupavano di ogni suo minimo graffio. E aveva anche Lucretia, che si comportava già come una sposa apprensiva senza neppure esserlo ancora ufficialmente.
Ma se anche gli fosse capitato qualcosa, se non fossero riusciti a proteggerlo, il regno poteva sempre incoronare un nuovo re. Accadeva sempre, prima o poi.
Se lui avesse fallito nel suo compito di proteggere il regno, invece, sarebbero morti in migliaia. Forse tutti gli esseri che abitavano le Terre Emerse sarebbero stati spazzati via. A una perdita di tali proporzioni non si poteva porre rimedio.
Ma alla fine, quel pensiero non ebbe alcuna realizzazione. Nonostante tutto, nella sua visione, aveva visto Lucretia e Castor accanto a sé. Impedirlo avrebbe potuto comportare conseguenze di cui nessuno poteva avere idea. Pregò di non pentirsi di ciò che stava per accettare.
E così Tiberios, pur con un peso che gli gravava sullo stomaco, annuì. "E sia."
E, voltatosi di nuovo verso la carta del mondo conosciuto, si costrinse a fingere una sicurezza che non possedeva. Picchiettò il dito su un punto della mappa. "La Città di Nubes, nel Regno delle Sfere Celesti." Drusiana gli aveva fornito le indicazioni, sulla base di ciò che aveva saputo descrivere della sua visione. "Ho visto che saremmo stati qui, nel futuro. È da qui che dobbiamo cominciare."
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Le madri sapevano essere creature terribilmente opprimenti. Essere il Sommo Re di tutte le Terre Emerse, ancora una volta, non risparmiò a Tiberios di udire la ramanzina della Regina vedova.
"Tu, andartene nel Regno delle Sfere Celesti!" si stava lamentando, ormai da svariati minuti, da quando egli l'aveva informata delle sue intenzioni. "Gli unici viaggi che tu abbia mai compiuto sono state le visite regali al seguito di tuo padre, con una schiera di cavalieri al seguito e servitori pronti a soddisfare ogni tua richiesta." Sospirò, alterata. "Follia, pura follia! Da quando ti è capitato quell'incidente, pare che tu non sia più in te stesso, figlio mio."
Non aveva idea di quanto avesse ragione. Né Tiberios aveva intenzione di spiegarle, altrimenti sarebbe stata sua madre ad impazzire del tutto.
Il solo fatto di parlarle della partenza era qualcosa che egli non aveva avuto alcun desiderio di fare. Eppure, il Sommo Re non poteva svanire come se nulla fosse. Vi sarebbe stato bisogno di un reggente, nel tempo in cui fosse stato lontano, e sua madre—pur angosciosa com'era—era la persona più indicata a svolgere tale compito. Aveva regnato al fianco di suo padre per anni, partecipato alle riunioni del consiglio, tanto quanto Tiberios stesso. Per più tempo, anzi, poiché lo aveva fatto sin da ben prima che lui nascesse.
"Non vedo perché tu debba andare da solo, in ogni caso." La Regina madre continuava a parlare, scuotendo il capo con aria contrariata. "Per lo meno, porta con te qualcuno dei tuoi uomini."
"Ti ho detto perché deve essere così, madre," le rispose, sforzandosi affinché la voce non tradisse la sua reale incertezza. "Vi è un saggio, lassù, che può spiegare ciò che è avvenuto il giorno della mia incoronazione. Non posso portare un contingente con me, o parrà che io sia lì per minacciare la loro pace." Naturalmente, non era la pura verità. Ma lei non doveva saperlo. "Ma devo andare. Se gli dei ci inviano un segno, non è forse nostra responsabilità fare quanto è in nostro potere per interpretarlo?"
"Non così," protestò la donna. "Non mettendo a rischio la tua vita e quella del tuo erede. Per non parlare della principessa. Suo padre sarebbe furioso se le capitasse qualcosa."
"Se suo padre desidera trattenerla, che lo faccia."
Spero che lo faccia, pensò anzi.
Non che Tiberios credesse che re Varos ne sarebbe stato capace, anche se lo avesse voluto. Lucretia era ben più ostinata di quanto la sua dolce apparenza non desse a vedere.
