Capitolo 1; cosa mi manchi a fare
POV LUISA
Le sue labbra erano completamente spaccate e ferite, potevo sentire sulla lingua più sangue che saliva. Forse gliele avevo morse io, tra uno sfregamento di denti e l'altro.
Non volevo appoggiarmi al muro, era di quelli dei bagni pubblici dove i barboni vivevano, però tra uno sputo in faccia e due insulti, c'eravamo ritrovate a scambiare la saliva come se ne avessimo bisogno per respirare.
"Basta, cazzo" dissi spingendola, dire forse era un eufemismo, avevo in realtà solo sospirato con la voce smezzata. Rie s'era spinta all'indietro, e senza proferire parola se ne va com'era arrivata, senza nessuna parola dolce o cortesia.
La porta che aveva sbattuto aveva risuonano per tutto il bagno, ero sicura che anche al di fuori l'avevano sentita tutti. Sbuffai mentre mi prodigavo a lavarmi le mani.
Lavarmi le mani mentre bestemmiavo ripetutamente tutti gli dei in cui neanche credevo, quando litigavamo, finivamo sempre per ficcarci la lingua in gola e poi sparire dalla vista dell'altra senza ammettere nulla di quanto successo.
Guardavo allo specchio i miei capelli corti sotto le orecchie, le punte rosa come ricordo di quel che avevo voluto tagliare via ma che continuava a tornare. Le occhiaie marcavano il territorio sotto i miei occhi come se pagassero l'affitto.
Non era la prima volta che dopo essersi odiate a morte c'eravamo assaporate la bocca l'una dell'altra, i rimasugli di una relazione in cui era la mia anima gemella.
"Luisa?" La voce familiare era seguita da un bussare alla porta, feci un bel respiro, nel prospetto di mentire a Fortuna. "Si?" Le risposi sorridendo dopo aver aperto la porta del bagno, la mia collaboratrice era così davanti a me, con i suoi capelli ricci e il cappotto stravagante pieno di occhi.
Mi osservò per qualche secondo, poi mi rivolse un sopracciglio inarcato, uno di quelli che mi voleva trasmettere che era preoccupata per me senza dirmelo. Io sorrisi e scossi la testa, sperando che le sarebbe bastato per farle destare le attenzioni.
Infondo sapevamo entrambe che neanche a un metro da noi v'era colei che una volta viveva solo per esistere con noi.
Camminammo in silenzio nella folla rumorosa verso il nostro stand, confortevoli nell'assenza di dialogo dell'una e dell'altra, mentre fingevo di non averla neanche incontrata Rie.
Come se quell'ora nel bagno appartenesse a una realtà alternativa che avevo solo assaggiato, che non m'apparteneva.
"Son quasi finite le copie, potete stare qua mentre le vado a recuperare nel furgone?" Chiese l'altra artista appena io e Fortuna la raggiungemmo. Sembrava preoccupata anche lei, ma probabilmente più per l'intera situazione fiera del fumetto. Non che avere lei come rivale sotto la stessa casa editrice non facesse parte di una delle numerose ansie a rigaurdo.
Le orde di fan della nostra opera che arrivavano numerosi, che si attagliavano per i nostri autografi e per delle foto con noi, mi distraevano dalla sua presenza. O forse mi aiutavano con il pensiero che ce l'avessimo fatta anche senza di lei.
Non potevo prendermi il vanto di dire che tutti quei complimenti e adorazioni l'avevano rimossa da me, l'avevano sostituita. Però fingevo fosse così.
"Sono le stesse medesime persone, vero?" Fortuna sussurrò forse più a se stessa che a me, ma io la sentii comunque e decisi di non rispondere. Però si, non le era ovviamente sfuggito ai suoi superbi occhi che gli stessi gruppi facevano un via vai dal nostro stand a quello di Rie e collaboratori, dal loro al nostro, dal nostro al loro.
Il prezzo del lavorare con le persone che ami è di sentire la loro mancanza quando decidono di abbandonarti.
E se sulle menti dei nostri conoscenti dovevo soffrirne più degli altri in qualità di sua amante, Fortuna mi faceva concorrenza nell'essere stata praticamente sua sorella. Ma ai miei occhi sembrava sempre forte e sorridente, come se di Rie non le fosse mai importato nulla, come se non fosse mai stata parte di noi.
"Sorridete di più, stiamo vendendo un sacco" Bottone ci spaventò ordinando nel suo solito maniacale modo tutti i fumetti sul bancone, fosse stato per me e Fortuna sarebbero tutti sparsi in modo totalmente casuale che avremmo definito 'nouveau realisme'.
