Capitolo 6; Happier Than Ever

Quando un giorno trovai quel foglio stropicciato che narrava l'inizio dell'idea di quello che sarebbe diventato Coral Sock, provai un qualche sentimento che a oggi trovavo impossibile da spiegare.

Non vi erano né parole né frasi da poter utilizzare, sentii come se tra le pieghe del mio cervello nacquero milioni di fiori e le mie sinapsi si sentirono in paradiso. Nella vita non avevo mai saputo cos'avrei voluto fare, m'ero sempre sentita buona in tutto ma talentuosa in nulla. 

Vivevo la malinconia dell'impossibile possibilità di avere un talento. Quell'emozione indescrivibile risvegliò in me un indissolubile legame con un qualcosa a cui volevo eccellere, non mi ero mai sentita così volenterosa e bramante di dover prendere una penna e inchiostrare in blu una storia.

M'ero già prodigata a scrivere in passato, ma in quel momento non mi stavo prodigando, scrivere sembrava necessario come respirare.

Per la prima volta mi sentii talentuosa, e fu Rie a risvegliare ciò che comunemente un artista avrebbe chiamato ispirazione. Coral Sock nacque per caso mentre noi due fingevamo d'impersonarci in due ragazzi liceali, quei giorni, tutt'ora, sembrano i più eterei della mia vita.

Dove tutto ciò che mi bastava per essere felice era incontrare gli occhi di Rie tra un foglio a righe e un sospiro di sigaretta. 

Mi accorsi di aver dimenticato tutto. Mi ero dimenticata com'ero arrivata a lavorare felice, arrancando continuando a scrivere come meccanicamente avevo imparato a fare. Non capace di provare più nessuna ispirazione o passione.

Quando quei fiori fiorirono di nuovo quando quella sera i nostri colori delle iridi si fusero, decisi che ero stanca di rinunciare. E avrei preso il rischio d'invitare uno sconosciuto nel più intimo progetto della mia vita pur d'iniziare ad abbandonare il passato e smettere d'esser codarda.


"Vuoi un caffè?" La voce di Fortuna mi cullò nello svegliarmi, la sentivo parlare chiaramente in soggiorno dalla mia stanza, mentre gli occhi ancora chiedevano di rimanere nel buio qualche secondo. Le coperte intorno a me erano estremamente calde, e il sonno mi aveva curato tanti dei dolori, come solo Morfeo sapeva fare.

La voce dell'interlocutore di Fortuna era più rilassata e profonda di come l'avevo sentita la sera prima, e ancora l'udito non mi si era abituato a sentirla, "No grazie, non lo bevo", Marvin disse alla riccia. L'altra sembrò aggiungere qualcosa, ma non riuscivo più a udire la loro conversazione a causa della rumorosa macchinetta che produceva la bevanda.

I miei occhi si chiusero lentamente, il gentile sole che sbucava dalla finestra mi intimava di abbandonare le lenzuola per potermi concedere al suo calore. Rialzandomi cercai velocemente i miei occhiali sul comodino di legno il quale stava immagazzinando sempre più cianfrusaglie, infilai i pantaloni della tuta e mi prodigai a pettinare il meno del necessario la zazzera che mi poltriva in testa.

Mentre i fil di plastica mi snodavano i capricci, il rumoroso caffè aveva smesso d'infastidire e le voci dall'altra parte del muro erano ora chiare ancora più chiare di poco prima. "Comunque quello scritto è veramente incredibile" mormorò quella che sembrava ancora essere Fortuna con qualche alimento tra i denti, Marvin sembrò sfilare una piccola risata ma ringraziò con tanto pudore.

"Non serve essere così riverente, siamo colleghi ora, no?" La voce di Fortuna non mi stancava mai di rassicurarmi, era calda ed edenica, potevo immaginare così chiaramente il suo sorriso mai falso senza neanche poterla vedere, "potrei anche non essere preso, anzi, fossi la vostra casa editrice forse non lo farei, è un rischio enorme!" Marvin le rispose lasciando che la voce gli si morisse in gola durante l'intero ragionamento.

Infondo, mi resi conto solo ora, che io il ragazzo non lo conoscevo per nulla. Eppure m'aspettavo da lui l'esatto comportamento che aveva dimostrato, forse si poteva conoscere una persona ancora più approfonditamente dai suoi pensieri su carta. Mi chiesi un po' come sarebbe stato essere accompagnato da un animo più dolce e meno freddo, molto sostanzialmente differente da Rie.