E re Varos, d'altronde, non sembrava davvero intenzionato a fermarla, considerò il Sommo Re, osservando la sua espressione compiaciuta mentre parlava alla figlia, dall'altra parte della sala in cui avevano convocato le rispettive famiglie.
Certo, egli non poteva immaginare i pericoli che avrebbero potuto incontrare. Con ogni probabilità, credeva che sarebbe stato un viaggio diplomatico, e che la presenza di Lucretia fosse un onore concessole in quanto futura regina.
Tiberios avrebbe lasciato che continuasse a pensarlo. Se l'ambizioso sovrano delle Marche Orientali fosse venuto a conoscenza di quanto poco controllo egli avesse invero sul regno, del caos che avrebbe potuto scatenarsi se i sospetti di un pericolo fossero divenuti reale minaccia agli occhi del popolo e dei nobili, non osava immaginare che cosa avrebbe fatto di quel potere.
"Puoi stare certa, madre, che terrò Castor e Lucretia al sicuro," asserì dunque il Sommo Re, perché non aveva altra scelta.
Fra bugie e mezze verità, per lo meno, per una volta fu un sollievo non dover mentire. Se vi era una cosa di cui era certo, era che per nulla al mondo avrebbe mai permesso che accadesse loro qualcosa.
Anche se... La visione del lago gli tornò alla mente. Gli tornò alla mente l'urlo di Lucretia, l'ultima cosa che aveva udito di quel futuro possibile. Non sapeva che cosa avveniva dopo.
Immediatamente, cacciò quel pensiero dalla propria mente. Non significa nulla, si disse. Qualsiasi cosa dovesse fare, non avrebbe lasciato che nulla di simile divenisse realtà.
"Ora, ti prego di non insistere oltre." Continuare a discuterne non faceva che aumentare i suoi dubbi, e Tiberios non poteva permetterselo. "La decisione è presa," disse, tanto a lei quanto a se stesso. "Bada al regno in mia vece. Confido che sarà in buone mani."
"Tu sei stato la nostra benedizione, Tiberios, di tuo padre e mia. Il nostro erede tanto desiderato. Non avrei mai creduto che potessi arrivare a dannarmi tanto."
"Non sempre i figli sono all'altezza della perfezione che ci si aspetta da loro, madre." Accennò un lieve sorriso, nel proferire quelle parole, come se si trattasse di una battuta di poco conto. Ma si trattava ancora una volta di una maschera.
Posso solo provare ad essere quello che il mondo, che gli dei e il destino si aspettano da me. Posso solo riuscire, o morire tentando.
Ma mentre sua madre gli sorrise di rimando, con un affetto negli occhi che trascendeva qualsiasi altro sentimento potesse star provando in quell'istante, il re fu ancora più certo che non avrebbe mai potuto ammettere a voce alta quella verità. Le avrebbe causato soltanto sofferenza.
Carezzandogli il viso come quando era bambino, sua madre gli disse: "Sarai sempre perfetto, ai miei occhi."
Non poteva essere altrimenti. Aveva sempre fatto in modo che lo credesse. Che tutti lo vedessero per il perfetto re che sarebbe dovuto diventare. Eppure, la tensione nel suo cuore si sciolse un poco a quelle parole.
"Farò come chiedi, figlio mio," cedette infine Aurelia, con un sospiro. "Ma tu fai una cosa per me, in cambio: stai attento."
Tiberios seguì il movimento degli occhi della regina, e vide come il suo sguardo cadde su Drusiana, colmo di dubbio. Sapeva che non si fidasse di lei, e non poteva spiegarle perché non vi fosse nulla di cui temere.
"Lo farò," si limitò ad assicurarle.
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Infine, tutto aveva trovato un suo assestamento. Tutto ciò che Tiberios poteva controllare, quantomeno. E, per quanto avesse desiderato che le cose andassero diversamente, perlomeno sapeva che cosa doveva fare. Che cosa doveva aspettarsi.
Ora che sua madre, sua sorella e il padre di Lucretia se n'erano andati, nel salone rimanevano soltanto lui, la principessa, Castor e Drusiana, la quale se n'era stata in un angolo ad osservare per tutto il tempo, senza nessuno a cui render conto. Eppure, non appariva meno turbata di quanto non si sentisse lui. Sembrava quasi fuori posto, le mani strette l'una nell'altra e lo sguardo rivolto verso l'orizzonte, come se non volesse essere lì ma non potesse neppure allontanarsi.