Fortuna mi cingette un braccio sulle spalle e mi tirò a se, "Beh infondo chi non lo comprerebbe un fumetto dove i due protagonisti scopano ogni due per tre?", ironicamente civettò la riccia.
Mi slegai dall'abbraccio più offesa che mai, "Non scopano così tanto!", come unica scrittrice mi difesi, Bottone dietro di me rise, "Ho disegnato più spade di star wars bianche che volti" commentò.
Emisi un suono finto innervosito e le due continuarono a prendermi in giro in un vortice oramai infinito su quanto fossero più presenti dei membri in bella vista che qualunque altro oggetto.
Eddai era comunque uno yaoi dedicato alle giovani menti! Ero giustificata!
Mentre oramai mi perdevo completamente i più creativi insulti che Bottone e Fortuna stavano ripetutamente esclamando tra un cliente e un altro, afferrai il telefono nella tasca del mio giaccone blu a quadri per controllare l'orario
Eccola manifestata davanti alle mie castane iridi la vendetta degli dei che avevo imprecato qualche momento prima. Una notifica che avrei voluto poter ignorare più facilmente, ma che inesorabilmente stavo già cliccando.
In tendenza su Twitter, Coral Sock prima o dopo. Ovviamente senza nessuno spazio in completo fascino del social dall'uccello blu, rendendo molto lento il comprendimento veloce.
Tutte le notizie si eguagliavano, nulla che non avevo già letto negli ultimi due anni, nulla che poteva ferirmi ancora di più. Interi articoli dove analizzavano se la scrittura di Coral Sock era più scorrevole e sincera quando anche Rie ne collaborava alla stesura.
Il fumetto che apparteneva a entrambe, che lei aveva sepolto e schifato, il quale ora vedeva nuovi volumi solo alla mia scrittura, continuava ad affrontare milioni di battaglie sul prima e il dopo.
A molti piaceva prima, per molti ora aveva un sapore diverso che preferivano. Ma infondo potevano innalzare tutti i polveroni che preferivano, Coral Sock oramai era una produzione d'esclusiva scrittura mia. E dall'illustrazione curata da Maria Sara e Fortuna, com'era sempre stato d'altronde.
Continuare quel fumetto era la malinconia della nostalgia che si perpetuava nella mia penna, era quello che tutti mi avevano chiesto di sospendere perchè mi avrebbe solo ricordato lei. Era quel fumetto, che da superba quale sono ed ero, avevo continuato a rilasciare un volume al mese com'era sempre stato.
La verità che nessuno però poteva percepire era essenzialmente che volente o nolente, in tutti i miei stili di penna vi era lo zampino di ciò che Rie mi aveva irrimediabilmente lasciato. Che io avessi completato o meno Coral Sock, la depressione che quel giorno di dicembre mi aveva tagliato a metà il cuore si sarebbe percepita in qualunque mia stesura.
Sospirai e tirai il telefono sul bancone, facendo sobbalzare anche qualche cliente, Fortuna e Bottone si zittirono e mi guardarono di traverso.
"Offesa solo ora?" Chiese Bottone cercando di strapparmi una risata, effettivamente sorrisi, ma non potevo fare altrimenti con lei. Mi aveva sempre fatto ridere anche nei momenti più crudi.
"Comunque cazzi spade laser apparte," attirò la nostra attenzione fortuna, distraendomi dall'ennesimo pensiero su Rie "ma quindi ci iscriviamo all'Anime Fandom Creators Race 2022?".
Il volantino nelle sue mani trionfava di colori sgargianti della pubblicità che cercavano di coinvolgerci. Era la competizione a cui tutti gli artisti aspiravano a concorrere, poteva essere considerato come il Grand Prix dell'arte. Pochissime persone anche solo riuscivano ad eccellere nelle selezioni.
Ma quella dannatissima maledettissima prova rappresentava per me un ostacolo più emotivo che lavorativo.
"La gente usa quel concorso per accalappiarsi un po' di pubblico, non ne abbiamo realmente bisogno Fortu" commentai senza ironia mentre le strappavo dalle dita il foglio, lei sbuffo e iniziò a martoriarmi le spalle scuotendomi da un lato a un altro.
"Eddai, che abbiamo da perdere?" Si lamentò con voce forse un po' troppo forte anche per i cosplayer del noto show sulla pallavolo, e se era stata troppo rumorosa anche per loro forse c'era qualcosa di cui preoccuparsi.