Però, in quel che solo qualche giorno fa sarebbe stato un burrone di preoccupazioni e terrore, ora, non mi spaventava. Anzi ero quasi eccitata di conoscerlo, di rischiare, di fallire, di ricominciare, di trionfare e di farcela.

Forse era proprio vero che bastava toccare il fondo per essere capaci di rinascere come una fenice.

"Secondo me, andrà tutto più che bene" Bottone cinguettò felice, "me lo auguro, sembra veramente un sogno anche solo sedere a questo tavolo" Marvin le rispose come se tutto ciò che stesse vivendo fosse solo parte del suo cervello che desiderava nel cuore della notte.

Si forse quello che più mi spaventava della sua figura, fosse il suo essere questo così grande nostro ammiratore.

"Buongiorno" feci capolino dalla mia porta con voce minuta, il trio si girò verso di me e potei udire ciò che ora sembrava un ritrovo ancor più caloroso di quel che pareva dalla mia camera.

 Fortuna aveva la testa completamente spalmata sul tavolo mentre mangiava lentamente uno yogurt al cocco, i capelli erano ancora legati in uno chignon disordinato, il pigiama nero le accompagnava l'aria ancora un po' dormiente, Bottone alla sedia accanto a lei invece pareva più raggiante e sveglia. Con una bella tazza di latte macchiato si spalmava delle fette biscottate con la Nutella, il viso sembrava più radioso di come la vedessi oramai da fin troppo, gli occhi castani sembravano un po' più miele.

Marvin, Marvin era seduto al posto di Rie.

E io sorrisi.


"Cosa cazzo vuol dire che voi due vi conoscete?" Totalmente allibita quasi urlò Flavia, seguita da un infastidita Fortuna che le intimava di abbassare la voce immediatamente. Il gruppo si era ritrovato a cadere in una certa familiarità tra di loro, anche le stesse Bottone, Fiamma e Fabiana sembravano essere appagate e a loro agio. Io e Rie in qualche modo eravamo rimaste indietro.

Marvin sorrise mentre guardava la corvina che fumava, la quale stava ancora tenendo uno sguardo un po' tra il cocciuto e lo sbigottito, "poco dopo di quando annunciarono la sua carriera da artista la incontrai in una discoteca, Rie mi chiamò perché le lasciai il numero in un regalo e rimanemmo un po' in contatto per qualche mese o giù di lì" spiegò Marvin cercando di placare tutti gli animi che si erano scaldati.

Flavia sospirò, "sei loro fan da veramente tanto quindi" commentò a voce bassa Fabiana mentre si aggiustava l'orecchino al naso, "minchia seriamente" Rie rubò la parola in un secondo, prese un altro respiro di sigaretta e poi guardò un po' più attentamente il biondo.

Egli le rivolse uno sguardo curioso, ma Rie non disse nulla, distolse gli occhi e ritornò a escludersi dalla conversazione. In realtà, neanche io riuscivo a esserne al passo. Non faceva parte del mio istinto essere così silenziosa, ma mi sembrava d'aver perso anni di amicizia e starmi introducendo come una spia, come un terzo incomodo tra loro.

Quindi mentre passeggiavamo per la Viterbo nello scopo di raggiungere dove ci saremmo finalmente riempiti lo stomaco; Fortuna, nel suo pesante giubbotto rosa, camminava spartendo ordini a destra e manca insieme al suo navigatore, Marvin raggomitolato nel suo maglione accanto a lei raccontava stralci di come ci aveva conosciute, Fabiana s'occupava d'infilare e riordinare tutti i gioielli che aveva impacchettato nelle tasche mentre seguiva attentamente la voce del biondo, Fiamma strascinava i jeans lunghi mentre commentava a piena voce qualunque evento, Bottone rideva a crepapelle tra qualche commento in quanto facesse freddo solo in maglia lunga e collo alto.

Tutti insieme, camminavano nel marciapiede. E dietro, io e Rie li seguivamo, una accanto all'altra. Silenziosamente cigolavano i tacchi delle mie scarpe, accompagnanti solo dal rumore del fumo di Rie. Ogni tanto tentai d'includermi, ma mi sentii solo sommersa da tutto ciò che avevo perso.