Il re fece a malapena in tempo ad osservare quel fatto, quando vide Castor avvicinarsi con passo deciso.
"Mia madre dice che è un'idea stupida seguirti," esordì senza preamboli, prima ancora di arrestarsi, sbuffando come se fosse un'ingiustizia. Come se quelle parole non fossero la pura verità. "Mi vieta di venire, o—parole sue—mi pentirò di essere nato. E non le interessa che tu sia suo fratello, e neppure che tu sia il Sommo Re. Dice che non hai alcun diritto di portarmi con te contro la sua volontà."
Scosse la testa, con aria contrariata. "Non sembra ricordare che sono io il conte, e un uomo adulto ormai. Forse perché ha passato diversi anni a farmi da reggente."
"O forse perché tua madre è più saggia di te, Castor."
Tiberios non poté—né volle—addolcire la realtà. Non finché il nipote non avesse compreso la gravità della situazione.
"Questa è un'idea folle. E se potessi rivelare che cosa sta davvero accadendo, senza far dilagare il panico più di quanto non sia già avvenuto, non dubito che ci serrerebbero tutti nelle nostre stanze e getterebbero la chiave."
"Però non lo farai," intuì Castor.
"Non ho altra scelta se non mantenere il segreto," ammise. "Non avrebbe mai dovuto essere altrimenti."
Ma il destino, e forse la sua stessa debolezza, avevano provveduto a far sì che le cose andassero in maniera diversa. Ora, Tiberios non poteva che accettare ciò che era stato. Se il futuro era incerto, al passato davvero non vi era rimedio.
"Ora non vi è più di che discutere, suppongo." Perché tanto quanto Castor conosceva lui, egli conosceva Castor. E poteva vedere nei suoi occhi che non aveva intenzione di cedere. Tiberios di certo non aveva il tempo per convincerlo.
"Se davvero non posso farti restare, almeno riposa. Non immagino che troveremo una sistemazione confortevole, durante il viaggio."
"Questo posso concedertelo. Ma non hai torto: verrò pur sempre." Un sorrisetto scherzoso nacque sulle sue labbra. "Qualcuno dovrà pur fare in modo che ritorni vivo, altrimenti mi faranno Sommo Re. E sono sicuro che tu sia più adatto di me a quel ruolo."
Nonostante tutto, Tiberios non poté fare a meno di sorridere lui stesso. "Di fronte a una ragione così nobile, non vedo come potrei controbattere."
Forse perché ormai lo aveva accettato, si sentì un poco più leggero.
Fece cenno a Castor verso il portone d'uscita. "Su, via, prepara le tue cose. Sarà meglio partire al più presto. Non vorrei essere presente per attirarmi addosso l'ira di Lucilia quando scoprirà che intendi disubbidirle."
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata nasale. "E va bene. Andiamo."
Ma Tiberios lanciò un'occhiata oltre le spalle del giovane, verso l'ampia arcata presso la quale si trovava Drusiana. "Tu vai avanti. Scorta Lucretia," gli indicò, passando per un attimo lo sguardo sulla fanciulla, che stava venendo anch'ella nella loro direzione.
Castor si voltò per seguire la traiettoria del suo sguardo, e parve irrigidirsi un poco. "Ne... Ne sei certo?"
Il re, per un istante, esitò sulla risposta. Se avesse voluto, avrebbe potuto far sì che fossero le guardie a scortare la celeste nella sua stanza.
Ecco, se avesse voluto. Eppure... "Drusiana... Lei è sola, in un luogo in cui i più la credono pericolosa, persino nemica," disse infine. "Dato che a causa mia è stata costretta a restare, quantomeno dovrei estenderle la mia protezione finché i nostri piedi poggeranno sul suolo delle Terre Emerse. D'altronde, presto potremmo necessitare che il favore sia ricambiato. Potremmo aver bisogno di un alleato, nel Regno delle Sfere Celesti."
Fu quel misto di senso di colpa e di interesse che lo mosse, infine. E forse anche un pizzico di curiosità, curiosità per quella creatura che era piombata dal cielo per avverare una profezia, per quella donna che in qualche modo era stato destinato a incontrare.