Bottone posò le sue mani gracili e lunghe su quelle di Fortuna nel vano tentativo di placare il moto irruento che mi smuoveva, ma venne solo coinvolta nel vortice che si muoveva perpetuo.
Tra le risa comunque la più alta riuscì ad aggiungere "Sono comunque d'accordo con fortuna, parteipare a questo in particolare non ti farebbe male".
Colpita e affondata. Non che Bottone sapesse il vero motivo per cui ero riluttante, a meno che non glielo avessi confidato in uno stato di poca lucidità alcolica.
"Ci penso va'," risposi lanciando il foglio accartocciato nel cestino più vicino sotto ai miei piedi, Fortuna smise di sventolarmi come un ventaglio ma palesemente non era per nulla soddisfatta della risposta.
Forse conoscendomi meglio di me stessa sapeva che quel pensarci sarebbe stato un dimenticarmene perché nel mio cervello non c'era più posto per nulla e tutto era solo una scusa di distrazione dai ricordi.
Che Fortuna ancora non mi avesse cacciato da un terapista mi stupiva.
Ogni tanto mi tornava ancora in mente quella sera in cui Bottone mi disse nel silenzio di una canna condivisa che non la ascoltavo più.
Che ogni conversazione che avevamo da quel dicembre erano in cui io commentavo passivamente, in cui ogni mia parola sembrava l'eco di un pensiero completamente lontano, in cui sembravo sempre dispersa in qualche cazzo di angolo del mio cervello.
Non si sbagliava, il tempo guarì molto di quella passività nostalgica. O forse ero solo diventata più brava a sembrare partecipe.
Le mie giornate si stavano collezionando di scrivere, scrivere, scrivere e scrivere.
Perché qualunque secondo, minuto in cui le mie dita non bruciavano dal dolore della penna tenuta troppo a lungo e i miei occhi non erano iniettati dal sangue dell'osservare inchiostro nelle ore in cui dovevo dormire, erano secondi che sprecavo a ripercorrere e rivivere quei momenti.
Cercavo il più presto e il più velocemente di fuggire dalla mia stessa mente.
E avevo anche l'arroganza di chiedermi se lei facesse lo stesso.
Sapendo ovviamente che lei fosse felice nel suo studio a dipingere chissà quale illustrazione per chissà quale persona che l'aveva commissionato. Non poter più vivere la sua vita giornalmente forse era ciò che più aveva lasciato una macchia.
Inoltre condividere la stessa casa editrice rendeva solo la mente più confusa. Ci rendeva solo più distanti ogni voltache eravamo più vicine.
"Arrivederci, e grazie ancora!" Salutammo quasi in coro gli ultimi clienti, la fiera di Napoli oramai volgente alla sua chiusura. In realtà oltre tutto, avevamo veduto molto più di quanto c'aspettavamo, dovettimo anche ricorrere alle stampe riservate per le vendite sul sito apposito.
Smantellare era sempre fastidioso e lungo, però la soddisfazione di non avere alcun fumetto non venduto riempiva di gioia. Almeno Fortuna adorava fare il lavoro sporco e sfaticarsi, io ero troppo goffa per farlo e Maria Sara aveva le unghie troppo lunghe. Quindi spesso ci limitavamo solo a trasportare nel furgone ciò che lei disfava.
Borsoni in spalla, si diceva addio anche a questo evento. Era il primo di quest'anno, non che me ne immaginavo tanti altri in vista, ma non sapevo come sentirmi a riguardo.
Certo, rimanere in casa garantiva la produttività e l'uscita mensile più che rispettata. Ma allo stesso tempo l'idea di non finire tutte le sue giornate in quello scomodo letto ricoperta dai miei vestiti sporchi e tazze non lavate, m'allettava non poco.
Nonché sarebbe un tenere Rie lontana così lontana da non poterla sfiorare neanche con il cervello. Sarebbe troppo occupato a impegnare ogni giornata con qualunque cosa da fare. Inoltre io, Bottone e Fortuna desideravamo farci un bel viaggio dalla maturità da praticamente tutta la vita.
Il sole splendeva sui vetri dell'edificio, rendendolo completamente di un arancione corallo. I tramonti erano diventati una di quelle cose che più non riuscivo a guardare, preferivo le albe da un po' di tempo.
Infondo alla strada, nel parcheggio oramai svuotato che veniva solo occupato dalle poche auto dello staff, parcheggiavano delle persone che Fortuna aveva già iniziato a digrignare i denti.