Rimanendo incatenate una all'altra, stavamo in un silenzio compiaciuto. Poi Rie mi sfilò la sua sigaretta ancora bruciante davanti agli occhi, non disse nulla e né tanto meno io volli voltarmi verso di lei. Con le dita gelate raggiunsi la cicca e me la portai sommessamente alle labbra affusolate, la feci accomodare nei miei polmoni e mi stupii quando mi accorsi che fosse tabacco e non erba.

Continuammo a camminare in silenzio, senza incontrarci mai, passandoci quella paglia di dita in dita, come un tacito accordo che avessimo stipulato con la magia della telepatia. Perché forse nonostante tutto, io e Rie oramai ci conoscessimo così bene da poterci ancora leggere nel pensiero senza neanche parlare.

Condividevamo nulla condividendo qualcosa, non dicevamo nulla dicendoci molto, e camminavamo ancora una affianco all'altra nonostante continuassimo a ferirci a vicenda.

L'aria fredda nel cuore però in qualche modo mi si rilassò un po', e a cena mi sentii anche un po' più gioviale e parte di quel qualcosa.

Osservai Marvin in un qualche secondo tra un calice di vino e l'altro, e mi chiesi come mai fosse ora così legato a me dopo aver parlato con Rie per così a lungo.

Quella notte dormii bene, il giorno dopo ci sarebbe stato un incontro eccezionale in un ristorante con la segretaria, mai ci avvisò su quel che ci voleva dire, ma col senno di poi avrei preferito mille volte un qualche sorta di avvertimento.

Mi chiesi mentre proferiva con voce calma e risoluta, se quest'agenzia non ci trattasse come delle semplici macchine da soldi ma ancora peggio ci sfruttasse rendendoci vulnerabili appositamente nelle loro decisioni.

"Luisa, io e il capo riteniamo necessario che tu ti adoperi a realizzare qualcosa per il compleanno di Rie," mi scrutava attraverso quegli occhiali senza battere ciglio, mentre vedeva le mie labbra torturarsi e il mio viso ingenuo trattenersi "fino a ora hai sempre scritto trattati che venissero tramutati in storyboard realizzati da Fortuna e Maria Sara, vorremo che facessi qualcosa di completamente nuovo, pubblica un romanzo breve dedicato a questo grande evento, mi immagino la tua solita stesura pregna degli eventi avidi di questo periodo ma sopratutto lascia intendere come infondo voi vi amiate ancora".

Il silenzio calò tra di noi, nessuno disse nulla, anche Rie smise di respirare. Il nodo alla gola sembrava volermi strozzare, mi chiesi quanto ancora dovessi sopportare.

Come un annaspante uomo che sta per essere affogato, alzai una mano al di fuori della linea d'onda nella speranza di risalire in superficie, con la voce flebile e differente da quella calda che m'apparteneva, esprimetti "Come, Come questo dovrebbe aiutare al contest?".

La segretaria leccò le labbra ma non sembrò vacillare, dall'empatica figura che ero, che apriva le persone come libri, lei proprio non riuscivo a scorgerla, "Ad aumentare la tua popolarità, anzi la vostra, nulla più".

Rimasi in silenzio dopo l'avvertimento glaciale, ma non annuì neanche di fronte alla superiore. La soddisfazione di piegarci ogni volta mi faceva raggelare il sangue nelle vene, quand'eravamo ancora giovani, Rie era sempre solita prendere e iniziare tante discussioni con loro. Mi chiesi dove fosse finito quell'aggressivo Pitbull da guardia, e quando fosse stato sostituito da un cucciolo di barboncino da salotto.

Quando uscii dal locale scusandomi per il bagno, l'aria di cui avevo così tanto bisogno mi ingolosì. Alzai gli occhi al cielo stellato, era nero ma libero dalle nuvole, le piccole stelle luccicavano senza minacce. Mi sentii per qualche secondo così piccola rispetto al mondo tutto intorno a noi, ma mi chiedevo se infondo tutta questa sofferenza m'avrebbe portato a non aver più bisogno di dover alzare gli occhi al cielo nella salvezza.

Sentii la porta del ristorante sommessamente aprirsi, ero appoggiata allo stipite proprio accanto, e non ebbi bisogno di girarmi per poter riconoscere il suo sguardo amichevole. Riuscii a malapena a formulare una frase lei, "Luisa, non credo di sentirmi benissimo", accompagnò con una risata l'espressione.

