12.

Giovedì mattina h 7.00

«Amber Costa, un passaggio a scuola?»

Due agenti scesero dall'auto posteggiata sotto casa mia con la divisa perfettamente stirata, chissà se era farina del loro sacco o di qualche moglie indaffarata coi lavori domestici?

Poco importava, stava ancora piovendo e un passaggio a scuola mi avrebbe fatto comodo, ma le favole sono piene di pecorelle smarrite e di solito finiscono in mano a lupi gentili che si offrono di aiutarle, così rifiutai.

Gli agenti si strinsero nelle spalle e non fecero altro che pedinarmi in auto finché non varcai le porte dell'edificio scolastico, o almeno così pensai. All'ora di pranzo, in mensa, mi sedetti ad un tavolo aprendo Dracula di Stoker e riprendendo la lettura, pensando anche di terminarla. Non sapevo dire il perché ma sapevo di essere osservata, così alzai la testa ed eccoli lì: gli agenti stavano mangiando dei sandwich al prosciutto, seduti due tavoli accanto al mio. I loro cappelli erano stati appoggiati sulle sedie, sopra le giacche delle uniformi e loro non staccavano gli occhi da me, mentre continuavano a ruminare pezzi di pane come animali da fattoria.

Sapevano qualcosa, ma che cosa? Perché Bruce Ollis, ad esempio, non veniva pedinato? In fondo aveva seguito Martin quella notte. Ma la polizia ne era a conoscenza?

«Amber Costa, tutto bene?» l'ispettore mi sorprese con una pacca sulle spalle.

«È rimasto qualcuno a mantenere l'ordine in città? O siete proprio tutti in questa scuola?» risposi stizzita.

«Abbiamo forze sufficienti e tali da poterci permettere di controllare un po' i giovani».

Si sedette di fronte a me, girando la sedia al contrario e utilizzando lo schienale per appoggiare le braccia, conserte.

«Dracula eh? Libro a tema?»

Chiusi velocemente le pagine e misi il volume nello zaino.

«Compiti di letteratura» risposi evasiva.

«Stiamo ancora indagando sulla morte del tuo vicino di casa» il suo sorriso beffardo non mi piaceva.

«Sarebbe strano il contrario visto che non avete ancora arrestato nessuno».

«Io credo che siamo molto vicini alla soluzione del caso e che sia questione di pochi giorni, magari di ore».

Ancora quel maledetto sorriso. Avevo voglia di prendergli i capelli tra le mani e sbattergli la faccia sul tavolo della mensa. Mantenni la calma.

«A me non sembra, altrimenti non perdereste tempo a farmi scortare quando c'è gente che ha visto Martin poche ore prima che morisse».

«Ah sì? Ad esempio?»

Se le cose si stavano mettendo male per me tanto valeva vuotare il sacco:

«Bruce Ollis. Martin gli procurava la droga e quel sabato sera era alla festa in casa Jamison. Ha quasi provato a dargli fuoco!»

«Ma davvero?»

L'ispettore si pettinò il pizzetto tra pollice e indice, ma la reazione sul suo volto non era quella che mi ero figurata: rideva di me.

«Sappiamo questa storia, non sei l'unica ad avercelo detto. Ma abbiamo motivo di credere che Bruce non c'entri nulla».

«Invece la vicina psicopatica sì» tagliai corto.

«Può darsi. Tu che dici?»

Pensai di alzare le spalle, ma decisi che sarebbe stato meglio troncare la conversazione, così mi alzai e me ne andai. La polizia aveva già deciso e il sospetto che qualcuno stesse cercando di incastrarmi si fece strada tra i miei pensieri.

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