"Evitiamole e basta" commentò Bottone prendendo Fortuna sotto il braccio, la quale collaboratrice infondo trovava ogni scusa per litigare con chiunque. Ma con Rie, forse Fortuna provava una delusione così profonda che non voleva vederla neanche con le iridi di un'altra persona.
Nel bagagliaio senza tettuccio dell'auto bordeaux a due posti, vi era stesa una ragazza dall'identità di genere volutamente non rigida che indossava felponi e pantaloni di tuta così grandi che non si potevano neanche immaginare le sue vere forme. I capelli corti neri erano stati così tanto rovinati dalle tinte che sembravano brizzolati e ribelli, tra le labbra risiedeva una sigaretta rollata di cannabis. Stesa in silenzio guardava il cielo arancione, con il cervello liberato da tutto grazie agli ormoni della canna.
Accanto a Rie, fuori dall'auto ma appoggiata su di essa vi era una delle sue altre due nuove collaboratici. I capelli rossi tagliati in un mullet e l'aria annoiata, davano a quella che conosceva solo per nome e non per carattere, il presunto che la giornata fosse stata molto lunga.
All'interno della vettura, quelle che dovevano essere Fiamma e Flavia non potevano essere intraviste, non che nessuna di noi volesse poi così tanto cogliere ciò che stavano vivendo.
"Bho a me Fabiana sta sul cazzo a pelle" osservò Bottone silenziosamente mentre si graziavano del fatto che probabilmente la loro vecchia amica era così fatta da non poterle interpellare, "No probabilmente ci sta sul cazzo solo per Rie" commentai con una nota addolorata.
"Ma chissene frega perché, rimane che pare 'na stronza!" Destò Fortuna dandomi una pacca sulla nuca, raggiunsi dolorosamente il punto emettendo un guaito di dolore più di scena che dalla mazzata.
In tutto ciò Maria Sara rise di sottofondo, rendendo il siparietto più comico che depressivo di come l'avevo un po' reso.
Diedi un ultimo sguardo al gruppo prima di sparire per sempre nella macchina con Fortuna e Bottone. Rie sembrava aver smesso di fumare, il bianco vapore completamente cessato ma la sua posizione ghiacciata nella stessa zona. Fabiana s'sembrava essersi arresa a salire accanto a lei, occupando l'unico angolo che non impossessato dai lunghissimi arti della fumatrice. Delle figure di Fiamma e Flavia ancora nessuna vista.
Non potevo dire di amare le illustratrici che ora la accompagnavano, ma neanche potevo odiare tre ragazze alla ricerca del successo che avevano solo accolto un altro membro. Infondo erano proprio com'eravamo noi.
Ma Rie ci aveva visto qualcosa di più in loro. Di più di tutto ciò che aveva costruito con tutte noi. Di più di tutto ciò che aveva costruito con me.
Salii in macchina, Bottone già completamente addormentata nel sedile posteriore. Poggiai la testa sul finestrino, il gelido del vetro mi raffreddava le guance che mitigavano ai miei occhi lucidi.
Non dovevo piangere, non si meritava le mie lacrime. Eppure quegli occhi lucidi non sembravano voler piangere, sembravano più ricercatori di una rabbia che si stava sempre più insidiando.
E non volevo ammettere di essere arrabbiata. Io non volevo più provare nulla per lei, che fosse tristezza che fosse rabbia.
Ma ogni giorno che passava quella che pareva essere la depressione che veniva curata dagli psicologi, stava diventando una rabbia ossessiva.
"Sai vero che ti voglio bene?" Disse poi Fortuna nel silenzio, suonava più forte di come l'aveva detto nel mio cervello.
Eppure non trovai la forza da nessuna parte di rispondere. "Siete tutto ciò che mi è rimasto..." Sussurrò mentre accendeva la macchina, tirai su le ginocchia e mi rannicchiai nel sedile accanto a lei.
Se la polizia ci avesse visto, avrebbe lasciato alla mia amica una di quelle multe che avremmo pagato con mesi di volumi. Ma in quel momento Fortuna non mi disse nulla e mi lasciò rannicchiata nel piccolo sedile, mentre tutto ciò che rimaneva del nostro discorso era il respirare dolcemente nel sonno di Maria Sara.
Come si usa dire, che tu lo voglia o no, la mattina del giorno successivo arriverà, che tu sia morto che tu sia vivo, il mondo continuerà a girare senza e con te.
Quando la mattina arrivò ai miei occhi, ero stesa nel mio letto. Arrivammo presto quella sera dalla fiera, Fortuna mi accompagnò fino alla porta dell'appartamento in cui sopravvivevo da due anni a questa parte.