Mi voltai per incontrare quel viso caloroso, e le sue iridi castane che sempre sembravano casa e stamattina così felici, erano impregnate dalle lacrime. Non capii cosa fare, ogni sua lacrima sembrava oceano sul mio viso. "Andrà tutto bene, siamo ancora qui" le dissi avvolgendo le sue dita nelle mie, lunghe e scheletriche erano completamente gelate, le avvicinai alle mie guance riempendole del calore che solitamente portavo con me.

"Non voglio che tu lo faccia Luisa, non voglio che vada così" le sue parole ora erano solo un fiume travolto dalle lacrime, balbettii e parole mangiate che cercavano il senso sotto quel grandissimo cielo che ci rendeva sempre più impotenti. Mi alzai sulle punte di piedi e la avvolsi con le mie braccia, le sue lacrime che mi bagnavano la camicia mi ricordavano quanto ancora tutto non avesse ripercussione solo su di me.

Infantile ed egoista, non facevo altro che coccolarla e tenerla stretta, sentendomi la peggiore della persona che avesse potuto scegliere per starle accanto.

Quel cielo immenso sopra di noi ci osservava senza cambiare, perché qualunque fosse successa, il mondo poteva andare avanti anche senza di noi. Quindi promettei a Bottone che io e lei saremmo andate avanti con esso, e non ci saremmo mai fermate e rimaste indietro, che finché saremmo riamaste io e lei con le mani intrecciate tutto avrebbe funzionato.

"Sto interrompendo qualcosa?" Un po' imbarazzata rise Fortuna interrompendo quella che forse s'era tramutata in una fin troppo poetica scenata, entrambe ci scostammo l'una dall'altra e ridemmo all'ultimo delle nostre gioie e volume. La riccia ci sfilò un sorriso confuso e poi sommessamente disse, "sono uscita per rispondere, e sono sicura v'interessi anche a voi chi sia".

Quando la castana svelò il suo cellulare dalla suoneria rumorosa e il corpo vibrante, i miei occhi si spalancarono e tutto in un secondo scomparve, ogni preoccupazione, ogni pensiero, ogni tristezza.

Sentii di avere un bisogno inconscio nel sentire la sua voce, dopo tutto quel tempo.

Le acciuffai il telefono e lei un po' sbuffo, ma poi mi lasciò armeggiare nello scopo di rispondere, che con le dita tremanti mi veniva un po' difficile.

"Ehy, amore" disse lui dalla voce profonda e calorosa, io risi genuinamente, "che schifo Sabba, non sono Fortuna".

Quando facemmo tutta la strada indietro, rimasi avvinghiata insieme a Bottone al telefono di Fortuna tutto il tempo, sentivamo Salvatore raccontarci a cos'era rimasto nella sua biografia, lo sentivamo parlarci della sua vita di tutti i giorni come se ci stesse rivelando il significato più profondo di essa stessa.

Nella mia mente non ricadde il pensiero di dover forse lasciare che i due fidanzati potessero parlarsi, troppo persa nel mondo di quanto mi fosse mancato il mio migliore amico. Sentirlo, forse mi svoltò veramente la serata.

C'eravamo bloccati i numeri di cellulare da tanto, perché con quella distanza che s'era creata oramai da più di dieci anni non potevo sopportare di poterlo raggiungere con una chiamata tutti i giorni, ma quella e basta. Quindi semplicemente smettemmo di sentirci, e iniziammo a mandarci lettere di tanto in tanto.

Non sentivo la sua voce da veramente un'eternità, quel che infondo fu una chiamata inaspettata, mi chiesi se Fortuna non l'avesse fatto di proposito. O forse lo intuii dal fatto che non sembrava poi così infastidita di non poter sentire il suo caloroso amante dirle chissà quali smancerie.

A me per loro, e la loro distanza, dispiaceva. Io al suo posto, non riuscii per nulla a sopportarla, ma per i due sembrava funzionare, quindi non m'intromisi mai.

Ogni tanto mi chiedevo però, se i due fossero felici o solo abituati.

"Ti lasciamo a Fortuna ora" dissi poi quando Bottone era scappata nella sua camera a recuperare la più calda coperta, io ancora ferma sugli scalini all'esterno del camper, gli occhi che mi si perdevano nel buio inquadrando qualcosa di ben preciso, "non sai quanto mi ha fatto piacere sentirti" sussurro Salvatore, "non sai quanto a me" risposi sorridendo disperatamente nonostante non mi potesse vedere.