"Posso accompagnarvi?" le chiese dunque, allineandosi al suo passo mentre ella si avviava all'uscita della sala. "Non vorrei che i miei uomini vi creassero problemi."
Lei gli accennò un sorriso. "Siete gentile. Vostra madre, però, non approverebbe."
Non dovette dirlo ad alta voce perché Tiberios capisse: doveva aver notato come la guardava.
"Il giudizio di mia madre è di poco conto in questo," la rassicurò. "Lei non conosce metà della storia. Non sa perché devo andare nel Regno delle Sfere Celesti, non sa perché voi siete qui. Dovete perdonare i suoi dubbi, poiché non le ho dato modo di chiarirli."
"Mentite molto spesso alla vostra famiglia, signore?"
Tiberios considerò la questione, non senza un certo imbarazzo di fronte al candore con cui ella gliel'aveva posta. Come se non lo biasimasse, e per assurdo quella comprensione lo fece sentire ancora più a disagio.
Paradossalmente, se avesse dovuto essere del tutto onesto, avrebbe dovuto ammettere che mentiva e fingeva con la facilità con cui si rubano le caramelle ad un bambino. Ma la verità era anche ben più complessa.
"Non se posso evitarlo," optò infine per una via di mezzo. "Il più delle volte, io... ometto i dettagli che loro non potrebbero comprendere, quelli che li spaventerebbero troppo."
"Non vi pesa mai?"
Vorrei che smetteste di parlarmi come se mi leggeste nella mente, avrebbe desiderato dirle in quell'istante. E non perché avesse detto qualcosa di sbagliato, ma perché ci aveva visto sin troppo bene, e ciò lo spaventava.
Invece si scrollò di dosso il pensiero, tenendo gli occhi fissi sul corridoio dinnanzi a sé, così da non incrociare lo sguardo della donna. "Ci sono abituato." E proprio per quel motivo non poté pronunciare la piena verità, ovvero che sì, gli pesava. Sempre. Eppure continuava a farlo, perché il regno aveva bisogno di stabilità, stabilità che l'onestà non avrebbe mai potuto garantire.
"Voi, piuttosto, dovrete desiderare di ricongiungervi con la vostra famiglia," fece per sviare il discorso, comunque senza guardarla, Magari, in quel modo, avrebbe smesso di leggere il suo spirito in quel modo tanto spiacevole.
"Io... ne sarei felice, davvero." La sua voce era dolce e delicata, come un soffio di vento primaverile. Tiberios si concentrò su quello per scacciare il disagio che pensare gli provocava.
"La mia famiglia è grande come la vostra," raccontò Drusiana, "anche se non è esattamente quella che voi definireste una famiglia, credo. Io sono stata cresciuta alla scuola di addestramento a Nubes. I miei compagni sono come fratelli e sorelle per me, i maestri come genitori. Sapete, l'uomo della vostra visione è uno di loro. Uno dei migliori, in effetti..." E si fermò per un attimo, prima di sollevare lo sguardo verso di lui. "Sto parlando troppo, mi scuso."
Anche senza guardarla direttamente, Tiberios sentì i suoi occhi su di sé. Poté immaginare la profondità con cui ella lo stava scrutando, con cui guardava oltre la sua maschera e vedeva ogni sua debolezza. E desiderò che continuasse a parlare, piuttosto che continuare a sentirsi in quel modo. Trasparente. Fragile. Come nessuno avrebbe mai dovuto vederlo.
Con la coda dell'occhio, scorse Drusiana mordicchiarsi il labbro inferiore. Se avesse dovuto azzardare un'ipotesi, Tiberios avrebbe detto che pareva star cercando di nascondere il proprio disagio. Ed egli era un esperto nell'arte del nascondere le emozioni.
"Vorrei sentire di più, in vero," le disse, allora. Voleva qualsiasi cosa potesse distrarlo dalla paura e dall'incertezza e dal peso che il suo destino gli imponeva. E, qualsiasi cosa spezzasse quell'imbarazzante silenzio. "Raccontatemi tutto. Della vostra casa, dei vostri amici, qualsiasi cosa di cui vogliate parlare... Sarei lieto di ascoltarvi."
E, nel pronunciare quelle parole, si rese conto di esserlo davvero.
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