Non sembrava necessariamente preoccupata per me, più quell'aria che s'era abituata a quel mio modo distante di fare che però non la faceva stare tranquilla.
Comunque so che sapeva, anche se non me lo avrebbe mai detto, che ero troppo una codarda per prendere qualche decisione drastica.
Eppure vedevo una tendenza in lei di dover preservare me e Bottone in un modo più morboso, la ferita di Rie sanguinava nei cuori di tutte ancora a oggi.
Qualcuno sul mondo vasto dell'internet, nonché il direttore del nostro contratto, aveva oramai dato per certo che ciò che lei ci aveva fatto era stata una cosa di non conto, una mossa lavorativa che poteva suonare poco morale ma nulla di più.
La prima volta che il direttore me lo disse guardandomi negli occhi, gli risi. Non fu professionale, e lo trovò molto sgarbato. Aggiunse che se non fosse così, avrei potuto anche licenziarmi e abbandonare in principio quel mondo perché non avrei vissuto a lungo.
Infondo aveva ragione.
Oramai stavo sopravvivendo, annaspando.
Ma in quell'ultimo periodo, in quest'ultimo periodo in cui c'eravamo viste in questa settimana di evento per artisti, mi era cresciuta come un erba cattiva da estirpare la voglia di distruggerla come mi ero spezzata in mille pezzi io.
L'insultarci e il non poterle incontrare lo sguardo senza farmi ribollire il sangue era un sentimento nuovo che volevo assaporare. Ma non avrei mai potuto ammettere a nessuno che non fosse me o lei, quante volte quei litigi erano finiti in uno scambio di effusioni sbrigativo e dimenticato.
Sbadigliai e raccolsi i miei occhiali da terra, la brutta abitudine di appoggiarli direttamente sul letto prima di dormire li lasciava sempre cadere per terra.
Accesi la televisione per compagnia, sarei probabilmente tornata a dormire nella speranza di tenermi il più lontana possibile da tutti. Ma a quanto pare gli dei che quel giorno prima avevo imbestialito, si erano proprio preparati per non farmi esaudire determinato desiderio.
Sullo schermo della televisione impolverata che non avevo voglia di pulire e prendermene cura, brillava l'immagine di Rie accompagnata dalle sue nuove amiche.
A brucia pelo, come un cerotto che viene strappato, neanche il tempo per la mia salute mentale di scappare dal canale, che l'intervistatore pone una domanda alla mia ex.
"E se le tue vecchie partners partecipassero all'Anime Fandom Creators Race, come ti sentiresti?" Con voce acuta chiese la bionda reporter, alla ricerca frenetica di nuovi articoli da scrivere che facciano fame di gossip.
La ragazza che una volta era a dormire tutti i giorni nella nostra vecchia casa non mise su nessuna espressione, vuota e piatta, differente da come la conoscevo, commentò "Parteciperei comunque, parteciperei più di prima. È il mio sogno, nessuno mi fermerà".
La televisione ora parlava da sola, non c'ero ad ascoltarla mentre i miei piedi correvano. Avevo anche dimenticato le scarpe, sentivo la pelle bagnarsi sulla terra che percorrevo. Il freddo venticello dell'inverno sulle guance mi intimava di ripararmi al caldo, lo sentivo e non ci prestavo attenzione.
Isolati percorsi a piedi nudi mentre la piccola città ancora dormiva, l'alba alle mie spallle che intimava di essere ancora troppo presto pure per lei. Giardini su giaridni che venivano percorsi ed attraversati senza tenere il conto di nessuno, mi sentii viva per la prima volta dopo tanto tempo.
Mi fermai dalla lunga corsa all'improvviso, avevo raggiunto la destinazione che inconsciamente e impulsivamente avevo preso a raggiungere. Il cuore e i polmoni che chiedevano disperatamente di riprendersi mentre spingevo il dito sul campanello, in ripetizione.
"Ma chi caz- Luisa?" Maria Sara aveva i capelli in disordine, pieni di nodi e sonno. Gli occhi sembravano addormentati ma ora inebriati dallo stupore e la paura. Il pigiama rosso invece era così fuori contesto nella sua estetica dispersa che sarebbe stato motivo di presa in giro in qualunque altra situazione.
"C'ho pensato, partecipiamo all'Anime Fandom Creators Race".
Era il mio sogno puttana, era il nostro sogno testa di cazzo, e ora me lo riprenderò.
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