Prima che potette aggiungere qualunque altra cosa, abbandonai il telefono all'entrata e scappai lontano da esso, perché ora il solo pensiero di potermi permettere di ricercare la felicità in colui che era così lontano nello spazio mi terrorizzava più di tutto. E mi avvicinai più volontariamente del presupposto a colei che stavo osservando fin dall'inizio, e che era sempre raggiungibile.

Seduta su un tronco, lontano da tutti, che osservava i suoi anfibi che sporcavano e muovevano la terra, le mani invece impegnate a grattarsi le pellicine, lasciandosi gravi ferite. Rie era lì che sembrava una disgrazia, sembrava una reclusa in astinenza, sembrava l'ultima persona che chiunque potesse trovare attraente e popolare. Allo stesso tempo mi ricordava una bambina dipendete dall'affetto che non aveva mai ricevuto dai suoi genitori, che si era dimenticata di crescere, lei era un disastro.

Rie era un completo disastro vivente.

"Sono felice che tu te ne sia andata, sposarti sarebbe stata la cosa peggiore che avrei mai potuto fare a me stessa" sussurrai dolcemente, le mie parole cattive si contrapponevano completamente al tono di voce con cui venivano espresse, m'accorsi di star anche sorridendo. Rie alzò lo sguardo e ricambiò quella dolce espressione, fu una qualche strana reciproca intuizione che ci stessimo definitivamente allontanando.

Ma che nessuna delle due volesse, che tutte due stessimo provando a tenerci terribilmente per mano graffiandoci con le unghie e con i denti. Per un motivo che non riuscissimo a comprendere, come se abbandonarci a vicenda facesse più paura di essere finalmente felici senza l'altra.

"Ah si? Neanche per me sarebbe stata una passeggiata, sei una scapestrata piagnucolosa ed egoista" sputò per terra mentre le parole mi venivano dette con una voce rauca e melensa, niente sembrava avere senso, nulla combaciava. Era un epinefrina che correva per tutto il corpo.

"Ti odio, Rie," mi morsi le labbra fino a farle sanguinare, lei mi sorrise dolcemente "spero che dopo questo stupido tour del cazzo tu debba tornare a casa da tua sorella e farti vedere per quello che sei veramente-"

La corvina s'alzo in un secondo, un attimo e mi afferrò il mento tra le dita, stringendo così forte che potevo sentire la carne della mascella grattarsi e rompersi sui miei denti, "Non parlare di mia sorella" mi sussurrò così vicino che potevo sentire il suo fiato sulle mie labbra sanguinanti, la voce però non era cattiva, era un dolce rimprovero.

Ero così piena di adrenalina che la sentivo a malapena, quelle parole così crudeli che stavamo condividendo come se fossero poesie d'amore. "Lei mi adorava, Rie. Te lo ricordi, vero?" m'osservava con la pupilla che s'espandeva a vista d'occhio, "avrebbe adorato il nostro matrimonio, è stata distrutta quando te ne sei andata".

"Stai zitta" s'impegnò a tenere la promessa appena pronunciata sbattendo le sue labbra carnose contro le mie, i nostri denti si presero e sbatterono più volte, in un bacio che lentamente s'aggiustava da un violento supplizio a una dolce melodia.

Le accarezzai i capelli neri pece spostandoli all'indietro, la coccola che si trasformava lentamente in una presa, li attorcigliai alla mano e li strattonai inavvertitamente.

Rie mi morse le labbra e m'abbandonò solo per lasciare che l'angolo della sua bocca si sollevi in un sorriso beffardo. Mentre continuava a osservarmi così, senza preavviso insinuò un ginocchio tra le mie gambe, rimboccò alla rinfusa la mia tuta. Lasciai dalla mia bocca un gemito che accompagnò una risata di circostanza imbarazzo.

Quando m'infilò una mano nelle mutande, non lo trovai strano, mi chiedei come non fosse successo molto prima di questo giorno.

Mi strozzò la mente al pensiero che la trovai estremamente dolce nel fare sesso, ma non mi ricordai che quella fu la prima volta dopo la sua scomparsa che fino in fondo ci unimmo intimamente.

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